San Cesario sul Panaro è un paese della campagna modenese di poco più di 6000 abitanti, in cui Anna Vignudelli è nata, cresciuta e vive. È una donna, piccola con due occhi vispi che hanno visto tante cose e un sorriso che conquista. Ci ha raccontato della sua infanzia, in particolare di quando, insieme alla sua nonna materna, allevava i bachi da seta. Infatti la vicina città di Bologna prima e in seguito quella di Modena si dedicarono diffusamente, nel passato, alla lavorazione del filo di seta e alla produzione di tessuti e veli di grande pregio.

Il baco da seta, prerogativa della lontana Cina, venne introdotto in Europa nel VI° secolo d.C., grazie a una missione segreta voluta dagli imperatori di Bisanzio Giustiniano e Teodora. Bologna divenne una delle maggiori produttrici di tessuti e veli di seta: dal XII° secolo la città era attraversata da canali, sui quali si affacciavano abitazioni e opifici. Chi oggi passeggia lungo le strade di Bologna dovrebbe immaginare un aspetto urbanistico assai diverso da quello attuale. Per la produzione di tessuti e veli di seta l’acqua aveva una funzione importantissima: fu proprio qui che si perfezionò la meccanica delle macchine e soprattutto dei mulini ad acqua, materia prima usata come forza motrice di quelle stesse macchine. Nel 1683 Bologna vantava ben 353 ruote idrauliche, che muovevano altrettanti torcitoi, riuniti in 119 mulini da seta. I canali che portavano acqua alla città e alle macchine erano anche le vie attraverso le quali i manufatti preziosi raggiungevano ricche corti e importanti città straniere. Il sistema perfezionato a Bologna permetteva una produzione altamente tecnologica e redditizia per l’epoca e rimase segreto per diverso tempo, fino a quando altre città e altri paesi se ne impossessarono.

Questo avvenne anche per opera della vicina città di Modena che nel 1510 installò un primo filatoio, al quale nel corso degli anni se ne aggiunsero altri, sino a un massimo di 42 filatoi.

Se nelle città si lavorava il filo di seta, nelle campagne circostanti le famiglie degli agricoltori allevavano i bachi da seta. Nel 1609 a Spilamberto, sempre in territorio modenese, fu edificata un’importante filanda, che prolungò la sua attività fino ai primi decenni del ‘900.

Il racconto di Anna Vignudelli si innesta in questa antica e lunga storia, che comincia proprio con l’allevamento dei bachi da seta.

In campagna la vita era quella tipica dei contadini e i bambini imparavano presto a dare una mano, nell’orto e nell’allevamento.

Nella casa dove viveva Anna c’era una stanza abbastanza grande in cui di solito veniva stivato il grano, ma per un certo periodo, ogni anno, questa veniva sgomberata e predisposta a un impiego secondario, che avrebbe consentito, seppur piccola, una entrata economica supplementare alla famiglia: la nonna qui vi allevava i bachi da seta con l'aiuto di Anna.

Le uova dei bachi sono veramente piccolissime, delle dimensioni dei “puntini delle fragole". Raccolte le uova dentro un sacchettino di cotone, la nonna le teneva in seno per circa una ventina di giorni, fino a quando i bachi non avessero raggiunto la misura giusta per essere tolti da quell’incubatrice umana ed essere deposti nella stanza in cui crescere. Anna e la nonna cominciavano l’allestimento della stanza: sopra una sorta di pianale venivano posti dei telai lunghi un metro e mezzo e larghi settanta, fatti con dei materiali di recupero come stuoie di piccole canne e assicelle di legno sottili; il bordo perimetrale dei telai era alto circa dieci centimetri e consentiva di impilarli come avviene per le cassette da frutta, in modo da lasciare uno spazio per la circolazione dell’aria fra l’uno e l’altro. Questi erano i letti sui quali i bachi sarebbero cresciuti nelle settimane successive, fino al momento della formazione dei bozzoli. Dopo questa preparazione il compito di Anna era raccogliere ogni mattina le foglie di gelso fresche e nuove da mettere nei telai, affinché i bachi continuassero a nutrirsi e crescere: infatti le foglie del gelso costituiscono l’unico alimento dei bachi da seta.

Da quando i bachi cominciavano a formare i bozzoli, Anna doveva prestare attenzione a ché non diventassero scuri, perché ciò avrebbe significato che ormai i bachi si erano trasformati in farfalle e avrebbero forato i bozzoli per uscire, danneggiando il filo ormai inutilizzabile e anche i bozzoli non ancora maturi, che si sarebbero impolverati di quella impalpabile segatura. La giusta maturazione del bozzolo, pronto per essere lavorato, era indicata da un colore giallo chiaro; a quel punto i bozzoli venivano raccolti, bolliti e successivamente venduti al mercato della vicina Spilamberto, nota per la sua antica filanda. Nel caso in cui la produzione lo avesse consentito, la nonna di Anna ne teneva alcuni per sé, in quanto anche a casa c’erano gli strumenti adatti alla lavorazione del filo, che sarebbe stato utile come filo da ricamo e per impreziosire alcuni capi d’abbigliamento.

Anna e la nonna avrebbero dato vita a un solo ciclo produttivo, nei mesi di aprile e maggio, periodo della raccolta stagionale delle foglie di gelso. Una volta venduti i bozzoli, la stanza sarebbe stata di nuovo adibita a granaio. Si racconta che in alcune famiglie la stanza per allevare i bachi fosse svuotata forzatamente: gli uomini potevano dormire altrove!

Per poter riattivare la produzione l’anno successivo una piccola parte dei bozzoli veniva lasciata maturare completamente, così che i bachi, poi crisalidi e infine farfalle uscissero dai bozzoli per lo “sfarfallamento”, cioè la deposizione delle uova, che sarebbero state a loro volta raccolte e conservate in un sacchetto di cotone, custodito in una scatola al buio, fino alla primavera successiva, per essere covate e dare vita a nuovi bachi da seta.

La produzione e l’allevamento di bachi da seta proseguì fino alla occupazione tedesca durante la Seconda guerra mondiale e non venne più ripresa: la stanza fu adibita prima ad alloggio di alcuni soldati tedeschi e in seguito di soldati americani. Occorre ricordare anche che fino ad allora l’unico filo lungo e resistente utile alla fabbricazione dei paracadute militari era il filo di seta, che proprio fra gli anni ’40 e ’50 verrà sostituito dalle innovative fibre sintetiche.

Durante la sua giovinezza Anna lavorò presso alcune aziende del territorio che commerciavano la frutta. Si effettuava la selezione delle diverse pezzature, il lavaggio e lo stoccaggio nei contenitori per il trasporto verso mercati e negozi. L’esperienza qui maturata le fu molto utile in seguito, quando, una volta sposata, collaborò insieme alla famiglia del marito sia nella coltivazione di frutta e ortaggi che nella preparazione dei prodotti a fini commerciali.

Da quando si è ritrovata in pensione si dedica al suo orto piccolo, ma molto produttivo. Cucina ottimi piatti della tradizione e nella stagione “buona” riempie la dispensa di frutta sciroppata, composte e sott’oli, proprio come ogni vera “rezdòra”, cioè “reggitrice”: colei che “regge” la casa con sapienza.

*voce a cura di Camille Estien, Marina Corradi, Susanna Vandini del NOE "Legati al filo" - Libreria CartaBianca

Voce pubblicata nel: 2022

Ultimo aggiornamento: 2025