1944: la guerra in Sicilia è praticamente finita; i tedeschi sono fuggiti dall’isola, lasciando centinaia di vittime; i soldati alleati hanno attraversato lo stretto, e stanno risalendo l’Italia. Palermo è sotto amministrazione anglo-americana, e cominciano a costituirsi le nuove istituzioni democratiche. Ma la città è un cumulo di macerie: moltissime le case bombardate, quartieri già degradati prima della guerra ridotti a cumuli di rovine, caserme abbandonate divenute rifugio degli sfollati. In questo scenario disastrato si muovono, assumendosi la responsabilità di parlare con le donne, ascoltare le loro richieste, portarle dalle autorità per rivendicare cibo, assistenza, servizi, case popolari – un gruppo di attiviste del Partito Comunista Italiano, capeggiate da Anna Grasso. È una giovane insegnante che negli anni dell’Università ha rifiutato il fascismo e ha aderito al movimento clandestino FUAI (Fronte Unico Antifascista Italiano), diventando comunista. Nel 1939 aveva sposato Franco Grasso, uno degli studenti palermitani antifascisti deportati nel ’35 a Ventotene, e ne porterà sempre il nome. Durante la guerra ha tenuto collegamenti con l’organizzazione clandestina del PCI. Ma adesso si tratta di entrare veramente nella storia, non più attraverso i libri né le scelte e l’eroismo individuali, ma nel confronto con le persone, le “masse popolari”, verificando le proprie idee al fuoco della realtà, facendo condividere ai soggetti più semplici della popolazione la condanna del fascismo e della guerra, trasmettendo loro la fiducia verso una liberazione dallo sfruttamento, attraverso l’organizzazione e la lotta. Quella complessa attività di avvicinamento e coinvolgimento della parte più povera della popolazione, e in particolare delle donne, non si svolgeva solo con un afflato assistenziale e solidaristico, ma si concepiva e attuava come una pedagogia di massa, tesa a diffondere e dare radici a una coscienza democratica e repubblicana diffusa e, forse, addirittura “rivoluzionaria”.
Anna Grasso, antifascista e comunista, fu personaggio esemplare di questo impegno civile, politico, culturale; era consapevole della “specialità” della condizione femminile. Sua e di tutte le altre. Sapeva che le donne subivano discriminazioni e violenze supplementari (anche da parte degli uomini del proprio ceto) che andavano evidenziate, denunziate ed eliminate. Su questo fronte dimostrò sensibilità, acutezza d’indagine e capacità di tradurre l’indignazione e la protesta in iniziativa politica partecipata dalle donne stesse, diretta alla soluzione pratica dei problemi; ed ecco:
a) l’azione per la cancellazione dei cosiddetti “temperamenti salariali”, misura esclusivamente siciliana che riduceva automaticamente i salari femminili e giovanili rispetto ai contratti base;
b)la lunga lotta (dal 1956 al 1965), veramente di massa, che coinvolse migliaia di giovani diplomate e laureate, per ottenere la “graduatoria unica” nei concorsi per l’insegnamento nella scuola pubblica venne coronata da successo;
c) l’iniziativa parlamentare contro il cosiddetto “coefficiente Serpieri” (che valutava il lavoro delle donne nelle campagne al 40% di quello maschile);
d) la presentazione del primo progetto di legge per la istituzione della scuola materna statale.
Fu insieme dirigente politica (successivamente: deputata nazionale e regionale, consigliera comunale a Palermo e poi a Palma di Montechiaro, capogruppo comunista al Consiglio provinciale di Palermo) e femminista, presidente dell’Unione Donne Italiane di Palermo, dalla sua fondazione. Quando, nella lunga e tormentata campagna per la elaborazione di una legge nazionale che combattesse ed eliminasse l’aborto clandestino, si determinò una frattura tra la posizione del PCI e il movimento femminista, assunse – come dirigente dell’UDI di Palermo – le posizioni del movimento femminista, polemizzando apertamente col partito di cui pure era importante rappresentante nelle istituzioni elettive e negli organigrammi interni.
Era una donna forte, sicura di sé, ben determinata e rapida nelle scelte; emanava quella autorevolezza femminile che anche gli uomini le riconoscevano, e che per molte donne resta un obiettivo difficile da raggiungere: per lei era un tratto del tutto naturale. Il suo impegno sociale e politico così ampio e multiforme restrinse un poco il raggio della sua vita privata: tuttavia ebbe la gioia di un figlio, che presto conquistò una propria autonomia.
Nell'ultimo periodo della vita, separata di fatto anche se con amicizia e rispetto dal compagno-marito, la sua famiglia fu costituita dal gruppo delle amiche e compagne dell'UDI, che le furono sempre vicino, non facendole conoscere la solitudine.
La Biblioteca e l’Archivio dell’UDI di Palermo sono intestati al suo nome.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023