Anna Bises Vitale appartiene a quella generazione di ebrei che ha subìto la persecuzione e la cacciata dal proprio Paese. Nata a Roma nel 1928 in una famiglia ebraica benestante, il padre era avvocato, vive i primi anni della sua vita in un clima sereno, attorniata dall’affetto dei propri cari.

Le leggi razziali del 1938 la cacciano dalla scuola, come altri studenti di ogni ordine e grado, e costringono lei e la sua famiglia a lasciare Roma alla volta di Buenos Aires. Il 13 dicembre il padre Enrico Bises viene cancellato dall’albo degli avvocati e dei procuratori di Roma, al quale si era iscritto nel 1919, in quanto “appartenente alla razza ebraica”. Il 14 dello stesso mese la Camera dei deputati vota all’unanimità a scrutinio segreto la conversione in legge dei Regi decreti recanti i provvedimenti in difesa della cosiddetta “razza italiana”.

E allora si deve lasciare ogni cosa e partire, per non tornare forse mai più, verso il porto di Genova, da dove salperà la nave alla volta dell’Argentina, con i genitori e i due fratelli. Racconterà la sorella Fiammetta: “La cosa peggiore è essere stati trasportati come un pacchetto, su una nave così piccola, poi vedere i miei genitori sempre a lutto, di nero, cravatta nera e fascia nera mio padre. Tutta di nero mia madre. Troppi morti, in famiglie allora così numerose, prima della seconda guerra”. Racconta Anna: “Partimmo dall’Italia senza portarci dietro niente di casa, (...) I nostri giocattoli erano rimasti in un soppalco. Il Monopoli è l’unica cosa che ho potuto portare insieme alle carte da gioco, e forse i bastoncini Shangai”. Un mondo si perde e un nuovo si affaccia. Difficoltà di comprendere la nuova lingua, abitudini diverse, perdita delle cose più care, della sicurezza della casa e degli affetti. E l’esilio diventa la metafora della condizione umana di uomini e donne costretti a lasciare tutto, ieri come oggi. Chi resta a Roma, soprattutto i cugini più poveri che vivono nel ghetto, verranno quasi tutti deportati dopo la razzia del ghetto del 16 ottobre 1943. Uno zio ultraottantenne viene scaraventato a calci e pugni giù per le scale di casa e lasciato morire. Nessuno è più tornato.

Pian piano si affacciano a Buenos Aires conoscenze che in taluni casi diventano amicizie e qualcuna lo sarà per tutta l’esistenza. Bambine, adolescenti, giovani e poi donne adulte. L’amicizia nutre e accompagna nella vita. In particolare Anna si legherà a un’altra giovane ebrea anche lei esule in Argentina con la famiglia, Vera Vigevani che molto giovane sposerà Giorgio Jarach, un ebreo triestino. Gli urti della storia le colpiranno entrambe. Anna con il marito e i 3 figli decide di ritornare in Italia nel 1964 alla volta di Torino, per non essere travolti dall’instabilità politica e economica argentina e salvare i figli dalle dittature. Si ricomincia un’altra volta.

Vera sceglie di restare in Argentina, lavorando come giornalista Ansa. Entrambe perderanno tragicamente un figlio: Anna il figlio Marcello in un terribile incidente d’auto nel maggio 1976 a Torino, e a poca distanza Vera perderà la figlia Franca a diciotto anni, desaparecida come migliaia di altri giovani argentini, lanciati da un aereo e gettati in mare. Nessuna tomba sulla quale piangere e portare un fiore.

La vita di Anna Bises si intreccia con le vite di altre donne frequentate oltre le appartenenze. Nora Smolensky, scrittrice e antropologa triestina emigrata in Argentina, Renée Slotopolsky, che perderà i suoi tre figli nella dittatura argentina, Giuliana Ascoli Vitali Norsa, studiosa delle tradizioni alimentari ebraiche e madre di Manuela Dviri, giornalista e scrittrice. La sua vita assume un valore importante non solo per la storia delle donne, ma per la trasmissione della storia del Novecento e degli urti nei quali si è imbattuta, dai quali ha saputo trarre insegnamento e ha saputo rifiutare l’odio, malattia dell’anima, come Etty Hillesum ha sostenuto nella sua breve ma intensa vita. “Anche se non rimanesse che un solo tedesco decente - scrive Hillesum nel suo diario-, quest’ultimo meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero. (...) Si deve ben prendere posizione, sdegnarsi per certe cose in certi momenti, provare a capire, ma quell’odio indifferenziato è la cosa peggiore che ci sia. È una malattia dell’anima” (15 marzo 1941, ore 9,30).

Anna tornerà più volte in Argentina ospite di Vera Jarach, e incontrerà le Madres di Plaza de Mayo, marciando con esse, che instancabilmente richiedono giustizia dando nome ai figli e ai nipoti. Una marcia silenziosa e potente che ha ispirato altre donne nel mondo per la richiesta di diritti brutalmente negati.

Come ha scritto Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé: “Le donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di che cosa sono capaci. Non devono temere di attraversare gli sterminati confini dell’irrazionalità, e neanche di rimanere sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo. Non devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori”.

Anna Bises Vitale ha saputo nel corso della sua esistenza riconoscere l’inatteso che fa capolino quando meno te l’aspetti, e ha fatto del dolore una risorsa.

Tornata a Torino si impegnerà in tante attività, in particolare nella Comunità ebraica torinese, come presidente dell’Archivio delle Tradizioni e del Costume ebraici Benvenuto e Alessandro Terracini per valorizzare la storia degli ebrei, con sensibilità e rigore, promuovendo mostre, attività, pubblicazioni. Tra le tante la mostra itinerante Vita e cultura ebraica sulla presenza degli ebrei in Piemonte nei secoli XVIII e XIX, esposta in molte città italiane, a New York e alla Knesset di Gerusalemme. Negli anni della sua presidenza furono restaurati preziosi manoscritti e libri antichi settecenteschi provenienti da Francoforte, Amsterdam, Berlino, Livorno, Vienna, Praga e Costantinopoli.

Malata e in precarie condizioni di salute, intraprende un ultimo viaggio in Israele, alla ricerca dei parenti lontani, con la volontà, suggellata dal rapporto con i nipoti, di vedere coi propri occhi quella terra martoriata, scegliendo con dubbio, proprio come affermava Pier Paolo Pasolini in un suo viaggio a Gerusalemme nel 1967.

Dalla crepa passa la luce, recita una canzone di Leonard Cohen, Anthem, quelle crepe che hanno caratterizzato la vita di Anna e di tante donne vissute nel Novecento, il secolo delle donne, dei diritti, ma anche delle più terribili atrocità. Attraverso quella crepa è filtrata la luce, pur debole, che ha permesso di rafforzare identità, rinascere dopo il dolore, condurre una esistenza ricca, fatta di relazioni e progetti, e capace di trasmettere amore. Perché come scrive Ursula Hirschmann: “Noi possiamo soltanto amare. Non per bontà, non per senso religioso, ma perché è l’unico modo di restare nella realtà”.

Anna Bises Vitale e le donne da lei conosciute hanno attraversato confini reali e simbolici, superato frontiere, aperto strade, porte, talvolta fermandosi sulla soglia. Hanno sperimentato sulla propria pelle persecuzioni ed esili, portato con sé ferite talvolta mai rimarginate. Una storia che si ripete dolorosamente oggi, di chi lascia la propria terra e fugge da persecuzioni, guerre, fame, alla ricerca di un futuro migliore. Il Novecento dovrebbe offrirci memoria e storia, e da esso dovremmo imparare, come queste donne, a praticare la solidarietà e il rifiuto dell’odio. La capacità di raccontare, trasmettere la storia è la cifra dell’esistenza di Anna Bises, radicata nella realtà, ma mai accettata con sottomissione.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Anna Bises Vitale

Giuliana Ascoli Vitali Norsa, La cucina nella tradizione ebraica, Adei Wizo, Padova 1984

Manuela Dviri, Un mondo senza noi, Piemme, Milano 2015

Marcella Filippa, Anna Bises Vitale la narratrice, Aras edizioni, Fano 2023

Fabio Levi, Alice Rolli (a cura di), Il mondo di Marcello operaio per scelta nella Torino del ’68, Silvio Zamorani editore, Torino 2006

Lucetta Levi, Anna Bises Vitale (a cura di), Percorsi di vita e cultura ebraica, catalogo della mostra, la grafica Nuova, Torino 2006

Eleonora Maria Smolensky, Vera Vigevani Jarach, (a cura di), Tante voci, una storia. Italiani ebrei in Argentina, Silvio Zamorani editore, Torino 2005




Voce pubblicata nel: 2024

Ultimo aggiornamento: 2024