“L’Europa spetta a Picasso, a Matisse e a molti altri. L’India spetta solo a me”.
Amrita Sher-Gil è stata una delle più grandi pittrici d’avanguardia nell’India del Novecento e una pioniera nell’arte indiana moderna.
Nasce il 30 gennaio 1913 a Budapest, da madre ebrea-ungherese e da padre indiano, di religione sikh.
Con lo scoppio della Grande Guerra la famiglia si trasferisce nella dimora di campagna vicino a Budapest. Qui Amrita trascorre i primi anni della sua vita in serenità, ricevendo un’educazione privata di alto livello e dimostrando fin da subito una naturale propensione per il disegno. Nel 1921 la situazione politica in Ungheria si complica a tal punto che la famiglia Sher-Gil si trasferisce in India, a Simla: per volere della madre, Amrita e la sorella Indira crescono nell’alta società, studiando le arti del disegno e della musica. Nel 1924, a causa di una relazione extra-coniugale della madre che vuole seguire il suo amante, Amrita e la sorella si spostano a Firenze. Qui la ragazzina viene iscritta a una scuola cattolica. La rigidità dell’impronta religiosa dell’istituto le procura enorme disagio. Mentre la madre conclude la relazione con il suo nuovo amore, Amrita viene espulsa soprattutto per il vivo interesse per la pittura dei nudi. Anche se questa verrà sempre ricordata da Amrita come una brutta esperienza, lei stessa ammetterà più avanti di aver ricevuto grande ispirazione dallo studio dei maestri del Rinascimento italiano. La madre e le due figlie quindi ritornano a Simla e Amrita viene iscritta a un’altra scuola cattolica, dove, ancora, viene espulsa per le sue dichiarazioni di ateismo e di denuncia di quelli che chiama gli “assurdi riti cattolici”. La giovane pittrice inizia quindi a studiare da autodidatta nella sua casa di Simla. Nel 1929 la famiglia comprende il suo talento e decide di darle la possibilità di studiare a Parigi, trasferendosi e iscrivendola alla Scuola Nazionale delle Belle Arti. Iniziano qui gli anni più sfrenati della vita di Amrita, divisa tra l’impegno per la pittura e le relazioni amorose spregiudicate nella Montparnasse post-impressionista.
La segna in questo periodo un episodio di aborto e la delusione amorosa suscitata da una relazione infelice con un giovane indiano di buona famiglia, che la traumatizzerà per tutta la vita. Comunque, lo studio dell’anatomia del corpo umano e l’interesse per il primitivismo di Gauguin la affascinano profondamente e le fanno dipingere, fra molti, un capolavoro quale Autoritratto come una tahitiana. L’interesse per il primitivismo apre una ricerca segnata dal ritorno e dalla curiosità per l’India, dove si trasferisce nel 1933, pronta per una nuova avventura umana e artistica. I soggetti della sua pittura diventano i poveri, i contadini, la gente comune. Il suo stile va sempre più verso l’essenzialità e la geometria delle forme. I colori diventano quelli caldi e sensuali di questa terra bruciata dal sole. Amrita compie una sorta di pellegrinaggio nei luoghi clou dell’India: Ellora, Ajanta, Madurai, Trivandrum, Cape Comorin (dove assiste a un incontro di meditazione del Mahatma Gandhi), Cochin e Harappa. In seguito a queste visite si dedica alla pittura en plein air, rende il colore l’anima dei suoi dipinti e assorbe la tradizione delle antiche pitture indiane, come si vede nella cosiddetta Trilogia del Sud, considerata l’apice della sua carriera artistica, composta dalle tele La Toilette della Sposa, Abitanti di un villaggio del sud che vanno al mercato e Brahmacharis. In questi anni Amrita espone a importanti mostre, viene acclamata dalla critica, conosce personaggi importanti del panorama artistico indiano contemporaneo. Ma soprattutto diventa la prima artista donna in India che fa della pittura il suo mestiere vero e proprio.
Si lega a un giornalista inglese coraggioso e spregiudicato, Malcom Muggeridge. Ma il loro amore passionale e tormentato presto finisce, anche se la stima e l’affetto reciproci rimarranno per sempre. Di lei Miggeridge ricorda: “Dipingeva con una fame feroce, sudando mentre lavorava. E̔ l’istinto animale che Amrita in qualche modo trasferisce ai colori, che riesce a mischiare e che poi schizza sulla tela. Il suo senso di pura sensualità era fortissimo e la sensualità del mondo, quindi il crescere delle cose, gli animali, i colori - che erano ciò che davano alla sua pittura una forte vitalità - le provocava un’intensa gioia”. Dopo un’altra veloce relazione che la porta a un secondo aborto, nel 1938 Amrita è promessa al cugino ungherese Victor Egan e quindi obbligata a tornare in Ungheria, a sposarsi e a assumere il ruolo di moglie. Nonostante l’affetto per Victor, uomo che sempre la rispetterà, la giovane non sarà mai veramente felice di questo matrimonio che spesso costringerà il suo desiderio di libertà. In Ungheria si avvicina allo stile pittorico della scuola di Nagybanya e si appassiona a Bruegel, due influenze che la portano a realizzare molte opere interessanti. Nel 1939 i due coniugi tornano in India dove visitano Agra, Delhi, Mathura e Lucknow, luoghi che nutrono l'ispirazione di Amrita e segnano un nuovo periodo di sperimentazione e di transizione. L'artista si concentra, a questo punto, su figure di donne, realizzate con forme sempre più piatte ed essenziali e con colori caldi, soprattutto il rosso, scelte che suscitano una spiccata sensualità tattile. Si vedano i magnifici dipinti L’altalena, Donna al bagno, La sposa e Donna riposa sul charpai. Ma questa ventata d’innovazione sarà l’ultima per Amrita, che nel 1940 cade definitivamente in una depressione che la compromette artisticamente e fisicamente, fino alla morte, sopraggiunta il 5 dicembre 1941 a Lahore, Pakistan. Le ragioni di questo non sono chiare (forse un aborto o una malattia mai rivelata; non mancano sospetti sul marito).
Ma tutto ciò non deve distrarre dalla rivoluzione operata da Sher-Gil: in primis quella della sua pittura, che concilia la tecnica europea di Cézanne e Gauguin con il sentimento e il colore indiano in un perfetto equilibrio, facendosi ponte tra la cultura artistica asiatica e quella occidentale del XX secolo. In secondo luogo l’ingresso dei “poveri” in una pittura contemporanea. E infine la rivoluzione personale che Amrita è riuscita almeno in parte a incarnare, coltivando la propria ricerca e l’espressione della propria libertà. Almeno in parte.
Singh, N. Iqbal, Amrita Sher Gil: A Biography, Vikas Publishing House, New Delhi, 1984
Mitter, Partha, The Triumph of Modernism. India’s Artists and the Avant-Garde, 1922-1947, Reaktion Books, Londra, 2007
Referenze iconografiche:
Prima immagine: Amrita Sher-Gil con tre dei suoi dipinti. Fonte: MMA. Immagine in pubblico dominio.
Seconda immagine: Autoritratto taihitiano, Amrita Sher Gill, 1934. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2018
Ultimo aggiornamento: 2023