"I don’t know if you were serious in talking of us as rivals. Rivalry has no place in scholarship. We are co-workers. I will be glad to help you in any way possible. The important thing is the solution of the problem, not who solves it." 1
Linguista americana e insegnante di latino e greco presso il Brooklyn College di New York, Alice Kober è la donna che non ha decifrato il lineare B, scrittura micenea dell’età del bronzo 2.
Nel 1952 Michael Ventris annunciò la lettura dei testi micenei e un interrogativo più o meno esplicito avvolge da allora il nome di Alice Kober: sarebbe riuscita a decifrarli se non fosse morta così presto?
Laureata all’Hunter College (1928), PhD alla Columbia University (1932), Alice Kober intraprese lo studio delle iscrizioni grazie alle tavolette di Cnosso pubblicate da Sir Arthur Evans e, soprattutto, alle copie che gli erano state sottratte, e dedicò al lineare B tutto il tempo non occupato dall’insegnamento.
Sin dall’inizio tracciò il suo percorso di ricerca fuori dai sentieri battuti. Convinta della necessità di un approccio transdisciplinare, Alice Kober studiò l’archeologia partecipando a degli scavi in Messico (1936) e in Grecia (1939); completò la sua conoscenza delle lingue classiche con lo studio del sanscrito, del persiano antico, dell’ittita, dell’accadico, del sumero, dell’antico irlandese, del basco e del cinese; s’interessò ai metodi della matematica e della fisica. Inoltre, persuasa che la scienza come la conoscenza si fondassero sul dialogo e sulla condivisione, promosse e intrattenne uno scambio continuo e generoso con i linguisti, i filologi e gli archeologi delle università americane ed europee, tra i quali in particolare Emmett L. Bennett, specialista delle iscrizioni di Pylos. Questo approccio di ricerca, che trascende le distinzioni disciplinari e la gerarchia accademica, testimonia della singolarità di Alice Kober.
Tra gli studiosi che tentarono di scoprire quale fosse la lingua delle tavolette micenee – chi aveva proposto l’ittita, chi il basco, chi, come Evans, aveva certamente escluso il greco –, Alice Kober si distingue per l’analisi sistematica e rigorosa di “ciò che i Minoici hanno scritto” 3, cosciente della distinzione necessaria tra lingua e scrittura, e del pericolo di un’assimilazione precipitosa nel caso di documenti antichi di tremila anni e redatti in un sistema grafico e linguistico ignoti. Contro qualsiasi ipotesi di tipo speculativo, i fatti sono la priorità nella sua ricerca che, risolutamente empirica, mira ad estrarre tracce e segni dall’argilla affinché nella scrittura, la forma e la struttura della lingua possano essere riconosciute al di là del tempo.
Quattro articoli scandiscono il suo lavoro. Pubblicati tra il 1944 e il 1948 nell’«American Journal of Archaeology», l’unico che all’epoca permettesse di inserire un numero importante di immagini nelle sue pagine, in questi studi i testi e le tavolette, ma soprattutto i segni e le parole rappresentate dalle stringhe che gli scribi avevano tracciato sull’argilla molle e che ora Alice Kober tracciava a mano sulla carta, copiandoli, comparandoli e ordinandoli, mostrano un esame attento e permettono di seguire una vera e propria meccanica del ragionamento e della lingua, ancorati nella materialità dello scritto.
A partire da un corpus ristretto di tavolette – le “tavolette dei carri” di Cnosso –, poi di ideogrammi, Alice Kober rilevò le variazioni nella parte finale dei gruppi di segni che rappresentano le parole e dimostrò la natura flessiva della lingua, ne identificò la declinazione nominale e infine la struttura fonologica e i patterns fonetici, consonante + vocale, che caratterizzano ogni segno del sillabario. I risultati ottenuti in questa progressione sono evidenti. Senza ricorrere all’ipotesi di una lingua particolare, ma attraverso la comparazione e l’analisi, Kober aveva progettato e costruito una struttura grafica e linguistica che permettesse di rendere esplicita la relazione tra semantica, sintassi, grammatica e fonetica che le iscrizioni celavano e di fornirne la prova scientifica: una Stele di Rosetta teorica.
Ma l’”inventario” delle iscrizioni che figura soltanto in appendice a Scripta Minoa II (1952) di Sir John L. Myres, successore di Evans, all’edizione della quale Alice Kober lavorò intensamente anche durante due soggiorni a Oxford, nel 1947 e 1948, deve essere considerato con attenzione. Più che un supporto o uno scritto secondario, questa classificazione, da subito ignorata, costituisce di per sé un risultato scientifico e il manifesto del metodo radicalmente nuovo che aveva sviluppato.
I documenti personali di Alice Kober, da lei stessa lasciati a Emmett L. Bennett e conservati dal 1986 presso il PASP – University of Texas at Austin, sono in tal senso straordinari. Insieme ai manoscritti non pubblicati, conferenze e bozze, gli scritti di lavoro di Alice Kober permettono di riconoscere il tenore della procedura seguita: quella di un laboratorio, o di un centro di Intelligence. Delle schede ritagliate a partire da documenti amministrativi, cartoline, biglietti di auguri o pubblicità; dei grafici e dei calcoli statistici elaborati con matite colorate e righello su quaderni, carta millimetrata, fogli di formato differente; dei cartoni perforati come strumento di comparazione, misura e calcolo; infine, delle griglie di corrispondenza, tra le quali una in particolare, discretamente tracciata su un quaderno, così simile a quella più celebre che portò Ventris a sostituire i sillabogrammi del lineare B con le lettere dell’alfabeto.
Ancor meno conosciuta e ancora oggi poco esplorata, la corrispondenza di Alice Kober: centinaia di pagine in cui humour e onestà intellettuale, risolutezza e modestia, si sposano con la precisione e il rigore, e in cui la passione si legge insieme all’asperità del soggetto trattato in una lingua poetica ed elegante.
È considerando l’opera nel suo insieme che è possibile apprezzare la figura di Alice Kober e finalmente situarla nella storia, non soltanto della decifrazione del lineare B, ma del pensiero, della tecnica e della scienza. La grandezza ne fu prefigurata da Leonard Bloomfield che, in una lettera del 1944, le scriveva “the very notion of your problem scares me”, eppure, ad Alice Kober è mancato un pubblico. In vita e in morte.
Malgrado i risultati delle sue ricerche, che la portarono a tenere conferenze in istituzioni autorevoli, le guadagnarono la fiducia, o la considerazione, degli specialisti più illustri, e le valsero la prestigiosa borsa di studio della Fondazione Guggenheim nel 1946 (lo stesso anno di Roman Jakobson), Alice Kober non ottenne mai un posto stabile in un’università e restò ai margini dell’accademia.
Menzionata rapidamente da Ventris nel discorso alla BBC del 1 luglio 1952 in cui annunciava il successo della decifrazione, il nome di Alice Kober figura nella letteratura in maniera aneddotica. Basti pensare alle tre declinazioni nominali che mise in luce nei testi in lineare B, irriverentemente passate alla storia e insegnate come “i terzetti di Kober”.
In eco e a conferma di questo stato di cose, la vita di “Miss Kober” viene descritta il più delle volte come frustrante e triste e quindi priva di interesse. Eppure, il ritratto della donna sola, timida e sobria che visse solamente d’insegnamento e di studio, lavorando al tavolo del salotto della modesta casa di Brooklyn dove viveva con la madre vedova, è smentito da numerose testimonianze che parlano di uno spirito vivo, passionale, ironico e divertente, audace e ingegnoso. Tanto che se è difficile e inopportuno giudicare la vita, si può affermare che la biografia scientifica e la morte di Alice Kober tristi certo lo sono state.
Più che sulle schede si è insistito sulle stecche di sigarette che Alice Kober utilizzava come schedari; più che sul metodo, sulla scrupolosità; più che sul tenore di un’epoca e di un ambiente, sulla sfortuna, la crudeltà della malattia restando allora l’unica soluzione, o l’unica forma di redenzione.
Rari sono gli studiosi che hanno rilevato le implicazioni epistemologiche del suo lavoro, e tra questi sicuramente Maurice Pope, linguista, specialista delle scritture cretesi e delle decifrazioni (1975). Curiosamente, all’assenza d’interesse e di approfondimento in ambito scientifico e accademico, rispondono un romanzo, opera della scrittrice scozzese Alison Fell e risultato di una vera e propria ricerca sulla vita di Alice Kober (2012), e la storia della decifrazione della giornalista Margalit Fox (2013) che insiste sul ruolo della linguista americana. La digitalizzazione, oggi finalmente in corso, permetterà un accesso agevolato al materiale d’archivio.
Se la storia del progresso tecnologico e scientifico è la storia di “uomini che…”, le cui biografie lasciano presagire il genio e annunciano un destino di successo, Alice E. Kober è allora una controparte singolare e paradigmatica, donna, scienziata, disconosciuta e, sì, decifratrice a questa stessa storia continua ad opporre resistenza.
A. Fell, The Element -Inth in Greek, Sandstone Press 2012
M. Fox, The Riddle of the Labyrinth. The Quest to Crack an Ancient Code, Harper Collins, New York 2013
M. Pope, The story of decipherment: from Egyptian Hieroglyphs to Linear B, Thames & Hudson, London 1975
Sulla scrittura Lineare B e le iscrizioni micenee:
M. Perna e M. Del Freo (a cura di), Manuale di epigrafia micenea. Introduzione allo studio dei testi in lineare B, Libreria Universitaria 2019
Referenze iconografiche: Alice Kober nel 1946. Fonte: "Alice E. Kober 43; Lost history to no more", NYT, 2013. Fair Use.
Voce pubblicata nel: 2020
Ultimo aggiornamento: 2023