Torture di Wislawa Szymborska
Nulla è cambiato.
Il corpo prova dolore,
deve mangiare e respirare e dormire,
ha la pelle sottile, e subito sotto – sangue,
ha una buona scorta di denti e di unghie,
le ossa fragili, le giunture stirabili.
Nelle torture di tutto ciò si tiene conto.

Questa è la prima strofa della poesia Torture della poetessa polacca Wislawa Szymborska. Il tema della tortura accompagnerà quasi tutta la vita di Marianella Garcia Villas, come l’avvocata esprime bene in un’intervista del 1981 rilasciata a Spazio Sette (RAI).1

Marianella Garcia Villas nasce nel piccolo stato centro americano di El Salvador, nel maggio 1948. La sua è una famiglia borghese e benestante, la madre è salvadoregna, il padre spagnolo, avvocato e docente universitario a San Salvador.

Marianella studierà sia nel suo paese che in Spagna, in un collegio di suore per ragazze di famiglie facoltose. Ancora adolescente, sente acutamente l’ingiustizia nei confronti dei poveri: quando nel collegio di suore le ragazze vengono portate a fare opera di carità presso le famiglie dei quartieri più miseri, Marianella vede bambini e bambine costretti a vivere in caverne, senza cure e cibo. Ne è molto scossa e lo sarà fino alla fine della sua vita.

Tornata in Salvador, si laurea in filosofia e giurisprudenza. Profondamente religiosa, entra presto a far parte di Azione Cattolica e continua a sentirsi vicina ai problemi dei poveri, del popolo del suo paese. In particolare si occupa delle donne, in una paese machista come lei stessa definisce El Salvador.

El Salvador è in mano a poche famiglie ricche che esprimono presidenti e governi per lo più militari e ben poco democratici. Ma il periodo di una dittatura militare più feroce va dal 1979, anno del golpe militare, al 1992, periodo in cui infuria la guerra civile fra la dittatura militare e il fronte popolare Farabundo Martì, che raccoglie quasi tutte le opposizioni del paese e va da chi lotta contro il potere con la guerriglia a chi sostiene la non violenza, come Marianella.

El Salvador è uno dei tanti paesi dell’America Latina che negli anni Settanta furono oppressi da efferate dittature militari, come il Cile, l’Argentina, il Brasile, il Nicaragua. Più volte la stessa Marianella denuncerà come queste dittature siano state sostenute, aiutate, addirittura insediate dagli Stati Uniti.

Marianella in un primo tempo si iscrive alla Democrazia Cristiana e viene eletta in parlamento dal 1974 al 1976. La maggior parte dei suoi elettori è costituita dai contadini e dalle donne che aiuta nelle comunità di base. Si distaccherà dal partito per la convinzione che a nessuno interessi davvero della gente comune, anche considerando che per un certo periodo l’allora presidente della Democrazia Cristiana, Napoleon Duarte, sarà al governo proprio coi militari.

Marianella allora si dedicherà alla Commissione per i diritti umani del Salvador, di cui è fondatrice e presidente.
Per questa attività viene arrestata più volte. La prima volta nel periodo in cui è in cella viene anche violentata. Per lei profondamente è un grande trauma, di cui per molto tempo non riuscirà a parlare. Eppure quando, tempo dopo, riconoscerà per strada il suo violentatore, pur potendolo investire, sceglierà, e sarà per sempre, la strada della non violenza.

In occasione di un altro arresto, mentre era parlamentare, riuscì a far uscire proprio dalla macchina della polizia dei volantini contro il governo. In questi anni collabora da vicino col vescovo di San Salvador, Oscar Romero, anche lui sensibile al “grido del popolo” come dirà lui stesso. Romero, come moltissimi altri sacerdoti, verrà ucciso mentre dice messa nel 1980.
In quest’anno la dittatura si fa più feroce, vengono uccise anche quattro suore statunitensi che avevano denunciato la connivenza del governo USA con la dittatura, che diffonde il terrore con gli squadroni della morte.

Nel piccolo paese gli episodi di assassini, di torture, sparizioni di gente comune sono sempre più numerosi e incontrollabili. La Commissione dei diritti umani e Marianella sono impegnati ormai soprattutto a documentare le morti, a dare un nome a chi, sparito, viene ritrovato ai bordi delle strade, ucciso e torturato. Le donne portano sempre i segni della violenza sessuale.

Marianella e i suoi collaboratori girano fra i cadaveri per fotografare i corpi.
Essenziale per questa opera di testimonianza è arrivare nei luoghi delle uccisioni in modo tempestivo, e per questo è fondamentale la rete delle donne del mercato che, attraverso un linguaggio in codice, avvertono Marianella e i suoi collaboratori del luogo dove si trova l’ennesimo cadavere e della presenza della polizia.
Intanto però la dittatura sta decimando la Commissione: molte collaboratrici e collaboratori di Marianella vengono uccisi o fatti sparire.

Indomita, Marianella porta la sua denuncia fuori dal paese. Viaggia in Europa, nel 1981 è in Italia e denuncia quanto accade in Salvador e in tutta l’America Latina. Raccoglie prove, accusa i militari, gli Stati Uniti, chiede giustizia per i diritti del popolo e del terzo mondo. Marianella non tace, solleva le coscienze, chiede ai governi europei di prendere posizione.

Le minacce e i pericoli, intensificatisi dopo la morte di Romero, la costringono alla fuga in Messico per un periodo. Nonostante questo, Marianella insiste per tornare più volte nel suo paese. L’ultima volta è il gennaio 1983.
Tornata, con la sua macchina fotografica, cerca prove che testimonino l’uso di armi chimiche come fosforo bianco o Napalm da parte dell’esercito contro la popolazione. Frequenti anche le sue denunce della vietnamizzazione della situazione nel suo paese.

Braccata nel marzo del 1983 viene arrestata, restando per otto ore in mano agli uomini dello squadrone della morte. Viene quasi certamente torturata, prima di essere uccisa. Il suo corpo, gettato in una delle tante fosse comuni, viene fortuitamente riconosciuto. Così Marianella riceve un funerale in cui la gente del popolo può darle un ultimo saluto.

Il suo efferato assassinio si rivelò controproducente per la dittatura, essendo Marianella un volto molto noto a El Salvador, ma anche a livello internazionale. Nonostante questo, la guerra civile e la dittatura continuarono fino al 1992.

Continuiamo a lottare con la voce e con la penna
Per noi che viviamo quotidianamente le angosce di questa vita,
per noi che sentiamo quotidianamente sulla nostra pelle la morte degli altri,
per noi che tocchiamo le ferite, i segni delle torture sui cadaveri,
per noi che raccogliamo corpi senza testa,
teste senza corpo e le ossa dei nostri fratelli,
per noi che abbiamo fotografato le vittime,
per noi che abbiamo ascoltato i testimoni,
il pianto silenzioso e anonimo di familiari anonimi di vittime anonime,
tutto questo è un panorama abituale,
parte sostanziale della nostra vita, sempre appesa al filo del caso.
Tutto questo è la nostra vita quotidiana, che si riflette nei nostri occhi,
che invade il nostro olfatto, che impregna le nostre mani.
Ma è anche ciò che rafforza e legittima la nostra azione
e la lotta del nostro popolo per la conquista del diritto alla vita,
a un tetto, a un libro, a un tozzo di pane.
Non ci importa se ci chiamano sovversivi, traditori della patria;
non ci importano gli arresti e le vessazioni
che abbiamo patito per difendere i prigionieri politici;
non ci importano le distruzioni con le bombe
delle nostre sedi e delle nostre case.
Continuiamo a lottare con la voce e con la penna,
e con il pensiero certo angosciante che possa arrivare la morte.

Marianella García Villas

Note


1 L'intervista a Marianella García Villas può essere ascoltata e vista a questo link.


Fonti, risorse bibliografiche, siti su Marianella Garcia

Raniero La Valle, Linda Bimbi, Marianella e i suoi fratelli, Mi Feltrinelli, 1983
Marianella García Villas - Wikipedia

Marianella García Villas - Monastera di Bose

Anselmo Palini, Marianella Garcìa Villas. “Soltanto per amore” - Rivista Dialoghi


Voce pubblicata nel: 2025