«Nella mia famiglia tutti scrivevano, avevo una nonna scrittrice, un padre che scriveva libri di viaggio, un altro nonno che scriveva libri di filosofia. Insomma, era un po’ un mestiere di famiglia. A casa mia mancava di tutto ma non i libri».
Prima di tutto lettrice insaziabile – oggi ha una biblioteca di quasi diecimila libri –, Dacia Maraini è uno dei nomi della letteratura italiana più tradotti nel mondo. Romanziera, poetessa, drammaturga, critica, assidua collaboratrice di riviste e giornali, tra cui il «Corriere della Sera» sul quale scrive una rubrica con cadenza quindicinale, è nota al grande pubblico anche per il suo notevole impegno civile e sociale. Comincia la sua carriera letteraria a diciassette anni, nel tentativo di far fronte a un sentimento di inadeguatezza. «Nel mio caso si è espressa, da piccola, in una difficoltà nel parlare, in una timidezza morbosa che mi ha fatto molto soffrire. Ma forse è stata proprio l’inadeguatezza a spingermi verso la scrittura. Mi trovavo infatti meglio a scrivere che non a parlare». Per il lavoro di scrittura Dacia Maraini si definisce una certosina. Tutte le mattine si alza alle otto e mezza e si mette al tavolo di lavoro fino alle due, poi riprende nel pomeriggio. Si sofferma con disciplina sui testi, scrive e riscrive tante volte, al computer. Non termina mai un romanzo prima dei tre anni. Il momento ispirativo è un mistero anche per lei, mentre nella stesura della trama si dice guidata dagli stessi personaggi. La prosa, ruvida ed essenziale agli esordi, diviene a mano a mano più morbida, sensuale, odorosa. La sua è una scrittura fortemente “realistica”, di analisi e denuncia delle piaghe dell’umanità, prima tra tutte quella della violenza sulle donne, uniche protagoniste dei suoi romanzi; ma anche dell’infanzia violata, della mafia, degli abusi edilizi, del maltrattamento sugli animali e altro ancora.
Dacia Maraini nasce a Fiesole nel 1936. Il padre, Fosco, è un etnologo con l’amore per la cultura orientale, mentre la madre, Topazia Alliata di Salaparuta, erede di una nobile famiglia siciliana, è pittrice e appassionata d’arte. Nel ’38, a seguito di una borsa di studio vinta dal padre per una ricerca sugli Ainu, la famiglia si trasferisce nel nord del Giappone. Avendo rifiutato l’adesione alla Repubblica di Salò, nel ’43 i coniugi Maraini vengono internati insieme alle tre figlie nel campo di concentramento a Nagoya. Trascorrono due anni di orrori, sui quali la memoria della scrittrice continua ancora «a puntare i piedi». Il rapporto con la fame resta uno dei più difficili da affrontare. «Il cibo era diventato un’ossessione, un incubo, il nostro mito quotidiano. Chi conosce i miei libri sa infatti che parlo spesso di cibo, mi soffermo sui dolci o sui primi piatti, con molta attenzione e sensualità».
Nel ‘46 i Maraini rientrano in Italia, recandosi prima a Firenze e poi stabilendosi in Sicilia presso i nonni materni, nella Villa Valguarnera di Bagheria. Le difficoltà di adattamento al nuovo ambiente portano la giovane Dacia a rifugiarsi nei libri: mentre le sue coetanee vanno a ballare o in gita, lei si immerge nella lettura fino a dimenticarsi di tutto. Qualche anno dopo i genitori si separano e il padre va a vivere a Roma, dove lei lo raggiunge compiuti i diciotto anni. Per vivere si arrangia facendo diversi lavori, dalla segretaria all’archivista. Più tardi si sposa con il pittore milanese Lucio Pozzi e nel ‘62 pubblica il suo primo romanzo, La Vacanza. A questi anni risale l’incontro con Alberto Moravia, che si è appena separato dalla moglie, Elsa Morante. Uomo sempre «in fuga per inquietudine intellettuale e psicologica» – simile in questo all’amatissimo padre Fosco – lo scrittore romano sarà suo compagno di vita fino al ’78. I due faranno numerosi viaggi in Africa, India, Cina e altri paesi, molti dei quali insieme a Pier Paolo Pasolini. Al pari della scrittura, il viaggio è considerato da Dacia Maraini come parte naturale del suo destino: il viaggio fisico, alla scoperta di nuove terre e culture (già a un anno viene fatta salire su una nave per Kobe), ma soprattutto quello attraverso i libri, per lei il più affascinante.
Nonostante il successo di pubblico, molta critica è diffidente nei confronti della sue prime opere, considerate scandalose per alcuni temi che precorrono quelli del movimento femminista degli anni Settanta. Nel ’63, con l’assegnazione del prestigioso Premio Formentor a L’età del malessere, la polemica infuria sui giornali e Dacia Maraini viene pubblicamente accusata di essere una protetta di Moravia. Ci vorranno anni di duro impegno e decine di migliaia di copie vendute prima di riscattarsi da tali accuse, anche se la sua opera rimane ancora oggi inadeguatamente studiata.
Negli anni ’70, facendosi incalzante l’impegno femminista, è co-fondatrice del teatro gestito da sole donne La Maddalena (1973), che verrà dopo la Compagnia del Porcospino (1967) e della Compagnia Blu a Centocelle (1970). La notorietà internazionale arriva con Maria Stuarda (1980), dramma tradotto e messo in scena in 22 paesi, mentre il primo grande successo di pubblico e di critica l’abbraccia con il romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990, vincitore del premio Campiello. Buio, del 1999, vincerà invece lo Strega).
Con Bagheria (1993), romanzo attraverso cui la scrittrice insegue il fantasma di un padre tanto amato ripercorrendo le tappe della sua infanzia in Sicilia, si apre il genere autobiografico, finora inesplorato e riproposto poi con La nave per Kobe (2001) e Il gioco dell’universo. Dialoghi immaginari fra un padre e una figlia (2007). Il recupero di memorie sommerse si fa negli anni sempre più urgente. Contro la cultura del consumismo, Dacia Maraini dirà di sentirsi in dovere di coltivare la memoria come una «giardiniera paziente». In questa direzione vanno i racconti di La ragazza di via Maqueda (2009) e gli articoli de La seduzione dell’altrove (2010), opere che ai ricordi personali uniscono acute analisi sulla società.
Molte sue opere sono trasposte cinematograficamente e lei stessa, del resto, collabora a sceneggiature televisive e cinematografiche (tra le altre, risalta la sceneggiatura de Il fiore delle mille e una notte, 1973-1974, scritta insieme a Pasolini).
Riceve quattro lauree Honoris Causa, di cui una dell’Università Americana Middlebury College del Vermont. L’ultima nel novembre 2010 in Scienze della Formazione presso l’università degli Studi di Foggia. Svolge moltissime attività culturali. Tra l’altro presiede la giuria del Premio Elsa Morante, oltre a essere giurata del Premio Strega e del Premio Benedetto Croce.
Scrittrice sempre in prima linea, è continuamente in giro per il l’Italia e per il mondo onorando i molti inviti che riceve. Appena può si ritira nella sua casa in Abruzzo, luogo della maturità e della solitudine scelto per dedicarsi al suo lavoro di scrittura.
Dacia Maraini. Ho sognato una stazione. Conversazione con Paolo di Paolo, Roma, GLF Laterza 2005
Maria Antonietta Cruciata, Dacia Maraini, Fiesole, Cadmo 2003
Sumeli Weinberg M. Grazia, Invito alla lettura di Dacia Maraini, Pretoria (ZA), UNISA press (University of South Africa) 1993
Il sito ufficiale
Referenze iconografiche:
Prima immagine: Dacia Maraini - le conversazioni 2015. Foto di Alessio Jacona, fonte Flickr. Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic license.
Seconda immagine: Famiglia Maraini. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023