«Mi spiace, ma è impossibile». Parole che almeno una volta nella vita ci siamo sentiti dire. Parole semplici, inequivocabili, che fanno male. Avvertì dolore anche la giovanissima Antonietta quando, mentre suo padre le stava a fianco, le sentì uscire dalla bocca di Ermanno Wolf-Ferrari, allora direttore del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Amilcare Meneghel, il padre, era maestro di musica ed era felice che sua figlia, per l’appunto Antonietta, avesse dimostrato, fin da piccola una grande predisposizione per la musica. La bambina, rimasta orfana di madre in tenera età, aveva l’orecchio assoluto e sapeva cantare a meraviglia: mai una stonatura, mai un tempo sbagliato, e una dizione che poteva definirsi perfetta, anche quando cantava in tedesco Schumann o Schubert. Era stato quindi disposto a trasferirsi da Mogliano Veneto a Venezia quando sua figlia era stata ammessa nel conservatorio di quella città. Le doti c’erano, l’applicazione pure, così come la tenacia, la tecnica e l’interpretazione. Ma mancavano ... le dimensioni, quelle delle mani e Antonietta Meneghel non riusciva a coprire l’ottava. Otto anni di studio buttati via; ma dagli occhi della ragazza non uscì una lacrima. Né, seppure molto deluso, si perse d’animo suo padre. Portò Antonietta da Barbara Marchisio, celebre contralto dei primissimi anni del Novecento, che restò colpita dalla voce di quella ragazza. Tanto impressionata che si offrì di farle da insegnante senza richiedere il minimo compenso.
Dopo quattro anni di studio Antonietta Meneghel, nata a Mogliano Veneto il 27 giugno 1893, a soli 23 anni, debuttò Al Teatro alla Scala di Milano in Francesca Da Rimini di Zandonai nella parte di Biancofiore. Si era nel 1916 e sei anni dopo vi ritornò, questa volta espressamente richiesta da Arturo Toscanini per un nuovo allestimento del Rigoletto di Verdi. Per una tale occasione il nome Antonietta Meneghel era inadeguato. Così la giovane cantante decise di trovarsi qualcosa di più idoneo e sofisticato: Toti Dal Monte. Suonava bene e in musica i suoni sono importanti. In casa e dagli amici era sempre stata chiamata con il diminutivo “Toti”; Dal Monte era il cognome della nonna materna. Nome giusto, doti artistiche perfette, capacità di tenere la scena; in più, e non guastava, l’appoggio di Toscanini. Fu un successo seguito da molte altre pregevoli interpretazioni. Toti, oltre che cantare, sapeva commuovere. Pare che la sua aria Verranno a te sull’aure i miei sospiri ardenti… abbia fatto piangere persino le guardie d’onore che avevano accompagnato il Re al teatro Carignano di Torino. La Lucia di Lammermoor era una della sue opere preferite. Ma era superlativa anche nell’Elisir d’Amore e ne La Figlia del reggimento di Donizetti, e nella Madama Butterfly di Puccini. Indimenticabile è sempre stata definita la sua interpretazione di Gilda nel Rigoletto. Una voce molto bella nella zona acuta e sopracuta perché luminosa, dolce, compatta con un’inflessione incantevole. A volte, in altre interpretazioni, secondo qualche critico (Rodolfo Celletti) sbiancava troppo i suoni centrali, ma negli anni ’20 e ’30 molte soprano lo facevano per “costruirsi” una voce più giovanile e quindi meglio adeguata al personaggio interpretato.
Dopo tanti successi nel mondo della lirica Toti Dal Monte, che nel frattempo aveva sposato il tenore Enzo De Muro Lomanto, da cui si separò consensualmente dopo la nascita della loro figlia Marina, decide di passare alla prosa. La scelta è stata molto probabilmente influenzata da questa figlia, che con il nome di Marina Dolfin fu una delle molte scoperte di Giorgio Strehler alla ricerca di un cast per il suo repertorio goldoniano. Dopo l’esordio con Strehler Marina entra a far parte della compagnia di Cesco Baseggio, ed è con quella compagnia che Toti Dal Monte debutta a teatro.
Ma il fuoco della comunicazione continua a ardere in lei e dopo il teatro non sa negarsi al cinema. Quello che lascia stupiti è udire la sua voce, dedita alle grandi romanze d’amore, passare all’allegro motivetto “Ciribiribin che bel faccin, che sguardo dolce e assassin. Ciribiribin che bel nasin, ciribiribin….” La scherzosa canzoncina è stata scritta da un compositore ben noto, Alberto Pestalozza; ed è la trave portante dell’episodio comico, intitolato appunto CIRIBIRIBIN, che insieme a altri 5 costituisce il film Gli assi della risata diretto da Giuseppe Spirito nel 1943.
Né vanno scordati altri titoli come Il carnevale di Venezia di G. Adami e G. Gentilomo del 1939, Cuore di mamma di L. Capuano del 1954, e Anonimo Veneziano di E.M. Salerno.
Toti Dal Monte è stata sempre ricca di iniziative e desiderosa di sperimentare ogni cosa. Fu infatti giurato alla quinta edizione del Festival di Sanremo 1955 (vincitore Claudio Villa con Buongiorno tristezza) e insieme ad altri fondò l’Accademia Italiana della Cucina. Quando non era in tourné viveva nella terra in cui era nata, nella casa di Barbarisello, accanto a Soligo, dove soleva spostarsi in bicicletta, nonostante la sua mole. Anzi, la sua non era una vera e propria bicicletta, ma una sorta di triciclo «come quello dei fioi» era solita specificare «perché mi so’ un pocheto pesantina e no me fido de andar su do rode sole». All’inizio del Novecento le soprano venivano scelte anche per “stazza”, perché si credeva che per avere una voce possente ci volesse pure una possente carrozzeria. Maria Callas mise perentoriamente a tacere questa diceria, ma a carriera già avviata.
In terra solighese era nata e in terra solighese (Pieve di Soligo) morì, il 26 gennaio 1975 a 82 anni di età, rimpianta da molti e nota a tutti coloro che amano la lirica. Il poeta Andrea Zanzotto le ha dedicato una poesia nel dialetto locale Co l’è mort la Toti.
Referenze iconografiche: Toti Dal Monte fotografata da Mario Nunes Vais. Collezione del Fondo Nunes Vais. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023