Così la ricorda chi l’ha conosciuta: "una donna affascinante e coraggiosa, eclettica e intraprendente, guidata in ogni gesto dall’ideale della libertà”.
Topazia fu pittrice, gallerista, mecenate e imprenditrice. Era nata a Palermo il 5 novembre del 1913 in una delle famiglie aristocratiche siciliane più illustri, anche se lei così scriveva:
In verità io personalmente non ho dato gran peso al cognome che porto. Certo, un notevole peso lo ha la storia che questo cognome, questa famiglia ha attraversato. Una storia fatta di pagine grigie, di pagine nere, di pagine d’oro... una storia nella quale si sommano intelligenze e negligenze, potere e arroganza, generosità e possesso, opportunismo e grandi opportunità... chiamarsi Alliata, allora, significa, forse, portarsi inconsapevolmente dentro il peso di tutto questo... mi piace pensare che lungo la linea di questa famiglia corra sempre un elemento unificante è quella misteriosa capacità creativa, un dono che si perpetua, che ci ha sospinti, anche se con risultati diversi, verso la cultura, l’arte, spesso su posizioni di avanguardia.
Topazia fu educata da un’istitutrice inglese e quando, a diciotto anni, si recò a Londra restò ammaliata da questa città cosmopolita.
Stimolata dalle zie paterne, Amalia e Felicita, che erano poete, pittrici e musiciste, Topazia giovanissima iniziò a dipingere. Purtroppo della sua produzione pittorica è rimasto ben poco a causa della dispersione dei suoi quadri nei vari trasferimenti di domicilio e ad alcuni furti, ma le sue poche tele denotano un grande talento.
Con il permesso del padre si iscrisse alla Scuola libera del Nudo dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, fino ad allora preclusa alle donne. Mentre altre sue colleghe di quei tempi dipingevano la quotidianità femminile, Topazia focalizzava l’attenzione sull’interiorità del soggetto, aveva il gusto per l’essenzialità della forma ed era attratta dal tema psicologico degli stati d’animo: subì sicuramente l’influsso della conoscenza del Futurismo.
In alcuni quadri ritrae paesaggi in cui si percepisce il fascino della terra siciliana, ma quelli che lei predilige sono i ritratti e gli autoritratti. Qui si ritrae a volte orgogliosa e sicura di sé, altre volte riflessiva e pensierosa, giocando con i colori e le pennellate a seconda dei suoi stati d’animo.
La sua pittura non racconta storie di cose, ma il mistero dell’intimo, è storia di persone. 1
Indubbiamente la sua arte è impregnata della sua raffinata sensibilità e della sua cultura aristocratica e se avesse continuato a dipingere sarebbe stata inserita a ottimi livelli nei circuiti dell’arte nazionale.
Ma nel 1932 si recò a Firenze e lì conobbe Fosco Maraini, un intellettuale fiorentino che in seguito diventerà uno dei più grandi antropologi del Novecento. I due si sposarono nel 1935 con una cerimonia informale inviando agli amici un cartoncino disegnato dalla stessa Topazia che li ritraeva di spalle, abbracciati, seduti e nudi sulla riva del mare.
Quando Fosco ottenne un incarico universitario in Giappone, Topazia si trasferì con lui e la figlia Dacia anche per sfuggire al clima oppressivo della censura fascista che già si respirava in Italia. Ma anche in terra nipponica alla coppia, come ad altri italiani che lavoravano lì, fu chiesto di aderire alla Repubblica di Salò. Il loro netto rifiuto ebbe come conseguenza l’internamento nel campo di concentramento di Tempaku dove erano detenuti altri prigionieri politici. Il periodo di prigionia durò dal 5 settembre 1944 all’agosto 1945. Soffrirono la fame e il freddo e di quei giorni angoscianti è rimasto un piccolo diario dove Topazia, con una scrittura fitta fitta, per non sprecare carta, annotava condizioni e sensazioni. Quando furono liberati, fino all’otto febbraio 1946, Topazia lavorò come consulente per la valutazione di opere d’arte giapponesi con incarico alla AECPO (Army Exchange Central Purchasing Office). Nel maggio di quello stesso anno finalmente l’intera famiglia con Yuki e Toni che erano nel frattempo nate, fu rimpatriata. Con un lungo viaggio transatlantico su una nave militare ritornarono in Italia”.
Alla morte del padre, Topazia prese le redini dell’azienda vinicola di famiglia: la Vini Corvo di Salaparuta. Ma, come scrive la figlia Toni, ne Ricordi d’arte e prigionia di Topazia Alliata "…era spirito troppo indipendente per affrontare – donna e ben presto sola – i bizantinismi locali, il clima di speculazione e di arrivismo della nuova Sicilia di quegli anni, le vicende dei partiti e soprattutto la mafia…alla fine era stata obbligata, per così dire, a svendere la casa vinicola alla Regione Sicilia”.
Alla fine del 1955, conclusa questa sua attività imprenditoriale, Topazia si trasferì a Roma aprendo una Galleria a Piazza Piscinula a Trastevere, e trasformandosi in una talent scout capace di scoprire e incoraggiare artisti sconosciuti. La Galleria diventò un punto di ritrovo per pittori, scultori e intellettuali e venne definita “un crogiuolo febbrile di idee e di eventi”. Topazia oltre a incoraggiare i giovani artisti, spesso di diverse nazionalità, provvedeva a ospitarli e fornire loro un tetto.
Nel 1964 l’attività della Galleria si esaurì, ma Topazia continuò a organizzare mostre: era sempre al centro del fermento culturale intorno all’arte contemporanea. Chi veniva a contatto con lei, respirava il suo spirito cosmopolita. Fu amica di Carlo Levi, Pippo Rizzo, Lia Pasqualino Noto, Carla Accardi, Nino Franchina e di tanti altri artisti ed intellettuali dell’epoca.
Così scrive Achille Bonito Oliva: "Topazia aveva un’innata curiosità, non si preoccupava di essere garantita dal giudizio degli altri, era una donna votata alla scoperta”.
E il suo amore per la pittura era un amore antico, infatti prima del suo trasferimento a Firenze, negli “anni siciliani” era molto amica di Renato Guttuso e spesso i due lavoravano insieme in uno studio ricavato nelle antiche stalle della Villa Valguarnera di Bagheria. Lì, lei si esercitava per ore, cosciente di avere imparato in accademia la tecnica pittorica, ma di non avere conseguito ancora uno stile personale. Guttuso elogiò la sua arte e in un articolo espresse su di lei un giudizio lusinghiero, sottolineando l’abilità della giovane pittrice “nella rappresentazione astratta di emozioni, sentimenti, stati d’animo”. A volte i due disegnavano insieme e in alcuni disegni, ancora oggi, non è facile distinguere la mano del maestro da quella dell’allieva. Nel 1931 Renato Guttuso la ritrasse nel quadro Giovane donna ammantata.
Topazia amava lo sport e la natura e fu un’ardita arrampicatrice e sciatrice. Faceva parte del Direttorio del gruppo Rocciatori del CAI di Palermo e quando si sposò, insieme a Fosco compì varie ascensioni sulle Dolomiti.
Era stata una delle prime donne in Sicilia a prendere la patente, anche quella internazionale, come teneva a precisare, e una sua nipote parlando di lei così la descriveva: "Zia Topazia guidava l’automobile e indossava i pantaloni! Ed era bionda con gli occhi blu e fumava!”.
Sua figlia, la scrittrice Dacia Maraini, ancora oggi non comprende perché sua madre smise di dipingere: "Probabilmente non aveva abbastanza fiducia nel suo lavoro. Come tante donne portava in sé la memoria atavica della sfiducia istituzionale”.
Topazia Alliata è morta a Roma il 23 Novembre del 2015 a centodue anni.
Dacia Maraini, Bagheria, Milano, Rizzoli 1993
Anna Maria Ruta (a cura di), Artedonna: cento anni di arte femminile in Sicilia 1850-1950, Edizioni di passaggio 2012
Toni Maraini, Ricordi d’arte e prigionia di Topazia Alliata, Palermo, Sellerio editore 2003.
Referenze iconografiche: Topazia Alliata tra Renato Guttuso e Basilio Franchina, 1935. Fonte: Palermo.gds.it. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2017
Ultimo aggiornamento: 2024