In Spagna il primo nome femminile a comparire nella pittura è quello della monaca Teresa Dieç (o Diez), che fu attiva nella regione di Zamora intorno alla prima metà del 1300.
Nel 1955 sono stati scoperti alcuni suoi mirabili affreschi nella cattedrale di Toro, recanti chiaramente la firma: la scritta "Teresa Dieç me fecit" è visibile in un nastro dipinto alla base di una scena. In seguito gli affreschi sono stati restaurati e trasferiti a San Sebastián de los Caballeros, nella stessa città.
Oggi si attribuiscono alla stessa mano di Teresa altri dipinti presenti nella facciata della chiesa di Hiniesta, nella Collegiata e nella Chiesa di San Pedro a Toro e in Santa Maria de la Nueva a Zamora. Tuttavia, la maggior parte degli storici continua trascurare questa artista, alla quale non sono dedicate citazioni sui siti delle città che conservano le sue opere, né pubblicazioni delle vicine università. Talvolta riemerge il tentativo di negare una validità alla scritta con il nome di Teresa, per il fatto che essa è accompagnata da un simbolo araldico; per questo motivo alcuni critici ipotizzano che la firma debba riferirsi a una committente e non a una pittrice, sostenendo che nessuna aristocratica avrebbe mai lavorato come frescante. Eppure, non era raro che i cadetti di nobili famiglie si ritirassero all’interno dei monasteri, dove potevano ricevere un’istruzione di alto livello che spaziava tra i più diversi ambiti: dalla medicina alla teologia, alla musica, alla danza e, appunto, alla pittura. Nel Medioevo le religiose che praticavano l’arte avevano modo di trovare visibilità; si pensi a Ildegarda di Bingen o a Herrade di Hohenburg.
Teresa Dieç fu monaca di particolare talento e sviluppò una chiara consapevolezza di sé, come dimostra la firma; e se lo stemma attesta l’appartenenza all’aristocrazia, questo potrebbe semplicemente averle consentito più libertà nel finanziare queste importanti opere. Tuttavia, sarebbe interessante indagare anche sul rapporto fra Teresa e la committente della ristrutturazione della cattedrale di Toro, che fu ampliata proprio in quel periodo grazie al mecenatismo della regina Maria de Molina, figura storica di particolare lungimiranza e saggezza. Nella storia delle artiste, infatti, risulta sempre determinante la relazione positiva con altre donne: a volte si tratta di collaboratrici o sorelle, altre volte si tratta di donne di potere che accrescono il prestigio del proprio genere proteggendo le doti artistiche di altre donne.
La produzione più consistente di Teresa si trova nel coro del Monastero Reale di Santa Clara de Toro. L’autrice doveva essere cosciente di adempiere a un alto compito: quello di accompagnare le consorelle a rivivere le vicende dei loro modelli spirituali, illustrando non solo episodi del Vangelo, ma anche la vita di alcune sante dei primi secoli del Cristianesimo. Infatti le storie dipinte, incorniciate da fregi e decori, sono illustrate da brevi commenti rivolti a destinatarie evidentemente istruite.
Oggi gli affreschi risultano mancanti di diverse parti a causa di alcune modifiche avvenute nei secoli successivi: l’apertura di una porta, l’istallazione di un organo barocco e la collocazione di un reliquiario. Si individuano tre cicli pittorici suddivisi in numerose scene: un ciclo trattava episodi del Vangelo ma rimangono visibili solo l'Epifania, il Battesimo di Cristo, l'Apparizione di Cristo alla Maddalena e il frammento con san Cristoforo accanto al quale si trova la firma con lo stemma; su questa parete così danneggiata, tuttavia, restano anche tracce di diverse figure di sante. Un’altra sequenza è dedicata a san Giovanni Battista ed è organizzata in dieci riquadri. Infine, la terza serie consta di ventuno scene con la storia di santa Caterina di Alessandria.
Risalta il ruolo determinante assegnato da Teresa alle figure femminili; nel ciclo sulla vita di Cristo, per esempio, la scena in cui egli appare risorto a Maria di Magdala descrive sullo sfondo anche santa Marta a cavallo che trafigge il drago: scegliendo per questa leggenda la fonte di Jacopo da Varagine, che pone una donna al centro della lotta con il drago, Teresa rinnova la tradizione iconografica che solitamente preferiva la figura maschile di san Giorgio.
Ma il ciclo forse più significativo è quello dedicato a santa Caterina d’Alessandria, il cui culto è ancora diffuso in tutta Europa e a cui si ispirano molte confraternite femminili: protettrice dei filosofi, dei teologi e delle sarte, santa Caterina viene proposta come modello per l’operosità, l’ingegno, la sapienza e la forza d’animo. È evidente la partecipazione con cui Teresa racconta le vicende di questa santa, che con dottrina ed eloquenza tenne in scacco i sapienti del suo tempo, inviati in gran numero per convincerla ad abiurare e invece da lei convertiti con facilità. Passo dopo passo la pittrice ci illustra lo scontro fra la santa e l’imperatore Massimino, ci fa intuire il senso di fascinazione che indusse lo stesso imperatore a pretendere Caterina in sposa e, al suo rifiuto, la volontà di vendetta che si tradusse nella serie di supplizi a cui la giovane fu sottoposta prima della morte per decapitazione.
Questi affreschi, che gli storici collocano tra il 1310 e il 1320, sono eseguiti con mano esperta e manifestano la conoscenza dei principi estetici più innovativi del proprio tempo. Nonostante alcune parti siano perdute, quelle rimaste presentano ancora colori vividi, seppure limitati alle tonalità naturali. La tecnica è quella del “fresco secco”: i contorni dell’immagine sono incisi nell’intonaco fresco; una volta asciutto, esso viene ravvivato con acqua di calce per procedere infine alla stesura del colore.
Lo stile di Teresa Dieç viene collegato alla scuola di Antón Sánchez di Segovia e costituisce uno dei migliori esempi della pittura nella fase di passaggio dal Romanico al Gotico: le figure sono allungate ed eleganti, le scene sono vivaci, ricche di particolari naturalistici e di riferimenti concettuali. La figura umana e l’ambientazione sono descritte in modo ancora intuitivo, dato che gli studi anatomici e prospettici giungeranno solo con il Rinascimento italiano, a distanza di circa un secolo. Eppure, qui la resa di certi volumi è poderosa e le composizioni sono abbastanza variegate.
Le scene si presentano come arazzi, bordate da scritte e da cornici a intreccio, a tratti alternate con motivi zoomorfi (corvi o gazze e leoni) e con decori vegetali; queste bordure costituirebbero il limite della scena, ma sono spesso forzate dall’espandersi delle azioni: personaggi e panneggi oltrepassano le cornici, abbandonando la staticità delle figurazioni di tradizione bizantina. L’azione si svolge ancora nei limiti delle due dimensioni, ma diverse note paesaggistiche e alcuni arredi definiscono gli ambienti. In sintonia con il gusto gotico, la resa decorativa degli alberi dimostra creatività e senso del colore. Le figure (con pochissime eccezioni) si collocano su un piano d’appoggio e nelle scene di gruppo sono distribuite in profondità occupando spazi diversi, laddove la pittura bizantina aveva sempre affiancato e spesso sovrapposto figure senza volume. I dettagli sono significativi dal punto di vista narrativo: santa Caterina, di sangue reale, porta sempre sul capo una corona; Erode siede proprio come un re, a gambe incrociate come segno di sovranità e con il ginocchio scoperto attributo di magnanimità; Erodiade tiene in mano dei frutti, simbolo di sensualità.
Teresa Dieç ha espresso nella sua opera un notevole bagaglio culturale, ma soprattutto ha dimostrato di possedere grande coraggio a cimentarsi in un lavoro che ancora veniva spregiativamente considerato “manuale”. Tanto è vero che decise di dichiarare il proprio nome anche se l'idea di dare risalto all'autore non aveva ancora messo radici.
Se gli affreschi di questa pittrice dimostrano la sua volontà di rendere onore a Dio, la scelta dei suoi soggetti restituisce attenzione anche alle figure femminili della storia sacra; ma soprattutto la decisione di firmarsi testimonia che Teresa voleva essere conosciuta in primo luogo come artista.
Voce pubblicata nel: 2019
Ultimo aggiornamento: 2023