Simona è la seconda delle tre figlie di due artisti, il pittore Mario Mafai e la pittrice e scultrice Antonietta Raphaël. La fanciullezza sua e delle sue sorelle, Miriam e Giulia, risente quindi del clima culturale creato dalle frequentazioni dei genitori, ma anche di una qualche lontananza da loro, che, pur nel grande affetto per le figlie, non esitano a lasciarle alla cura della nonna paterna per seguire i loro interessi artistici.
La madre proveniva da una famiglia ebrea di Vilnius, in Lituania. Non era osservante, ma non rinunciava al rito del venerdì sera (lo shabbath) e non ha fatto battezzare le figlie. Dopo la promulgazione delle leggi razziali le tre sorelle, che già erano considerate diverse dalle compagne perché figlie di artisti, antifasciste ed ebree, subiranno l’allontanamento dalla scuola pubblica e Simona nel ’38 si trova in una scuola privata, spaesata tra ragazzi ebrei, che scrivevano in ebraico e frequentavano la sinagoga.
Nell’estate del ’39 la famiglia decide di trasferirsi a Genova, dove le sorelle Mafai possono frequentare la scuola pubblica: il loro è un cognome “ariano”, della madre non si sa che è ebrea e riescono a eludere la richiesta di presentare il certificato di battesimo. Nel giugno del ’40 l’Italia entra in guerra, cominciano i bombardamenti, le corse nei rifugi. Ma Simona ricorda anche che è il periodo delle prime amicizie maschili, dei balli anche se in famiglia. E anche della presa di coscienza: c’erano dei prigionieri russi che venivano condotti a lavorare, sotto il controllo di soldati tedeschi, passando vicino alla loro casa. Simona e le sue sorelle un giorno decidono di comprare delle sigarette e al loro passaggio le lanciano tra i loro piedi. Simona commenta: «Era un atto di solidarietà concreta e in un certo senso anche rischiosa, fatto in modo del tutto spontaneo da tre ragazze tra gli undici e quindici anni» (da Un lungo incantesimo, da cui sono tratte le altre citazioni).
Il 25 luglio ’43 trova la famiglia ancora a Genova, ma il padre decide di tornare a Roma, dove, appena quattordicenne, Simona, pur non avendo ancora una vera e propria formazione politica, inizia il suo impegno, che non abbandonerà più anche se espresso in forme diverse. Bisognava distribuire «l’Unità» clandestina, appiccicare sui muri adesivi su cui era scritto “Viva Lenin”, lanciare volantini dal loggione di un teatro. Nell’autunno del ’44 decide, assieme a Miriam e contro la volontà del padre che per qualche tempo non volle parlare con loro, di andare a vivere in un appartamento affittato assieme ad altri compagni. Mentre si prepara per gli esami di riparazione e per l’ammissione al terzo liceo (ma deciderà che non è necessario avere una laurea e abbandonerà gli studi), viene accettata come dattilografa presso la sede del Partito Comunista, dove le danno da copiare i Quaderni dal carcere di Gramsci. Nel ’46 ci sono le prime elezioni comunali, il Referendum , la Costituente e il sabato e la domenica Simona è impegnata in riunioni e comizi (dove sempre parlava anche una donna) a Roma e nei paesi del Lazio e dell’Umbria. All’inizio del ’48 viene mandata come responsabile femminile regionale in Veneto, dove partecipa alla campagna elettorale per il Fronte popolare, ma non è più come prima, quando ogni comizio vedeva consensi e applausi. E poi in Veneto dominava la Democrazia Cristiana.Nel ’50 a Roma, alla scuola di partito, incontra Pancrazio De Pasquale che, pur avendo soltanto 25 anni era già segretario del Partito Comunista di Palermo e si trovava a Roma perché stava subendo un processo interno per una vicenda legata a dissensi sul modo di condurre la lotta per la terra. L’incontro con De Pasquale l’aiuta ad acquistare un punto di vista critico, a mettere un freno a una qualche «tendenza al fanatismo». Si sposano civilmente in Campidoglio il 3 gennaio 1952 e il rapporto intenso con il marito continuerà fino alla scomparsa improvvisa di lui nel 1992. Affrontano assieme momenti critici, come nel ’56 in cui ci furono le rivelazioni di Krusciov su Stalin al 20° Congresso del Partito Comunista sovietico e l’invasione dell’Ungheria da parte dell’esercito sovietico. Hanno molti dubbi ma rimangono nel partito perché «totalmente d’accordo con la linea politica generale».
Simona segue il marito in Sicilia, dove trova una «situazione molto più debole politicamente… ma non arretrata dal punto di vista del costume e in particolare del rapporto uomo-donna… Anche nelle zone di grande miseria e degrado sociale, le donne dimostravano vitalità e capacità di rivolta».Le figlie nascono a Messina, Raffaella nel ’52 e Sabina nel ’57. L’aiuta la suocera, ma Simona «cerca di far fronte a tutto». Era un madre severa ma ricorda: «La mia relativa severità non mi ha mai impedito di esprimere anche fisicamente il mio affetto per loro: abbracci, baci, colazione tutti insieme…».
Dal ’62 al ’67 è a Roma ed è un periodo di relativo distacco dall’impegno nel partito: «Vedevo spesso mia madre, mio padre, le mie sorelle… Ho potuto assistere mio padre assieme alle mie sorelle e raccogliere le sue ultima parole».
Nel ’67 la famiglia si trasferisce a Palermo, che diverrà la sua città e quella in cui si sposeranno le figlie. L’impegno politico diventa più pressante, per i movimenti studenteschi, il sostegno alle popolazioni colpite dal terremoto del gennaio ’68, le lotte per le leggi sul divorzio e sull’aborto. Nel ’76 viene eletta al Senato, dove rimarrà fino al ’79. Simona ricorda che fu un periodo particolarmente pesante, per la situazione politica generale (era iniziato il terrorismo), ma anche dal punto di vista personale perché «la famiglia era completamente disarticolata».
Nel 1980 viene eletta consigliera al Comune di Palermo, dove svolge un intenso lavoro come capogruppo: «Ero determinata a far diventare l’opposizione comunista al Comune un punto di riferimento chiaro nella lotta contro la mafia». È la stagione in cui cadono uccisi dalla mafia tanti che le si sono opposti, tra cui il segretario regionale del Pci, Pio La Torre.
L’impegno di Simona contro la mafia, terminata l’esperienza al consiglio comunale nel ’90 e lasciato il Partito Comunista, è continuato come componente del direttivo dell’Associazione donne siciliane per la lotta contro la mafia, come fondatrice e collaboratrice della rivista «Mezzocielo», «un giornale rivolto a tutti, ma pensato e realizzato da donne», come attenta osservatrice della realtà politica italiana e animatrice di iniziative culturali e politiche. Di sé dice: «Per quanto mi riguarda quel che ho fatto ho fatto: qualcosa di buono, nulla di cattivo, molto di inutile. Guardo con attenzione e rispetto quello che fanno le altre/gli altri. Vorrei poterlo apprezzare e sostenere».
Referenze iconografiche: immagini provenienti dall'archivio di famiglia.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023