Probabilmente, quando sentiamo questo nome, lo associamo, non senza una certa fatica, ad un aeroporto di Istanbul che è stato battezzato in suo onore: quando i turchi sentono parlare di Sabiha Gökçen, invece, anziché identificarla come la prima donna aviatrice nella storia della loro nazione, la ricordano prima di tutto come figlia del fondatore della Repubblica turca, Atatürk, il quale ha sempre amato definirsi nei suoi discorsi pubblici non solo leader politico, ma soprattutto padre-creatore della patria. La sua fu una paternità romanzata, quasi epica, presente nelle narrazioni che ci sono pervenute di quel periodo, ma che si ripete nella sua vita, privata e politica. Il suo ruolo di genitore, infatti, non solo veniva esplicitamente reso evidente dalle sue parole e dai gesti nella sfera pubblica, ma aveva influito anche nella creazione della sua stessa famiglia: se il matrimonio con Latife Hanım si era rivelato fallimentare, tanto da durare solo dal 1923 al 1925, sicuramente la sua prole, i cui membri sono stati presi tutti in custodia o in adozione, è stata tanto numerosa da rimarcare, anche nel privato, il suo ruolo paterno. Degne di particolare attenzione sono le otto figlie adottate, Afet Inan, Sabiha Gökcen, Fikriye, Ülkü, Nebile, Rukiye e Zehra; tra queste, in particolar modo le prime due hanno goduto di maggiore fama.
Nell’ambito delle riforme kemaliste, l’obiettivo principale consisteva nell’occidentalizzare e modernizzare il Paese, comprendendo gli ambiti più disparati, dalla lingua al vestiario, dall’educazione elementare alla parità di genere. È proprio in quest'ultimo campo che si inserisce la figura di Sabiha, nata a Bursa nel 1913, rimasta orfana di entrambi i genitori e adottata nel 1925. Nella sua vita, la figura del padre e il suo ruolo in quanto paladina e promotrice della, presunta, parità di genere nella Turchia repubblicana risultano determinanti: basti pensare che nel 1934, in seguito alla legge riguardante i cognomi, Atatürk le assegnò Gökçen; questo cognome, formato dalla parola “gök”, cielo, poteva essere inteso come un riferimento al colore degli occhi, ma in realtà, dato il percorso educativo intrapreso in seguito dalla ragazza, si è rivelato un nomen omen, appositamente scelto per determinare, prima ancora che iniziasse, la sua carriera da aviatrice.
Dopo una prima educazione da aviatrice in Russia, il padre adottivo, che stava pianificando di dare alle donne la possibilità di entrare nell’esercito, la spinse a continuare la carriera nella Scuola di Aviazione Militare presso Eskişehir. Addirittura, nel 1937, dopo un volo di grande successo sul Mar Egeo, le fu concesso di partecipare ai bombardamenti su Dersim (oggi nota come Tunceli) in seguito a una rivolta popolare curda. Solo un anno dopo, compì un volo entrato nella storia e pubblicizzato persino sui giornali europei della durata di cinque giorni sui Balcani. Nonostante i suoi numerosi successi, che le hanno assicurato il titolo di prima donna aviatrice nella storia, non le fu concesso, in seguito a una sua esplicita richiesta, di poter entrare ufficialmente nell’Arma: un rifiuto dovuto che le donne non potessero entrare in contesti che storicamente erano stati di competenza esclusivamente maschile.
La vita di Sabiha, seppur deceduta nel 2001 – anno nel quale l’aeroporto è stato rinominato in suo onore – è come se fosse terminata nel 1938, in seguito alla morte di Atatürk: a maggior riprova della sua abnegazione nei confronti del padre, deve essere menzionato il titolo delle sue memorie, pubblicate nel 1982, Atatürk'un izinde bir ömür böyle geçti (Come è trascorsa una vita sulle orme di Atatürk). In questo racconto autobiografico, la cui prospettiva della protagonista sembra quella di una bambina e non di una adulta, il suo operato, seppur eccezionale per la sua epoca, è pressoché assente, tanto che nelle librerie turche il volume viene conservato nella sezione biografica e storica su Mustafa Kemal Atatürk.
La vita di Sabiha, nonostante abbia vissuto in un ambiente privilegiato e agiato, può essere considerato lo specchio di molte donne a lei contemporanee, altrettanto valide, le cui carriere professionali e sogni di vita sono stati stroncati sia a causa del fallimento, nelle questioni di genere, del progetto nazionalista, sia perché la Turchia è un Paese ancora oggi profondamente patriarcale, in cui la donna è riconosciuta, come in questo caso specifico, con appellativi privati, familiari, quali “figlia di” o “orfana”.
Erdağ Göknar, Turkish-Islamic Feminism Confronts National Patriarchy: Halide Edib's Divided Self, « Journal of Middle East Women's Studies 9», no. 2 (2013): 32-57
Şule Toktaş, Nationalism, Modernization and the Military in Turkey: Women Officers in the Turkish Armed Forces, «Oriente Moderno 23», 84, 2004, pp. 247-67
Referenze iconografiche: Sabiha Gokcen, anni trenta. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2021
Ultimo aggiornamento: 2023