Osservare il mondo intorno a sé con intelligenza e partecipazione, interpretarlo anche attraverso le proprie emozioni rispettandone la complessità, non piegare mai la ricerca di verità a presupposti teorici o ideologici: sono queste le fondamenta su cui la sociologa Renate Siebert ha costruito il suo percorso scientifico e di vita. Nasce a Kassel, in Germania, il 29 aprile 1942, ma sceglie di vivere e lavorare in Calabria, tra Cosenza e Lorica, un “piccolo Tibet” gioioso e impervio. Trascorre l’infanzia in piena guerra fredda, accanto ad adulti vissuti durante il nazionalsocialismo. La condanna del loro silenzio ha come conseguenza l’interruzione di ogni rapporto con la famiglia d’origine. Studia sociologia all’università di Francoforte, dove è allieva di Theodor W. Adorno. La città è una grande fucina intellettuale. La presenza dei movimenti di liberazione africani e di molti rifugiati politici fa nascere la sua passione per il Terzo Mondo. Della Scuola di Francoforte Renate condivide gli obiettivi e i presupposti teorici: la critica alle tendenze positiviste delle scienze sociali, la lotta contro la rimozione dell’antisemitismo e del nazionalsocialismo e il tentativo di rielaborare il passato in funzione della costruzione del futuro. Scrive la tesi di laurea su Frantz Fanon, psicoterapeuta e psichiatra che durante la guerra di liberazione aveva lavorato in Algeria.
Il movimento studentesco portò ad una contestazione radicale che coinvolse anche Adorno. Dopo la morte del maestro, Renate lascia la Germania e si trasferisce in Sardegna, per fare ricerca su un polo di sviluppo industriale. A Milano, alla scuola di formazione in sociologia, inizia un percorso di riflessione sulla condizione della donna e la famiglia e nel 1974 fonda, insieme a Laura Balbo, Chiara Saraceno, Franca Bimbi, Giuliana Chiaretti e altre il Griff (Gruppo di ricerca sulla famiglia e la condizione femminile). Nel 1974 le viene conferito un incarico all’Università della Calabria, ad Arcavacata di Rende, dove diventa ordinario di Sociologia generale. Qui fonda la rivista «Nosside» e collabora con il Centro interdipartimentale di Women’s Studies Milly Villa.
Un grande amore e una profonda intesa intellettuale la legano a Paolo Jedlowski, noto e stimato sociologo della cultura con cui condivide anche alcuni temi di ricerca come la memoria coloniale e il razzismo. Dei loro due figli, Milena non rimane indifferente alla passione materna per la psicoanalisi, studia psicologia e si specializza in terapia familiare; Alessandro sembra ripercorrere alcune delle tracce giovanili di Renate: appena finita la maturità compie il primo viaggio in Africa, si specializza in antropologia, studia l’arte e la cultura africane e diventa uno dei massimi esperti del cinema di Nollywood.
Grazie all’intensa collaborazione con Donatella Barazzetti, Sonia Floriani, Teresa Grande, Donatella Loprieno, Monica Massari, Ercole Giap Parini e lo stesso Jedlowski, Renate crea La piccola scuola di Arcavacata, caratterizzata da un’impostazione laica e indipendente degli studi sociologici.
Non si può prescindere dal lavoro svolto da Renate Siebert in Calabria per la comprensione dei cambiamenti della società meridionale. I suoi temi prediletti sono la trasformazione della soggettività attraverso le donne, il rapporto maschile-femminile nella vita privata e nel pubblico, la mafia e le donne, ma anche il maschile mafioso, il rapporto tra mafie e totalitarismi, il razzismo, le donne e l’Islam, la scrittura dell’algerina Assia Djebar. Studiando tre generazioni di donne calabresi le propone non come “oggetto di studio”, ma come “soggetti tacitati”. Le anziane raccontano «la soggettività di una donna con corpo sessuato che genera figli», da cui emerge «un dato di grande sottomissione a ritmi di sessualità altrui», sofferenza e solitudine. Siebert descrive il cambiamento del sud grazie al coraggio delle donne, ma anche una società rigidamente costruita sulla separazione tra una sfera privata caratterizzata dal sacrificio dell’individualità femminile, e una sfera pubblica distrutta dal familismo amorale.
Quando si accorge di aver rimosso tutto quello che le donne calabresi da lei intervistate avevano detto sulla mafia, comprende che la causa è insita nell’angoscia che la mafia suscita in lei per tutto ciò che la rende simile ad un sistema di tipo totalitario. Siebert analizza tanto le complicità e i silenzi quanto il coraggio delle donne, la rivolta delle madri contro gli assassini, la rielaborazione del lutto che si fa impegno civile. Coltivare la memoria, dice, è necessario, perché il ricordo pone di fronte alla domanda dell’evitabilità della morte violenta, insinua dubbi sulla necessità della vendetta e spinge a considerare la commemorazione come una forma di riparazione del male.
Renate diventa testimone della sofferenza degli ospiti dell’istituto psichiatrico Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello, in un momento in cui la psichiatra basagliana Assunta Signorelli cercherà di ridare loro dignità e li descriverà come persone che «appaiono del tutto normali ma che sono, nello stesso tempo, socialmente definite come “altro” e che vivono in modo vistoso una vita separata».
Alla fine degli anni Novanta è coordinatrice della sezione Vita quotidiana dell’Associazione italiana dei sociologi e vicepreside della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università della Calabria.
La scrittura di Renate Siebert è caratterizzata dall’equilibrio tra interpretazione teorica e partecipazione emotiva. La studiosa non si pone al di fuori, ma dentro l’oggetto della sua riflessione. Le donne meridionali, gli uomini della mafia, il nazismo, il razzismo, non vengono considerati con una superiorità distaccata e accademica, ma a partire dal proprio vissuto. La capacità di ascoltare se stessa, di rompere la coltre della rimozione, si trasforma nella capacità di ascoltare gli altri, dando fiducia e dignità alle voci inascoltate della storia.
Siebert R., Interferenze - lo stato, la vita familiare, la vita privata (con L. Balbo), Milano, Feltrinelli 1979
Siebert R., È femmina, però è bella, Torino, Rosenberg & Sellier 1991
Siebert R., Le donne, la mafia, Milano, Il Saggiatore 1994
Siebert R., La mafia, la morte, il ricordo, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995
Mafia e quotidianità, Milano, Il Saggiatore-Flammarion 1996
Siebert R., Lorica. Un ritratto a più voci, Rubbettino, Soveria Mannelli 1996
Siebert R., Andare ancora al cuore delle ferite, La Tartaruga 1997
Siebert R., Cenerentola non abita più qui. Uno sguardo di donna sulla realtà meridionale, Torino, Rosenberg & Sellier 1999
Siebert R., Storia di Elisabetta. Il coraggio di una donna sindaco in Calabria, Milano, Pratiche editrice 2001
Siebert R., Organized Crime and the Challenge to Democracy (con F. Allum) Routledge, London 2003
Siebert R., Il razzismo. Il riconoscimento negato, Roma, Carocci, 2003
Siebert R., Vite catturate, vite rubate, in: In direzione ostinata e contraria, con testi di Assunta Signorelli e Fabrizia Ramondino, foto di Ugo Panetta, Napoli, Pironti 2008
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023