Dotata di molta bellezza e di ben coltivato ingegno fu sempre richiesta ed accolta con somma ansietà la sua compagnia. Attivissima ed egregia nella conoscenza degli uomini e delle cose, si mostrò presta ogn'ora ad usare degli acquistati lumi a favore de' conoscenti e degli amici
.
Avvenenza, intelligenza e generosità, queste le doti che Ginevra Canonici, in una rassegna delle scrittrici italiane dell'epoca (1824), riconosce in Orintia Romagnoli Sacrati.

Nata a Cesena l'11 ottobre 1762, Orintia è la secondogenita dei sette figli del marchese Lucio Romagnoli e di Caterina Leonardi Della Rovere, contessa di Montelabate di Pesaro. All'età di 15 anni va sposa al marchese Amedeo Sacrati Giraldi Obizzi di Ferrara, città dove i Sacrati abitano in una splendida dimora proprio davanti al palazzo dei Diamanti. Orintia invece vive prevalentemente in una villa nelle campagne di Lugo, ivi relegata e trascurata dal marito, col solo conforto dell'amore di una figlia avuta da lui, che purtroppo morirà giovanissima. Dopo pochi anni di matrimonio Orintia abbandona il tetto coniugale dando prova di un carattere libero e indipendente, senza curarsi dello scandalo che il fatto provoca nell'alta società del tempo.


Nel 1782 entra a far parte dell'Accademia d’Arcadia col nome di Fiordiligi Taumanzia. Al primo nome, Fiordiligi, assegnato per sorteggio com'è d'uso in Arcadia, Orintia associa, come secondo da lei scelto, quello di Taumanzia, letteralmente, dal greco, “colei che prova meraviglia”.


È ancora sposata quando avvia un decennale carteggio, dal 1785 al 1795, col poeta, critico e saggista riminese Aurelio de' Giorgi Bertola, di cui diventa amante. Si tratta di 35 lettere che, secondo Mariacristina Ginghini, che ne riporta alcuni excerpta, mostrano “il più reale ritratto” di lei: Orintia si rivela “in intime sfaccettature, nei timori delle notti insonni[]nella speranza di riconciliarsi, nei deliri dell'abbandono[...]nell'angoscia di saperlo tra le braccia di un'altra[...]nel dolore fisico delle sue terribili emicranie.” Di tutte le sue opere, molto interessanti, ma nessuna di eccelso livello artistico, forse il solo carteggio con Bertola potrebbe rappresentare per intensità espressiva e profondità di sentimento il vero capolavoro di Orintia. Peccato che sia ancora inedito. Per parte sua il Bertola la sceglie come destinataria delle 46 lettere che costituiscono il Viaggio sul Reno e ne’ suoi contorni (1795), una cronaca odeporica scritta in una prosa raffinatissima, che concilia il razionalismo illuministico e il gusto arcadico dell'idillio con una sensibilità preromantica. Un giudizio critico che potrebbe essere esteso anche a Orintia, la cui produzione letteraria rispecchia la poetica del neoclassicismo, propria dell'età di passaggio tra Settecento e Ottocento, tra Illuminismo e Romanticismo. Più prosaicamente Eduardo Fabbri, concittadino e amico, così ne sintetizza il percorso artistico: “...passata dalle mellifluosità dell'Arcadia alle lacrimosità dei romantici...


Finita la relazione con Bertola, Orintia si lega affettivamente al marchese Antonio Gnudi, il ricco e potente tesoriere di papa Pio VI, e va a vivere con lui a Bologna nella casa che ospiterà, tra gli altri, Napoleone, Foscolo, Byron e Stendhal. Nel 1804 è ammessa all'Accademia Rubiconiana dei Filopatridi e nel 1808 entra a far parte dell’Accademia nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena di cui sarà anche nominata socia estera.


Separatasi anche da Gnudi, Orintia sembra non avere più una dimora stabile: la troviamo a Venezia, poi a Faenza, poi nuovamente a Bologna. In tutte queste città partecipa attivamente alla vita culturale, frequentando e facendosi lei stessa animatrice di “salotti” dove riesce sempre a essere al centro dell'attenzione per il suo fascino e il suo talento. È un periodo in cui si dedica prevalentemente all'attività di scrittrice, tenendo contatti, come risulta da vari epistolari e altri documenti, con i più importanti scrittori e poeti del suo tempo: Pietro Giordani, Vincenzo Monti, Dionigi Strocchi, Terenzio Mamiani, Gian Gherardo De Rossi e altri, oltre ai già citati Bertola e Foscolo, e, in tarda età, Leopardi e Antonio Ranieri.


Scritte “nell'ozio della solitudine campestre” e pubblicate a Faenza nel 1810 in quattro volumi, le commedie di Orintia sono complessivamente 16 anche se lei, nella prefazione al primo volume, dedicato a Vincenzo Monti, dichiara di averne composte 48. L'autrice dice di essersi ispirata a testi letterari e anche a casi reali. I personaggi, tutti di rango aristocratico, a parte le figure tipiche di camerieri e serve, non hanno spessore psicologico e sociale e danno vita a un'azione scenica schematica (“ho preferito la semplicità dell'azione”) con improbabili scambi di persona e salvifiche agnizioni, dove alla fine la virtù trionfa e il cattivo viene smascherato e sconfitto. Risalta tuttavia un certo mestiere nella sceneggiatura ed è apprezzabile la vivacità di alcuni dialoghi. Destinate alla lettura, non risulta che siano mai state messe in scena.


Tra le opere di Orintia un posto particolare è occupato da scritti celebrativi editi in occasione di matrimoni, di cui lei stessa è stata intermediaria grazie alle sue molteplici relazioni nel mondo dell'aristocrazia. Ricordiamo le nozze Marsili-Rossi (1795) e quelle Laderchi-Porcia (1807) omaggiate entrambe con la pubblicazione di una raccolta di poesie di autori vari, lei esclusa, essendo per sua ammissione “incapace di poetico lavoro”. Nel 1812 si adopera per favorire le nozze tra Giulio Perticari e Costanza Monti, vincendo la resistenza di quest'ultima che, innamorata di un altro uomo, non vuol saperne di sposare il libertino Giulio, pur essendo il matrimonio assai conveniente. Per l'occasione scrive Le quattro madri Racconti morali, di argomento edificante; poi, non essendo stata invitata alla cerimonia nuziale, si vendica spiattellando i segreti della doppia vita dello sposo. Per il matrimonio della nipote Angela Mami, figlia di sua sorella Marianna, pubblica il breve romanzo Adelina (1815), una storia “di virtù perseguitata e poscia premiata”. Secondo A. Dolcini, Orintia sarebbe la “prima romanziera donna” in Italia. Nella prefazione illustra alla giovane sposa i suoi doveri e, pur nell'ambito di una concezione patriarcale del matrimonio, risalta l'invito a un ruolo attivo e operoso della donna sposata, che deve impegnarsi con solerzia ed efficienza nella gestione della famiglia e della casa, perseguendo un modello di vita assai lontano da quello ozioso e gaudente di molte nobildonne dell'epoca. Ultima tardiva opera di questo filone epitalamico è la novella Parga (1826) scritta per le nozze Massari-Aventi, ispirata al noto poema I profughi di Parga (1823) di Giovanni Berchet, che narra la vicenda degli abitanti della città greca ceduta dagli inglesi all'impero ottomano e abbandonata dagli abitanti che scelgono l'esilio pur di non assoggettarsi al dominio turco. “Il racconto è struggente e la trama rispecchia i dettami del romanticismo, con la rappresentazione del dolore e il finale tragico” (M. Ginghini).


Parallelamente all'attività letteraria, e a volte con essa intersecata, Orintia mostra in tutto l'arco della sua vita un vivo interesse per la politica, che si manifesta ora semplicemente come spirito patriottico e celebrazione dell'italianità, ora come attiva partecipazione a moti sovversivi per i quali sarà anche perseguitata. Una prima testimonianza è rappresentata, nel 1807, da una serie di lettere a Floriano Caldani, professore di anatomia all’Università di Padova, nelle quali difende Venezia da un giudizio superficiale e sprezzante espresso da Chateaubriand. Più tardi, quando nel 1815 Gioachino Murat, col famoso proclama di Rimini, invita gli italiani a diventare padroni del proprio destino facendosi propugnatore della loro libertà, Orintia è in prima linea a sostenerlo con l'Allocuzione a Re Murat per l'indipendenza italiana, che le procura la fama di eroina della patria, ma anche gli arresti domiciliari a Rimini.


Dopo aver ottenuto la separazione dal marito, godendo di una maggiore autonomia e sicurezza economica, va a vivere a Roma e prende dimora a palazzo Valdambrini. Qui conduce un'intensa vita sociale, sia come frequentatrice della corte di papa Pio VII, suo concittadino, sia come promotrice di un salotto letterario che ospita personaggi di altissimo rango, secolari ed ecclesiastici, come il generale Sextius Alexandre de Miollis, governatore di Roma e, successivamente, il cardinale reazionario Giuseppe Albani che mostra una particolare simpatia per lei, nonostante la sua fama di “rivoluzionaria”. Questa abilità nel sapersi destreggiare tra personaggi politici di opposto orientamento, per non parlare poi di una certa volubilità amorosa, non le risparmia pesanti critiche, molte delle quali condensate in una lettera di Francesco Mami a Ugo Foscolo: “La Marchesa Sacrati può giustamente chiamarsi la Messalina de' nostri giorni […] L'incontro che tal femmina fece nell'animo della Santità Sua, fu tale che meritò d'esser corteggiata da tutto il Sacro Collegio[...] Dalla sera alla mattina cambiava viste ed idee: ora Giacobina e Repubblicana, ora Democratica, ed ora Aristocratica, ma sempre comica[...] La presente conversazione in Roma della Marchesa Sacrati è una delle più fiorite e brillanti che vi siano”. Rincara la dose lo storico D. Silvagni (1885), che, nel momento in cui sembra denigrarla, non riesce a tacere le sue indubbie qualità. “Stabilita a Roma da anni, bella, colta, gentile, intrigante, quando cominciò ad avanzarsi negli anni si gettò nelle braccia dei letterati, i quali, sia pel suo spirito, sia per la sua coltura, la corteggiarono nella sua più tarda età”.


Nel 1818 pubblica Lettere a Giulia Willet la sua opera più impegnativa in prosa, un romanzo epistolare sul modello dell'Ortis foscoliano, recensito sulla Biblioteca italiana (1818) come uno dei tanti “moderni romanzi sentimentali”, degno comunque di nota per l'eleganza dello stile e il realismo della caratterizzazione dei personaggi; giudizio ripreso da Silvio Pellico sul Conciliatore (1819), che sottolinea nel romanzo un intimismo sentimentale “dove la società è ritratta al vero, e dove il cuore umano è analizzato con più minuta esattezza.” M. Ginghini lo considera il capolavoro di Orintia, ma per Vittore Branca è solo “uno dei tanti aborti della moda wertheriana in Italia.”


Nel 1820 è a Londra per testimoniare a favore dell'amica principessa Carolina di Brunswick, consorte di Giorgio IV re d’Inghilterra, accusata di adulterio con Bartolomeo Pergami, conosciuto a Milano nel 1815. Rientrata in Italia soggiorna a Ferrara fino al 1824. Poi ritorna a Roma e risiede nel palazzo Valdarnini in via della Scrofa. Continua a mantenere legami con i carbonari indagati dal governo pontificio, come Eduardo Fabbri, che viene arrestato in casa sua, e, a riprova della solidarietà con loro, e anche della sua generosità, regala una gamba meccanica fatta venire appositamente da Londra a Piero Maroncelli, amputato durante la detenzione nella fortezza dello Spielberg. Tuttavia proprio a causa di queste pericolose amicizie la sua situazione personale si va facendo difficile al punto che nel 1825 decide di abbandonare Roma per Firenze, volendo allontanarsi, come scrive a Francesco Mami “dalla vista dei carnefici del mio povero paese” e vivere sotto il governo “illuminato” del Granduca a cui è legata da un'antica familiarità.


A Firenze convive con l'editore e pittore livornese Giovanni Freppa, molto più giovane di lei, e dà vita ancora una volta a un salotto letterario, frequentato anche da Giacomo Leopardi e dall'amico Antonio Ranieri interessati alla pubblicazione di un settimanale, Lo Spettatore Fiorentino, di cui Freppa si propone come editore. Ma il progetto non andrà in porto. Una lettera del 1831 di Giulietta Clary, cognata di Napoleone, a Pietro Giordani ci informa della singolarità di questo rapporto tra il 33enne poeta e la 69enne marchesa: “Sapete che ha un po' dell'originale il vostro Leopardi? Quand'era qui andava tutte le sere a far la corte alla Sacrati che si ride di lui.” Secondo D'Ancona, citato da M. Ginghini, dovrebbe identificarsi in Orintia l'Aspasia del famoso ciclo leopardiano, ma la stragrande maggioranza dei critici esclude questa possibilità. Trascorre nella quiete fiorentina gli ultimi anni della sua vita assieme a Freppa che nominerà suo erede universale. Muore il 22 maggio 1834 e viene sepolta nel chiostro di Santa Croce. Oggi però non resta traccia né del sepolcro né della lapide con l'epitaffio dettato dall'abate Melchiorre Missirini contenente un veritiero ritratto della personalità di Orintia. Nonostante la fama di cui ha goduto ai suoi tempi non ci è giunta di lei alcuna immagine.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Orintia Romagnoli Sacrati

Opere pubblicate a cura di Orintia Romagnoli Sacrati:

Poesie per le applauditissime nozze del nobil uomo signor conte Luigi Marsili con la nobil donzella signora contessa Ersilia Rossi, Bologna, Stamperia dell'Istituto delle Scienze, 1795.

Per le Faustissime Nozze della Signora Pazienza Nata Contessa Porcia de Brugnera col Signor Pietro Laderchi , Venezia, Fenzo, 1807.

Opere di Orintia Romagnoli Sacrati

Lettera di Fiordiligi Taumanzia pastorella d'Arcadia all'ornatissimo signore Floriano Caldani bolognese professore di anatomia nella università di Padova, Venezia, Vitarelli, 1807.

Commedie di Fiordiligi Taumanzia, 4 voll., Faenza, Conti, 1810.

Le quattro madri. Racconti morali per le nozze della signora Costanza Monti col signor Giulio Perticari, Pesaro, Gavelli, 1812.

Adelina. Novella morale per le nozze della signora Angela Mami col signor Silvestro Ragazzini, Rimini, Marsoner e Grandi, 1815.

Lettere di Giulia Willet pubblicate da Orintia Romagnoli, Roma, De Romanis, 1818.

Novelle morali della Marchesa Orintia Sacrati, Roma, Salviucci, 1820. (riedizione di Adelina, Le quattro madri più la novella inedita Il consigliere).

Un solo giorno a Parigi o una lezione singolare, commedia stampata a Venezia, Picotti, 1829.

Le 35 lettere inedite al Bertola sono conservate nella Biblioteca Comunale “A. Saffi” di Forlì, Raccolte Piancastelli, Sezione Carte Romagna, 626.100-134.

Storiografia e Saggistica

Canonici Fachini Ginevra, Prospetto Biografico delle Donne Italiane Rinomate in Letteratura dal secolo decimoquarto fino a' giorni nostri, Alvisopoli, Venezia, 1824.

De'Giorgi Bertola Aurelio, Viaggio sul Reno e ne' suoi Contorni, ed. critica a cura di M. e A. Stauble, Olschki, Firenze, 1986.

Dolcini Alteo, La Romagna del romanzo, Il Ponte Vecchio, Cesena, 1998.

Fabbri Eduardo, Sei anni e due mesi della mia vita, memorie e documenti inediti, a cura di N. Trovanelli, Bontempelli, Roma, 1915.

Fabbri Pier Giovanni (a cura di), Le Vite dei Cesenati VI, pp. 49-55, Stilgraf, Cesena, 2012.

Ginghini Mariacristina, Orintia Sacrati Romagnoli, una scrittrice dimenticata, in Romagna Arte e Storia, 2011, nn. 92-93, pp. 43-54.

Guarna Valeria, Romagnoli Sacrati Orintia, Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 88, 2017. (consultabile on line).

Lelli Mami Giorgio, Eduardo Fabbri e Francesco Mami, in Studi Romagnoli, LIV 2003, pp. 237-39.

Silvagni David, La corte e la società romana nei secoli XVIII e XIX, III, Roma, Forzani, 1885.

Spazzoli Franco (a cura di), Adelina di Orintia Romagnoli Sacrati, Il Ponte Vecchio, Cesena, 2018, pp. 5-29.

Documentazione reperita in rete e presso Biblioteca Manfrediana di Faenza, Biblioteca Libertaria di Castel Bolognese, Biblioteca Comunale “A. Saffi” Forlì.



Voce pubblicata nel: 2024