Olga Resnevič nasce nel 1883 in Lettonia, in quegli anni regione della Russia zarista, «il Paese più profumato d’Europa» come scrive nelle sue Memorie. Vive con la famiglia in una fattoria «isolata in mezzo ad una vasta pianura, sulle rive del fiume Aa, a una cinquantina di chilometri da Jelgava». Negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza la natura, con le sue cicliche trasformazioni, diventa una sua amica fedele. L’abitazione «si trovava in un giardino pieno di alberi di melo, di peri, ciliegi, diviso dall’orto e dai campi da una fila di abeti e arbusti di lillà»: qui in primavera e in estate Olga si inebria dei loro aromi mescolati ai profumi provenienti dal bosco poco distante. Durante i mesi invernali, quando le giornate si fanno brevi e le notti allungano, il paesaggio resta sepolto dalla neve e tutto, tempo compreso, è avvolto in «un silenzio di tomba». Allora la bambina Olga attende con impazienza che il gelo copra i vetri delle finestre:
si formavano mirabili figure, che mutavano di ora in ora, svolgendo le vicende delle fiabe apprese a memoria durante la lunga attesa. La mia fantasia vi rivedeva le foreste impenetrabili, le lotte con le belve, i castelli d’ambra sul fondo del mare. Era il teatro della mia fanciullezza. Era un teatro astratto.
L’amore per ogni forma di racconto l’accompagna per tutta la vita: con l’età quei mondi fatati lasciano posto alla narrativa russa, per lei un tesoro preziosissimo che, giunta in Italia, contribuirà a far conoscere e diffondere.
Ha obiettivi ambiziosi Olga Resnevič che, per studiare medicina, si trasferisce prima in Svizzera, all’Università di Berna, e poi in Italia, dopo l’incontro col dottor Angelo Signorelli conosciuto durante un soggiorno a Siena. È un avvenimento che le cambia la vita: a Roma si laurea in medicina nel 1908 e qui con Angelo Signorelli, di cui adotta il cognome senza mai sposarlo, costruisce la sua nuova famiglia. Il loro è un legame lungo e intenso, come quello ‒ è la stessa Olga a scriverlo nelle sue Memorie ‒ di «compagna di una stessa strada, per una stessa meta». Insieme condividono l’amore per le tre figlie ‒ Maria, Elena e Vera ‒, la professione medica, la passione per ogni forma di arte e cultura, lo sguardo attento e benevolo verso gli esseri umani, fossero pazienti o persone amiche.
In un primo momento l’arrivo nella capitale è una delusione. Nei centri medici in cui lavora, Olga si trova a visitare numerosi malati di malaria, adulti e bambini più somiglianti «a scheletri che a uomini vivi»; provengono dalle campagne dell’Agro romano dove vivono in condizioni misere, così distanti dalle antiche popolazioni vagheggiate sui libri di storia romana. Concependo la sua professione come una missione verso tutti gli esseri sofferenti, si mette presto in contatto con persone simili a lei per lungimiranza intellettuale e autonomia professionale. Sibilla Aleramo, per esempio, ricordata da Olga con i «capelli leggermente brizzolati, tirati indietro, fermati in un nodo sulla nuca, […] la fronte spaziosa. Nessun gioiello adornava il suo collo, né le sue mani. Un lieve sorriso illuminava di bontà e gentilezza il suo bel volto. Fui presa da immediata simpatia e fiducia». Insieme portano aiuti alle famiglie poverissime dell’Agro romano; con loro lo scrittore Giovanni Cena, il professore d’igiene Angelo Celli e sua moglie Anna Fraentzel, alcuni giovani dottori e docenti. Distribuiscono medicinali e abbecedari per l’alfabetizzazione delle bambine e dei bambini, ma anche delle persone adulte che ne fanno richiesta. La campagna romana e il mondo contadino così povero le suscitano emozioni profonde: «Dopo essere rimasta nella capanna per visitare due donne capii che cos’è l’aria d’inferno su questa terra»; resta colpita dal contrasto tra le condizioni misere di quelle comunità e la pulizia fisica e la gentilezza delle persone, in cui ritrova finalmente «le tracce dell’antica civiltà». Sempre sull’onda dello slancio emotivo e professionale verso chi soffre, Olga entra a far parte dell’equipe medico-sanitaria ingaggiata da Nadine Helbig, principessa russa giunta a Roma nella seconda metà dell’800 che, nel 1899, dà vita a un ambulatorio infantile in via Morosini a Trastevere, interamente finanziato a sue spese. La nostalgia per la lontana Lettonia, il «mal di paese» come Olga lo definisce, si insinua ogni tanto nel suo animo. Le capita di commuoversi, passeggiando tra le vestigia del Foro romano, nel sentire per caso il profumo «mai dimenticato» di una giovane betulla «dall’inconfondibile brillante tronco di raso bianco», capace di rievocare «il rinverdirsi dei boschi, il canto degli usignoli». Le manca molto anche la letteratura e, nello scenario culturale italiano che le sembra spento, si ritaglia spazi in cui discutere di narrativa e poesia russa; uno di questi è il salotto culturale che Madame Helbig organizza nella sua villa al Gianicolo, un cenacolo cosmopolita e ricco di suggestioni che suggerisce a Olga l’idea di fare altrettanto nella propria abitazione di via XX Settembre. I suoi salotti culturali ospitano, nel corso degli anni, importanti personaggi internazionali come Gordon Craig, Tat'jana Tolstàja, la scultrice Ekaterina Barjansky, e nazionali come Sibilla Aleramo, Eleonora Duse, i pittori Giorgio De Chirico e suo fratello Andrea Savino, Felice Carena, Filippo De Pisis, Armando Spadini, la pittrice Leonetta Pieraccini, i letterati Giuseppe Ungaretti, Luigi Pirandello, Vincenzo Cardarelli, solo per ricordarne alcuni; frequentano la sua abitazione anche Natalia Goncharova e Michail Larionov, costumisti e scenografi della compagnia dei Balletti russi di Djagilev, della quale Ol’ga è medica durante il periodo delle tournée italiane. Sono di casa intellettuali, critici e studiosi legati alla rivista La Voce, da Papini a Prezzolini, da Emilio Cecchi ad Alberto Spaini, che si incontrano nel cosiddetto salottino rosso per discutere i problemi culturali e sociali del tempo.
Ogni mercoledì si tengono seguitissimi concerti con brani di Bach, Beethoven, Brahms e chiunque può entrare e ascoltare prove ed esibizioni musicali, la porta d’ingresso resta aperta per evitare il disturbo del suono del campanello. Anche lo scultore Rodin vi partecipa quando soggiorna a Roma, ma al riecheggiare delle musiche brahmsiane, che non apprezza, si allontana alla chetichella. Nel 1915, in uno dei mercoledì musicali, arriva inaspettata l’attrice Eleonora Duse ed è l’inizio di un rapporto profondo. Duse, come ricorda Olga, ama «molto la Russia e i russi […] gente dal cuore caldo, dall’anima dritta»: da questa comunanza culturale, spirituale e umana nasce, nel 1924 alla morte di Eleonora, l’idea di celebrare la memoria dell’amica con una biografia, pubblicata poi nel 1938.
Per molto tempo la professione medica e l’amore per la letteratura convivono nelle giornate di Olga Resnevič che, subentrando al compagno Angelo partito volontario per la Prima guerra mondiale, dirige il Dispensario antitubercolare di Roma. Gli anni del conflitto significano molto impegno, lavoro e grandi responsabilità e anche l’inizio di un percorso autonomo che la porta, nel dopoguerra, a lasciare l’esercizio della professione e a dedicarsi completamente alla letteratura, al lavoro di traduzione degli autori russi, al teatro e alla danza. L’interesse per l’arte teatrale, alimentato all’inizio dalla frequentazione con Duse, nel corso degli anni cresce: conosce Stanislavskij, stringe amicizia con Gordon Craig e con il regista Tairov, diventa amica sincera del coreografo e ballerino Aurel Milloss che la introduce nel mondo della danza moderna. Quando nel 1973 Olga muore, Giuseppe Prezzolini la commemora così: «[…] ci pareva nella Roma di prima e di dopo la Prima guerra mondiale la padrona di un’oasi, e nello stesso tempo tutta Roma, la sola Roma che potevamo frequentare. La sua cordialità, la sua comprensione, la sua compassione, la sua bontà praticata con i grandi e con gli umili si riflettevano nella sua voce calma, lenta, cadenzata, nei suoi gesti ieratici, e nelle sue espressioni spesso originali in un italiano domato ma qualche volta disobbediente».
Olga è stata una brava medica, una raffinata intellettuale, una donna emancipata capace di incarnare un femminismo concreto, uno spirito curioso e coerente nelle sue scelte. Perché, come scrisse ad Angelo nel 1930, «siamo immutabili dal principio alla fine della nostra esistenza, e lo scopo nostro è […] di non distaccarsi dalle radici, ma di allungarsi da esse verso il cielo e verso una maggiore luce».
Una volta tramontato l’amore, la stima, l’affetto restano e, insieme al disinteresse per le convenzioni sociali, sono preziosi collanti che permettono a Olga di convivere con la nuova compagna di Angelo e la figlioletta nata dal loro rapporto. Almeno fino agli anni del secondo conflitto mondiale quando riemerge il desiderio di una nuova vita tutta per sé.
Elda Garetto e Daniela Rizzi (a cura di), Archivio russo-italiano VI. Olga Signorelli e la cultura del suo tempo, Salerno, Europa Orientalis, 2010 Elda Garetto, Daniela Rizzi, Ol’ga Resnevič Signorelli https://www.russinitalia.it/dettaglio.php?id=279 https://vitaminevaganti.com/2023/05/13/via-xx-settembre-n-68-qui-visseolga-resnevic-signorelli/ https://vitaminevaganti.com/2023/07/08/via-xx-settembre-n68-il-salotto-internazionale-di-olga-resnevic-signorelli/
Voce pubblicata nel: 2024