Scrittrice in prosa e poetessa, giornalista, artista visiva nel campo della pittura e della scultura, curatrice e organizzatrice di eventi, soprattutto agitatrice culturale: Milena Milani è stata una delle figure più attive nel panorama delle arti visive che attraversa una larga parte del Novecento approdando al Duemila.
Durante la sua carriera lunga e prolifica si è mossa abilmente tra due mondi spesso divisi: quello dell’arte contemporanea e quello della letteratura, riuscendo con caparbia a farsi spazio in entrambi, diventando a sua volta promotrice di personaggi affini alla sua natura e alla sua poetica.
Una vicenda che inizia in Liguria, nella sua Savona, e che proseguirà a Roma, Venezia e Milano, Cortina d’Ampezzo, Albisola, Parigi e New York, città frequentate e vissute prima con il compagno Carlo Cardazzo (che scomparve nel 1963) e poi in autonomia. Lì la sede di alcune delle Gallerie di lui – ad esempio quella del Cavallino sull’isola lagunare e quella del Naviglio nella località lombarda –, dove Milena apprenderà un mestiere, si avvicinerà a case editrici e artisti, costruirà quella dimensione vitale e libera che la contraddistinse sempre.
Era nata il 24 dicembre 1917 a Savona da Anna Antonione, piemontese, e da Tullio Milani, di tendenze anarchiche – che sarà poi convinto antifascista. Gli anni dell’adolescenza non trascorsero del tutto tranquilli per Milena, che ben presto decise di spostarsi a Roma per ragioni di studio e di distacco dall’ambiente di provenienza; nella capitale si dovrà iscrivere ai GUF (Gruppi Universitari Fascisti). È di quel momento anche la sua partecipazione a un concorso di poesia dei Littoriali a Sanremo, che ne rivelò le doti. Roma è anche la città del Caffè Aragno, dove incontra Ungaretti e Cardarelli, che la prenderanno sotto la loro ala protettrice; lì, nel 1942, incontrerà anche Marinetti e la moglie Benedetta Cappa. Lo spostamento a Venezia arriva, invece, quasi come un esilio intorno al 1943, anno dell’incontro con quello che poi sarà il suo compagno, Carlo Cardazzo, parte di un sodalizio non privo di difficoltà che, tuttavia, proseguirà per vent’anni. Durante la seconda guerra mondiale, l’isola risulta protetta su più fronti e permette a Milani di sperimentare l’approccio all’arte con slancio. Lì inizia anche la sua attività di giornalista, su riviste veneziane – pubblicate durante e nell’immediato dopoguerra –, proseguendo poi su «Tempo», dove intervisterà Rina Fort nel 1950.
Autrice lirica, emerse specialmente nel 1947 con il romanzo ispirato ai noir francesi Storia di Anna Drei e, nel 1954, con i racconti della raccolta Emilia sulla diga (entrambi Mondadori), in cui affrontava, attraverso la lente dell’autobiografia, un’epoca, la condizione femminile, il tema dell’amore, del rapporto con l’altro sesso e del costume. Lo stile è certamente influenzato, in entrambi i casi, anche dall’esistenzialismo francese e guarda al cinema, in particolare a quello nordeuropeo, tra lirismo e introspezione.
In quel momento Milena Milani è impegnata a tuttotondo con il compagno in Europa, soprattutto per sostenere la diffusione della pittura italiana oltreconfine e l’arrivo in Italia di nomi di prestigio. Sarà l’unica donna firmataria del Manifesto dello Spazialismo di Fontana e contribuirà a portare a Parigi gli Spazialisti. È anche testimone della fortuna nella nostra penisola, tra gli altri, di Mirò e Kandinskij, di cui ha tradotto, tra anni Cinquanta e Sessanta, alcuni volumi diaristico-biografici: Lavoro come un giardiniere del primo e Sguardi sul passato del secondo.
La multidisciplinarietà “sullo stesso piano”, secondo un’intervista del 1979 a cura di Antonella Barina su «EFFE» 1, ma soprattutto la pluriartisticità che la distinguono nella sua stessa epoca si misura grazie agli sconfinamenti poetici: a partire da Ignoti furono i cieli (Edizioni del Cavallino 1944), la sua prima raccolta, fino a Mi sono innamorata a Mosca (pubblicato da Rusconi nel 1980 ma scritto nel 1965). Il linguaggio lirico e la parola come fulcro della sua arte si leggono sui suoi quadri scritti e sulle ceramiche scritte – da lei inventate –, che aprono ad un capitolo completamente altro del suo fare: quello che si manifesta soprattutto dalla metà degli anni Sessanta in poi, dopo il successo e la censura del suo romanzo più famoso, La ragazza di nome Giulio (Longanesi 1964). Irriverente, spregiudicato e libero, tradotto ben presto negli Stati Uniti e in Francia, il volume mise sotto processo Milena Milani per oscenità. La vicenda di Jules e del suo apprendistato alla vita, la sessualità libera di un personaggio fuori dagli schemi precede di certo le battaglie delle donne e del femminismo, che Milani affrontò scendendo in piazza in numerose occasioni, in quegli anni, nella città di Milano. È coevo anche il suo avvicinamento al Partito Repubblicano: si candiderà, infatti, nelle sue file.
È certo che le sue frequentazioni e i sodalizi con artisti costituiscono lo sfondo sociale ampio entro cui si mosse: da Lea Quaretti, moglie di Neri Pozza, al pittore Bruno Saetti; da Emilio Cecchi a Leonardo Sinisgalli; e poi Filippo De Pisis e Cesare Zavattini; persino Alberto Sordi (che la chiamerà a recitare in Scusi, lei è favorevole o contrario? nel 1966), Marta Marzotto e Hemingway. I contatti umani costituiranno il nucleo dei suoi andirivieni nelle varie città, nonostante un desiderio di solitudine costante su cui poggia un’esistenza piena di situazioni, occasioni, che fanno di quest’autrice una donna vincente, i cui tratti principali emergeranno nel volume di Simona Weller Il complesso di Michelangelo (1976) 2.
La sua biografia, affrontata già dal poeta Gianfranco Barcella leggendo i suoi testi, da Simona Poggi attraverso una lunga intervista, e dalla nipote e pittrice Renata Guga-Zunino, si muove “Nel bene e nel male. E fuori dal coro” 3 per creare un “ideale cenacolo culturale” nel proprio tempo storico, secondo una spinta vitale.
I libri che usciranno dopo La ragazza di nome Giulio, infatti, si muovono tra narrazione biografica e giornalismo; in particolare si possono menzionare Italia Sexy (Immordino 1967), Oggetto sessuale (Rusconi 1977) e L’angelo nero e altri ricordi (Rusconi 1984) in cui, ad esempio, lei traccia numerosi profili di personaggi noti nell’Italia di quegli anni – per la Immordino, infatti, dirigeva proprio la collana di letteratura italiana. Il suo stile mai da rotocalco risente di impressioni soggettive, contatto e scambio avuto con queste figure, a comporre un esemplare coro di voci in un’epoca che sta mutando. Tra queste, si possono ricordare quelle di Picasso, Quasimodo, Giorgio Morandi. Anche sui giornali che fonderà o su cui scriverà negli anni Novanta (uno tra tutti «Cortina Magazine») 4 il rimando agli anni Cinquanta e alla dimensione del ricordo sarà pregnante. La memoria biografica, che l’avvicina ad esempio ad altre autrici – viene in mente Lalla Romano – è costitutiva dei suoi scritti: nei primi racconti di Emilia sulla diga “Tomaso”, infatti, è il soprannome di Carlo Cardazzo, dedicatario di quasi tutti i suoi libri con l’abbreviazione “TH”.
Non abbandonando questa linea autobiografica, tornerà al romanzo con almeno quattro pubblicazioni Io donna e gli altri (Longanesi 1972), Soltanto amore (Rusconi 1976), La rossa di Via Tadino (Rusconi 1979) e Umori e amori (Rusconi 1982), dedicandosi soprattutto dalla seconda metà degli anni Sessanta all’arte, esponendo perciò in tutta Italia le proprie opere. Le sue personali riceveranno l’attenzione della critica e del pubblico.
Negli ultimi trent’anni di vita non si contano le attività, le partecipazioni e il lavoro di giornalista e critico d’arte, che la porteranno anche a confrontarsi con la rivista ligure «Resine»; ciascun ambito d’interesse testimonia la sua viva attenzione nei confronti del circuito dell’arte che aveva conosciuto e contribuito a far crescere.
Viene a mancare nel 2013, nella sua Savona, dove trova sede la Fondazione Museo di arte contemporanea Milena Milani in memoria di Carlo Cardazzo.
La ragazza di nome Giulio, Milano, Longanesi 1964
Io donna e gli altri, Milano, Longanesi 1972
Umori e amori, Milano, Rusconi 1982
L’angelo nero e altri ricordi, Milano, Rusconi 1984
Ha tradotto il volume Georges Gabory, La cassetta di piombo, con disegni di Fiorenzo Tomea, Venezia, Edizioni del Cavallino, 1945. A oggi risulta l’unica traduzione in circolazione del poeta francese in un’edizione libro d’artista.
Referenze iconografiche: Milena Milani fotografata da Paolo Monti, Biblioteca Europea di Informazione e Cultura. Fonte Fondo Paolo Monti.Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license.
Voce pubblicata nel: 2019
Ultimo aggiornamento: 2023