Al principio del 1426 il francescano osservante Bernardino da Siena predicò in Umbria, a Montefalco, Spoleto e Todi. In quest'ultima città contribuì alla riforma degli Statuti e si impegnò nel perseguire l'attività di una certa Matteuccia di Francesco; è la sentaenza dello stesso processo, celebrato due anni dopo, a ricordarlo.
Non abbiamo alcuna reportatio (le reportationes sono trascrizioni in presa diretta dei sermoni pubblici) di questo ciclo di prediche, ma è molto probabile che Bernardino abbia agito come aveva fatto a Roma dove aveva predicato contro la “stregoneria”: sebbene al tempo lo statuto della stregoneria fosse ancora vago e in via di formazione. I romani, aizzati dalle sue prediche, denunciarono in quell’occasione una certa Finicella, che finì sul rogo.
Matteuccia di Francesco venne giudicata e condannata in quanto «donna di pessima condizione, vita e fama, pubblica incantatrice, fattucchiera, maliarda e strega» da un tribunale laico guidato da Lorenzo de Surdis, capitaneum della città, coadiuvato da giurisperiti. Matteuccia è definita incantatrix in quanto guaritrice che ricorre a numerosi incantesimi - alcuni dei quali sono riportati dagli atti -, accompagnati anche da gesti rituali; libera diversi posseduti, sia con la pratica della "misurazione dei panni" (che serviva a finalità terapeutiche), sia ricorrendo a un "osso pagano". Quest'ultima usanza unisce l'utilizzo di ossa di cadaveri - bambini non battezzati oppure ossa ritrovate in sepolture antiche o ancora di condannati a morte - alla recitazione di preghiere cristiane.
È inoltre factuchiaria et maliaria: le fatture e le malie - i termini, nell'uso che ne fa il testo, sono pressoché sinonimi - ineriscono soprattutto alla sfera dei disagi erotico-affettivi.
Matteuccia doveva aver raggiunto una certa notorietà, perché a lei si rivolgevano donne e uomini in gran numero. I rimedi proposti consistono, come sempre in quest'ambito, nella somministrazione di intrugli composti di erbe, capelli, polvere di rondini, animali morti; la donna impiegava inoltre immagini di cera oppure oggetti consacrati. Gli unguenti, afferma la sentenza, si ottenevano a volte dalle carni e dal grasso dei morti. Matteuccia si serve di questo espediente, prelevando l'occorrente dal cadavere di un annegato, per fornire un unguento curativo a uno "stipendiario" del condottiero Braccio da Montone. È un'ulteriore prova della fama raggiunta dalla donna, poiché poteva vantare una clientela anche al di fuori del ristretto ambito cittadino e suburbano.
Fare e disfare fatture, cui si attribuiva l'origine di molte malattie fisiche e psichiche, era un'altra delle competenze di Matteuccia: per guarire un paralitico la donna lo lava con un decotto di erbe che successivamente getta per strada, in modo da trasferire la fattura sul primo malcapitato passante. La connotazione "professionale" assunta dall'attività di Matteuccia è un elemento aggravante di notevole portata, come il tribunale non manca di sottolineare.
Infine, la donna è definita “striga”: la stregoneria implica la sua andata allo «stregatum, devastando infanti, succhiando il sangue di molti lattanti in diversi luoghi e tempi, e recandosi con altre streghe al noce di Benevento e presso altri alberi di noce, ungendosi con un certo unguento fatto di grasso di avvoltoi, sangue di nottole, sangue di bambini ancora lattanti e altre cose».
Questi, in sintesi, i crimini stregonici di Matteuccia; dei bambini dissanguati per preparare gli unguenti si parla a più riprese, circostanziando in cinque casi i fatti con i nomi dei genitori e le località in cui sarebbero stati perpetrati gli omicidi. Soprattutto, però, nel testo non si avanzano mai dubbi sulla realtà del fenomeno stregonico: per Bernardino da Siena, come per molti dotti chierici del tempo, si trattava di illusioni diaboliche, non di eventi reali. Invece agli occhi dei giudici del processo è proprio Matteuccia che «divenuta strega (...) sotto forma di gatta» dissangua i bambini nelle culle.
Fra le formule attribuite a Matteuccia una è particolarmente celebre perché nomina il Noce di Benevento quale meta del volo notturno delle streghe: «Unguento, unguento / madame a la noce de Benivento, / supra aqua et supra ad vento / et supra ad omne maltempo». Si può in realtà ipotizzare che sia la rima, magari stimolata dalla fama magica del luogo, ad aver eletto Benevento a ritrovo delle streghe. In un altro processo perugino, svoltosi nel 1456 contro una certa Mariana, la formula attribuita alla strega cambia infatti così: «Unguento, menace a la noce de Menavento sopra l’acqua et sopra al vento». La fama di Benevento quale meta del Sabba diventerà ricorrente nei processi di stregoneria italiani della prima età moderna.
Il tribunale lasciò pochi giorni a Matteuccia per organizzare la sua difesa: evidentemente una pura formalità. La condanna a morte sul rogo fu eseguita il 20 marzo 1428; la donna venne trasportata al luogo deputato a cavallo di un asino, con le mani legate dietro la schiena e una mitra sulla testa. Non conosciamo la sua età e il suo stato familiare; resta soltanto un piccolo disegno sul margine della carta che contiene la sentenza di condanna, tracciato presumibilmente dal notaio che l’ha redatta: vi si vede Matteuccia, con i capelli scarmigliati secondo un topos stregonico diffuso, nell’atto di incantare per mezzo di una bacchetta un piccolo animale.
Marina Montesano, “Supra acqua et supra ad vento”. Superstizioni, maleficia e incantamenta nei predicatori francescani osservanti (Italia, sec. XV), Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1999
Marina Montesano, Classical Culture and Witchcraft in Medieval and Renaissance Italy, London, Palgrave/MacMillan, 2018
Voce pubblicata nel: 2019
Ultimo aggiornamento: 2019