«Vado a riposarmi un po’ in teatro», era una frase abituale per Marisa Minelli, che aveva quella generosità che pochi essere umani praticano e che è propria dei grandi artisti e dei saggi. Di coloro, insomma, che sanno donare agli altri il risultato del loro impegno quotidiano. Era nata milanese, da famiglia milanese, e abitava ai margini di un campo da tennis del Club Ambrosiano (ora Lombardo). Lì Marisa iniziò a raccogliere, per porgerle ad altri, le palline da tennis, quasi fossero i pomi d’oro che Ippomene lasciava cadere nella sua fuga per rallentare le corsa di Atalanta lanciata al suo inseguimento. E ogni pomo raccolto era per lei un’affascinante parte in un copione da recitare. Dopo l’esordio con Gli Innamorati di Goldoni a Bolzano, nel 1961 le venne affidata una piccola parte nel El nost Milan di Carlo Bertolazzi al Piccolo Teatro di Via Rovello, dove era approdata dopo aver frequentato la scuola di teatro del Filodrammatici insieme a Lamberto Puggelli, suo compagno nella vita. Nei sogni di ogni aspirante attrice c’è Medea, di ogni aspirante attore Amleto. E nel destino dei due apparve Euripide e arrivò pure Shakespeare. Per Marisa ci fu Betty nell’Opera da tre soldi di Bertold Brecht, poi Smeraldina ne Arlecchino servitore di due padroni di Carlo Goldoni, che portò sui palcoscenici del mondo intero per oltre vent'anni, per Lamberto, Shakespeare, poi di tutto.
Marisa era una donna pratica, che si destreggiava tra le necessità, i doveri e gli impegni della maggior parte delle donne: la cura della casa (cucinava in maniera egregia) dei genitori, del figlio, dei rapporti con i vicini di casa e di quelli con gli amici, indifferente al fatto che portassero nomi altisonanti o che fossero semplici bottegai. In questo era profondamente e intimamente una donna lombarda; ed è forse per questo che ha rivestito mirabilmente i panni della Sposa Francesca ne La Sposa Francesca di Francesco De Lemene, un personaggio che le calzava a pennello e che resterà indimenticabile nella mente e nel cuore di coloro che hanno potuto conoscerlo. Marisa, sposa Francesca, è riuscita a restare attaccata alla verità delle cose in quella parte come nella sua vita privata. Era abituata ad alternare la lingua italiana al dialetto lombardo e De Lemene scrisse questa commedia in dialetto lodigiano, ambientandola nei primissimi anni del 1700. Sul palcoscenico del Piccolo Teatro questa commedia approda nella stagione 91/92 proprio per la regia di Lamberto. Ma nel frattempo Marisa ha interpretato anche Atena nell’Ifigenia fra i Tauri al Teatro Greco di Siracusa; Jone nel Libro di Ipazia di Mario Luzi; Antonietta Visconti, la moglie, nel Conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni.
Ha recitato a fianco di Tino Carraro, Piero Mazzarella, Rosalina Neri, Marisa Fabbri, Giancarlo Dettori, Massimo Foschi, Umberto Ceriani e molti altri ancora. Giorgio Strehler, il maestro di tutti coloro che in quegli anni hanno fatto teatro, l’apprezzava grandemente e non di rado, durante le prove, le chiedeva: «Tu come la faresti?» Perché Marisa riusciva a parlare tutte le lingue necessarie a rendere vivo il personaggio che interpretava, passando dal realistico dialetto lombardo agli aulici versi di Mario Luzi o di Alessandro Manzoni.
Erano in molti ad appoggiarsi a lei. Per tutti, persone semplici o importanti che fossero, c’era il piatto prediletto, la carezza del suo sorriso, la parola giusta, a volte anche la sgridata, di cui sovente era vittima il figlio Lambertino, che a suo parere non studiava abbastanza, né si curava della musica. La musica, per Marisa, era fondamentale e la sua voce, benchè appena impostata, davvero emozionante. La esibiva a volte in palcoscenico quando l’ambientazione lo richiedeva: «Quando che vien le gondole…» intonava, e si apriva una parentesi magica.
Sembra ancora di udire questa voce sulla sua uscita di scena. Nell’inverno del 1998 Lamberto Puggelli, suo compagno per tutta la vita, reduce da un grave intervento chirurgico, era ricoverato da oltre un mese al Policlinico dell’Ospedale di Milano dove Marisa, nonostante fosse stata colpita da quell’orrido male che non guarda in faccia a nessuno, si recava quotidianamente per tenergli la mano. Ma il 18 febbraio Lamberto fu trasportato in lettiga al capezzale di Marisa, degente in un altro reparto, per esserle vicino nell’ultimo istante. Ci vorrebbero forse Euripide o Shakespeare per trovare le parole giuste, capaci di raccontare questa storia.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023