Ci sono storie che hanno il potere di accendere l’interesse dei lettori a secoli di distanza: la vita di Marie-Madeleine Jodin è una di queste.

Nata nel giugno del 1741, Marie-Madeleine trascorse la sua infanzia e giovinezza a Parigi, dove la famiglia di origine ginevrina si era trasferita perché il padre Jean Jodin potesse perfezionare i suoi studi di orologeria. Il tentativo di Jean Jodin di inserirsi e partecipare al vivace circuito intellettuale e scientifico della capitale francese fu coronato dal successo: nel 1754 presentò all’Académie des Sciences il progetto di un orologio a due pendoli che ebbe un discreto successo divenendo anche un collaboratore e corrispondente del filosofo Denis Diderot.

Per Marie-Madeleine e la madre la situazione fu invece più complessa soprattutto all’indomani della morte del padre nel 1761. Entrambe le donne vennero internate alla Salpetrière per volontà di uno zio paterno che le accusò di libertinage e prostituzione.

La Salpêtrière era una struttura interna all’Hôpital général de Paris, destinata ad accogliere a partire dalla fine del XVII secolo le donne accusate di prostituzione o comportamenti scandalosi. Dobbiamo ricordare che nel Settecento l’autorità familiare era prepotentemente rinforzata dalla cosiddetta polizia dei costumi, a cui si poteva ricorrere per costringere all’obbedienza un figlio o, come più probabilmente dietro alla denuncia contro Marie-Madeleine e la madre, per difendere degli interessi economici in una contesa ereditaria.

All’indomani della sua liberazione, avvenuta presumibilmente fra il 1763 e il 1764, Marie-Madeleine intraprese la carriera di attrice fuori dai confini della Francia, a Varsavia e Dresda. Dietro la scelta di lasciare il Paese si può presumere la volontà di fuggire il marchio di infamia che segnava le donne che erano state rinchiuse alla Salpêtrière; durante il suo soggiorno a Varsavia iniziò, infatti, a circolare un libello anonimo che insisteva sullo stigma fisico delle cicatrici visibili sulle spalle come prova della sua reclusione (e delle violenze subite).

Anche la scelta di intraprendere la carriera teatrale è un elemento significativo per riflettere sulla condizione femminile nel XVIII secolo; non fu certamente una scelta casuale. Sul mondo del teatro e delle attrici pesavano, infatti, pesanti pregiudizi (basti pensare che la comunità era esclusa dai sacramenti cattolici). Ma proprio questa esclusione dalla società, per la sua stessa natura di professione moralmente pericolosa, consentiva ampi margini di libertà alla comunità degli attori e soprattutto delle attrici. Della carriera di Jodin siamo informati grazie alla sua corrispondenza con Denis Diderot che si prodigò in consigli sia in materia teatrale (non dobbiamo dimenticare che Diderot voleva fare del teatro uno strumento di azione etica) sia in termini personali (il filosofo si occupava delle finanze della giovane e la teneva informata delle condizioni di salute della madre che era rimasta a Parigi).

Dopo le tappe di Varsavia e Dresda, Jodin nel 1768 tornò in Francia stabilendosi a Bordeaux, dove ebbe nuovamente problemi con la giustizia francese: fu, infatti, arrestata con l’accusa di non essersi inginocchiata ma anzi di aver deriso i simboli della cristianità durante la processione cittadina del 15 agosto a cui aveva l’obbligo di attendere in quanto neoconvertita al cattolicesimo. Sappiamo da una infastidita lettera di Diderot a Sophie Volland che venne imprigionata e che poté liberarsi solo pagando una somma considerevole.

La carriera di attrice subì una svolta nel 1774 quando venne ingaggiata nella compagnia della celebre Mademoiselle de Montansier per recitare ad Angers. Tuttavia, dopo soltanto una settimana di ingaggio Marie-Madeleine venne licenziata con l’accusa di non aver rispettato i termini del contratto. Sappiamo tuttavia che portò fruttuosamente la sua causa in tribunale accusando quello che noi oggi definiremo il registra e all’epoca era il direttore della troupe di aver avanzato delle pretese sessuali e di essere stata allontanata per essersi rifiutata di rispondere alle sue attese.

L’amarezza di un licenziamento profondamente ingiusto o forse la repulsione per un universo misogino la convinsero ad abbandonare le scene ma non per questo a smettere di utilizzare la sua voce in ambito pubblico. Soffiava, infatti, il vento della Rivoluzione e alla notizia della convocazione degli Stati Generali e della formazione dell’Assemblea nazionale costituente, Marie-Madeleine Jodin si convinse che fosse finalmente giunto il momento di offrire il proprio contributo alla stesura della nuova Costituzione francese.

Nel 1790 pubblicò le sue Vues législatives pour les femmes adressées à l’Assemblée Nationale. Un anno prima che Olympe de Gouges scrivesse la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, Marie Madeleine chiese all’Assemblea nazionale francese che venissero riconosciuti i diritti delle donne.
Il testo si apre con una significativa dedica “Al mio sesso”:

Mentre i Francesi hanno mostrato il loro zelo per rigenerare lo Stato e fondare la sua felicità e la sua gloria sulle basi eterne delle virtù e delle leggi, ho pensato che il mio sesso, che compone l’interessante metà di questo bell’impero, potesse a sua volta reclamare l’onore e anche il diritto di concorrere alla prosperità pubblica, e che, rompendo il silenzio al quale la politica sembra averci condannate, noi possiamo dire utilmente: "e anche noi siamo cittadine"

L’obiettivo di Jodin era innanzitutto quello di coinvolgere le donne nell’elaborazione di un codice legislativo e quindi di istituire una nuova organizzazione politica che liberasse le cittadine da quella sorta di tutela che le allontanava dagli interessi pubblici. Secondo Marie-Madeleine, soltanto attraverso il riconoscimento dei diritti delle donne si sarebbe ottenuto l’obiettivo della felicità generale a cui stavano lavorando i deputati riuniti all’epoca nell’Assemblea nazionale costituente.

In particolare, la pensatrice chiese l’abolizione della prostituzione denunciando l’ipocrisia del governo francese e della polizia secondo cui le prostitute, sebbene fuorilegge, costituissero una realtà necessaria e inevitabile soprattutto nelle grandi città. Infine, reclamò a gran voce l’istituzione del divorzio considerando il matrimonio indissolubile un legame contro natura che finiva sempre per pesare su coloro che l’avevano contratto.

Solo quest’ultima richiesta fu accolta dai rivoluzionari che nel settembre 1792 istituirono il divorzio garantendo ad entrambi i coniugi le stesse condizioni per chiedere la fine di un’unione. Jodin non poté tuttavia né plaudire all’istituzione del divorzio né lamentare insieme a Olympe de Gouges o Mary Wollstonecraft il mancato riconoscimento dei diritti delle donne perché morì nell’agosto del 1790 all’età di 49 anni a Fontainebleau.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Marie Madeleine Jodin

Felicia Gordon, Vues législatives pour les femmes (1790). A Reformist-Feminist Vision, «History of Political Thought», IV, (1999), 20, pp. 649-673.

Felicia Gordon - P. N. Furbank, Marie-Madeleine Jodin, 1740-1790, Actress, Philosophe, and Feminist, Aldershot, Ashgate, 2001.

Sarah Knott - Barbara Taylor (edited by.), Women, Gender and Enlightenment, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2005.

Valentina Altopiedi, Donne in Rivoluzione. Marie-Madeleine Jodin e i diritti della citoyenne. Con l’edizione dei "Pareri legislativi per le donne indirizzati all’Assemblea nazionale" (1790), Edizioni di storia e letteratura, Roma 2021.


Voce pubblicata nel: 2024