C’è una data che fa da spartiacque nella vita di Mariasilvia Spolato, l’8 marzo 1972. Quel giorno molte donne (tra loro anche Jane Fonda, attivista e attrice americana) scesero in piazza a Roma, a Campo de Fiori, luogo simbolo dell'Inquisizione che bruciò sul rogo il filosofo Giordano Bruno dopo averlo accusato di eresia. I numeri sono contrastanti: le fonti hanno trasmesso 20.000 presenze, ma alcune donne presenti quel giorno testimoniano che il gruppo era decisamente inferiore, 200 donne convinte (grazie di questa segnalazione a Loretta Meluzzi e Giovanna Pala), quindi ancora più esposte. Mariasilvia Spolato sfilò infilata nel suo cartello-sandwich con la scritta "Liberazione omosessuale": era il primo atto di visibilità omosessuale in una piazza italiana e Mariasilvia era la prima donna italiana a dichiararsi pubblicamente lesbica.
Nata a Padova il 25 giugno 1935 in una famiglia della media borghesia cittadina, si laureò in scienze matematiche e, dopo un breve periodo in cui si trasferì a Milano dove lavorò all’Ufficio tecnico della Pirelli, nel 1966 rientrò in Veneto - forse in seguito alla morte del padre – e si iscrisse ai concorsi per l’abilitazione all’insegnamento; nel 1969 pubblicò anche, con l’editore Zanichelli, un manuale scolastico di insiemistica corredato da esercizi. Non sappiamo dove sia vissuta o che lavoro abbia svolto a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta: probabilmente tentò di inserirsi nell’insegnamento scolastico e forse, per un periodo, collaborò con la casa editrice Fabbri o con alcune riviste. Possiamo presumere anche che Spolato in questo periodo possa aver approfondito alcune tematiche legate ai diritti civili e all’impegno politico nei movimenti femminista e omosessuale, visto che nel 1972 curò un’antologia di testi sui movimenti omosessuali di liberazione provenienti da tutto il mondo (I movimenti omosessuali di liberazione. Documenti, testimonianze e foto della rivoluzione omosessuale, Samonà e Savelli, Roma 1972), che ancora oggi è considerato una bibbia dei diritti civili.
Trasferitasi a Roma all’inizio degli anni Settanta, lì frequentò il collettivo femminista di via Pompeo Magno, partecipando così sia al movimento omosessuale che a quello femminista, e intraprese la carriera dell’insegnamento. Ma il suo incarico nell’anno scolastico 1971-1972 presso l’Istituto professionale per il commercio “Maffeo Pantaleoni” di Frascati durò poco: già nel dicembre 1971 fu ritenuta "non più idonea all’insegnamento" e spostata alla scuola media “Donatello” nella periferia est di Roma. La Camera del lavoro locale annovera anche quello contro Spolato tra i “gravissimi provvedimenti repressivi contro attivisti del sindacato scuola Cgil”, ma nel suo caso probabilmente incisero anche le prese di posizione pubbliche su temi sensibili come quello delle scelte sessuali. Infatti, nel ricostruire la sua partecipazione al congresso di sessuologia a Sanremo, lei dichiarò al «Corriere della Sera» di essere stata “sospesa dalla scuola per le sue battaglie in difesa della libertà sessuale” e nel novembre del 1972 tornò sull’argomento nel corso dell’intervista che fece a Simone de Beauvoir, parlando di “insegnanti omosessuali [che] vengono cacciati dalla scuola adducendo falsi motivi di scarso rendimento”; inoltre, secondo una testimonianza di Anna Rap del Pompeo Magno, che aveva accompagnato Spolato al Provveditorato agli Studi di Roma, una copia dell’articolo di «Panorama» che la immortalava mentre indossava il cartello con cui dichiarava, nella manifestazione dell’8 marzo 1972, la sua omosessualità conservata nel fascicolo dell’attivista padovana indicava chiaramente un legame tra il suo “licenziamento” e la sua attività politica.
Certamente, tra il 1971 e il 1974 Spolato ebbe un ruolo fondamentale nella fase pionieristica del movimento di liberazione omosessuale italiano: fondò nel 1971 il Flo (Fronte di Liberazione Omosessuale), partendo dall’idea che le lesbiche dovessero liberarsi dalla “doppia oppressione” che subivano in quanto donne e omosessuali (anche se è stato ipotizzato che dietro quella sigla in realtà ci fosse solo lei, e che la usasse per firmare volantini distribuiti nell’attesa di aggregare altre donne). Il Flo confluì poi nel Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano (Fuori) e Mariasilvia fondò, insieme ad Angelo Pezzana, l’omonima rivista, portavoce dell’organizzazione.
Collaborò anche a varie riviste di settore e utilizzò la fotografia - suo grande amore - come mezzo per comunicare il suo pensiero. Fu un’attivista impegnata e agguerrita: si deve a lei l’allarme lanciato ai compagni del Fuori riguardo al convegno di sessuologia in programma nell’aprile 1972 a Sanremo e che aveva come oggetto la “cura dell’omosessualità”: congresso che riuscirono a far chiudere anticipatamente organizzando una manifestazione di lesbiche e gay, con militanti arrivati anche dall’Inghilterra, dal Belgio e dalla Francia. Grazie alla sua conoscenza delle lingue straniere e alle relazioni maturate nel corso dei suoi viaggi, fu anche la principale organizzatrice del primo Congresso internazionale delle donne omosessuali che si tenne il 27 e 28 aprile del 1974. Ma già nel febbraio del 1974 Mariasilvia aveva scritto in un articolo – autobiografico? –delle pressioni di persone che “arrivano persino a farci psicanalizzare e curare”: persone che “esplodono con tutta una carica di aggressività contro di noi. E ci applicano tutto quello che sono loro e che rifiutano di riconoscere”, denunciando chiaramente, quindi, un clima pesante di emarginazione e solitudine.
Senza soldi e senza casa, iniziò lentamente a scivolare ai bordi della società, dormendo in un primo tempo a casa di amici, poi sui treni, nelle stazioni, nei parchi. Finché restò a Roma, anche quando cominciò a vivere per strada, le compagne del Pompeo Magno continuarono a essere per lei un punto di riferimento; Edda Billi la ricorda girare “con due borsone come tutte le donne che stanno per strada e hanno sempre delle borse dove tengono di tutto” e raccattare libri e giornali da terra, perché a tutto rinunciò, ma non a leggere. Poi le sue tracce si persero e non si sa come e perché finì per arrivare a Bolzano, i cui dintorni le erano familiari per averci trascorso in gioventù periodi di vacanza. Le testimonianze raccolte in quella città la descrivono come una persona che “si chiude negli angoli a leggere e scrivere”: sempre intabarrata nella sua giacca a vento rossa e blu, con il cappello di lana calato sulla testa, estate e inverno, vagava in cerca di libri e riviste da leggere e si rifugiava nella Biblioteca civica quando faceva troppo freddo.
Poi, negli anni Novanta, si ammalò: una cancrena alla gamba. Venne ricoverata e per la prima volta – forse perché ormai stanca della vita di strada – permise ai servizi sociali di prendersi cura di lei. Accettò di essere ospitata nella casa di riposo “Villa Armonia”, ma mettendo ben in chiaro, combattiva come sempre, che non intendeva rinunciare alla sua libertà: e infatti ogni giorno usciva dalla struttura per ritornarvi solo a dormire, in una camera affollata da libri e giornali raccolti qua e là. Ci vollero tre anni prima che Mariasilvia ricominciasse a fidarsi di chi diceva di volerla aiutare: e poco per volta iniziò a prendere parte alle attività della struttura e a scegliere - lei, coltissima - i film da proiettare; ed era sempre lei a fare le foto a tutti, riportando alla luce la sua passione più grande. Pur continuando a non parlare molto, iniziò anche a raccontare ogni tanto qualcosa di sé e della sua prima vita. “Come fotografo – ricorda Lorenzo Zambello cui si devono le foto recenti della donna – è stato un grande onore poterla fotografare, infatti non amava essere ripresa. Questa primavera, mentre facevo ritratti degli ospiti di villa Armonia, è stata lei a venire da me”.
Nella struttura che la ha ospitata nei suoi ultimi anni è morta, il 31 ottobre 2018, circondata dall’affetto degli operatori, ma non dimenticata nemmeno da alcune compagne che, da quando aveva trovato rifugio a Bolzano, le facevano recapitare di tanto in tanto pacchi di doni e dolciumi. La notizia della sua morte però non sarebbe forse neppure divenuta pubblica se il fotografo Lorenzo Zambello e il quotidiano «Alto Adige» non le avessero dedicato la giusta attenzione. E così la sua morte le ha in qualche modo restituito un riconoscimento pubblico, come pioniera del movimento per i diritti delle persone omosessuali; dall’anonimato in cui aveva vissuto la seconda parte della sua vita è tornata a far parlare di sé e numerosi articoli di giornale hanno ricordato la sua storia.
La voce è stata rivista e aggiornata alla luce di un nuovo studio condotto da Giovanni Focardi, Nicolò Da Lio e Adriano Mansi su Mariasilvia Spolato che ha permesso di colmare alcune lacune
Mariasilvia Spolato (a cura di ) I movimenti omosessuali di liberazione. Documenti, testimonianze e foto della rivoluzione omosessuale, 1972
Luca Fregona, Addio a Mariasilvia Spolato, la prima a dire “io amo una donna”, in “Alto Adige”, 7 novembre 2018
Elena Biagini, Luminose radicalità politiche, in “il Manifesto”, 11 novembre 2018
https://it.wikipedia.org/wiki/Mariasilvia_Spolato
Un ricordo di Mariasilvia Spolato – Giovanni Focardi (wordpress.com)
FOCARDI, Giovanni, DA LIO, Nicolò, MANSI, Adriano, «Essere esseri umani. Il coraggio di Mariasilvia Spolato», Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, 46, 2/2021, 29/06/2021,
URL: < http://www.studistorici.com/2021/06/29/focardi_dalio_mansi_numero_46/ >
Referenze iconografiche: Mariasilvia Spolato, 1970. Fonte: Il Manifesto. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2019
Ultimo aggiornamento: 2023