Maria Bellonci è stata una delle protagoniste della vita culturale italiana dagli anni Trenta agli anni Ottanta del ‘900. Ricercatrice, scrittrice, sceneggiatrice, traduttrice e fondatrice del Premio Strega. Per comprendere la complessità della sua figura è necessario considerare tutti gli aspetti, anche contraddittori, che hanno caratterizzato il suo lavoro e la sua vita. Bellonci è stata una donna dal carattere riservato, riflessivo e incline alla depressione, ma nello stesso tempo pienamente inserita nella vita mondana della società letteraria italiana, fondatrice dell’Associazione Goffredo Bellonci e soprattutto come si è detto del celebre Premio Strega.
La sua immagine pubblica non sembra trovare corrispondenza nella scrittrice assidua frequentatrice di carte d’archivio, animata da una profonda passione per la ricerca storica:
La popolarità che mi viene dal premio così diffusa e corrente, non coincide né con il mio carattere solitario e schivo, né con il mio lavoro che più vale dove è più rigoroso. Sono portata […] agli esami analitici e ai sondaggi approfonditi. Mi impegna la ricerca tradotta in termini stilistici di mondi interiori e di fatti […] Le luci della ribalta del premio, invece, investendomi superficialmente disegnano un personaggio che non mi somiglia affatto. Non amo condurre, dominare mi ripugna.
La sua storia ha inizio a Roma il 3 novembre 1902. Maria Villavecchia nasce da Felicita Bellucci, di origini umbre, e Girolamo Vittorio Villavecchia, discendente di un’aristocratica famiglia piemontese. Si aggiungono successivamente le due sorelle, Nella e Gianna, e il fratello Leo. A Roma trascorre un’infanzia serena, frequentando prima l’Istituto del Sacro Cuore a Trinità dei Monti e poi il liceo Umberto I. Il padre è direttore dell’ufficio Chimico del Ministero delle Finanze, docente universitario e autore di un trattato di merceologia e da lui Maria apprende la passione per la ricerca.
Il 1922 è un anno fondamentale nella vita di Maria che compone il suo primo romanzo Clio o le amazzoni e ha l’ardire di sottoporlo al giudizio di Goffredo Bellonci, redattore del “Giornale d’Italia”. Goffredo, che nel 1928 diventa suo marito, è più grande di vent’anni e all’epoca del loro incontro è già un critico affermato. Il romanzo viene giudicato ancora acerbo ma segna l’inizio di un sodalizio affettivo e intellettuale che influenzerà profondamente la vita di entrambi, fino alla morte di Goffredo nel 1964.
La dicotomia che caratterizza la figura di Maria la ritroviamo anche nel suo rapporto con il marito, riflessa nei due soprannomi che è solita utilizzare. ‘Picci’ è quello del compagno di vita: "La mia gioia è andar via con Goffredo per le strade e per le piazze, e sentirmi non legata da nulla che non sia vero amore". Mentre Bel è quello del maestro, la guida intellettuale: "Quando ci sposammo, lui mi fece lezione sui classici per anni [...]. Sono stata cresciuta da lui per scrivere".
E così, sostenuta e incoraggiata dal marito, Maria Bellonci continua a dedicarsi alla scrittura e avvia una collaborazione giornalistica con “Il Popolo di Roma” dove affronta temi femministi nella rubrica L’altra metà. Il suo femminismo è una richiesta di parità in ogni campo della vita privata e lavorativa e si configura come "la possibilità di avere tutte le vie aperte, di studiare come si vuole, di andare e di venire liberamente, senza impacci". D’altra parte, afferma Maria, non si può non essere femministi "avendo letto nei secoli la storia, umiliante per l’umanità, dell’immensa infelicità delle donne", ed è proprio attraverso il rapporto con due storiche figure femminili che si snoda la sua parabola di scrittrice: Lucrezia Borgia e Isabella d’Este. Lucrezia, maltrattata dalla storia e avvolta da un’oscura fama di malvagità, la affascina profondamente e si dedica con passione ad approfondite ricerche di archivio dal 1930 al 1939.
Nel 1932 scrive a Mondadori:
Si tratta di un’opera alla quale lavoro da due anni, assiduamente: ho voluto seguire la vita veramente straordinaria di questa donna sui documenti del tempo, numerosissimi, sparsi in tutti gli archivi d’Italia. Ho avuto la fortuna di trovare molte cose inedite che mi permettono di ricostruire questa vita con una novità di prospettiva.
Il libro vede la luce nel 1939 con il titolo di Lucrezia Borgia e il suo tempo e ottiene un buon successo di critica e pubblico, vincendo il premio Viareggio. Spostandosi in giro per l’Italia, tra i Musei Vaticani di Roma, gli Archivi di Stato di Firenze, Mantova e Modena, continuano per tutta la vita rigorose ricerche che le procurano grande soddisfazione: "Mi sentirò giovane e scintillante ogni volta che in un archivio mi deporranno sul tavolo una busta di grandi fogli ingialliti coperti da una scrittura vecchia di secoli".
Frutto di questo lavoro sono state le opere I segreti dei Gonzaga del 1947, Tu vipera gentile pubblicata nel 1972 e Rinascimento privato del 1986, l’ultimo capolavoro, dedicato alla figura di Isabella d’Este. Nel periodo della guerra, e nei difficili anni successivi, Maria deve però fare i conti – così come gli altri intellettuali del tempo – con problemi economici. Per sopravvivere si impegna in traduzioni di romanzi stranieri, attività giornalistiche e una grande varietà di collaborazioni che spaziano dall’editoria, alla radio, alla televisione. Nel 1951 tiene, ad esempio, la rubrica radiofonica Scrittori al microfono, l’anno successivo la serie mensile La donna e il secolo e nel 1953 il ciclo di trasmissioni Milano viscontea, di cui pubblicò per la Eri i testi nel 1954.
A occupare con prepotenza le energie di Maria è soprattutto l’organizzazione del Premio Strega. La storia del premio affonda le radici nel difficile periodo della guerra e dell’occupazione tedesca, quando a partire dal giugno 1944 gli amici letterati si ritrovano ogni domenica a casa Bellonci, in via Liegi, per ascoltare “facendo circolo, la storia appassionante dell’Italia ritrovata”. Dagli incontri settimanali di quelli che Maria definisce “Gli amici della domenica” si fa gradualmente strada l’idea di
un nostro premio, un premio che nessuno ancora avesse mai immaginato. L’idea di una giuria vasta e democratica che comprendesse tutti i nostri amici mi sembrava tornar bene per ogni verso […] era nata da me, da me a paragone con gli altri, dalla nuova coscienza sorta nei tempi tanto incisivi della Resistenza durante i quali avevo imparato che gli uomini esistono gli uni per gli altri e che gli scrittori non fanno eccezione.
Il progetto si concretizza quando Guido Alberti, produttore del Liquore Strega, accetta di finanziare l’istituzione del premio letterario che vede la luce nel 1947, contando su una vasta giuria democratica, composta sia di letterati che di gente comune. Maria Bellonci si occuperà in prima persona della sua organizzazione per tutta la vita: "lo Strega è un premio senza regali e senza vantaggi per chi ci lavora dentro. Da noi non è mai esistito un ufficio organizzativo, non ci sono mai stati segretari, incaricati di relazioni con la stampa […] noi stessi ci siamo offerti soltanto un lavoro difficile e senza contropartita".
In Come un racconto gli anni del premio Strega, una retrospettiva pubblicata nel 1970, scrive:
Mentre lo Strega si irrobustiva sempre meglio, cominciavo a sospettare che questo strumento democratico ideato per una comunità di scrittori, si fosse tramutato solo per me in uno strumento di castigo. Avevo una colpa? E quale? Ad uno scrittore una sola cosa sta bene: scrivere. […] Io davo il mio lavoro a qualche cosa che avveniva fuori dal mio studio, e in più offrivo il modo ad alcune persone di alterare la mia figura o meglio la mia verità.
Ad affaticare così tanto Maria sono le critiche, le interferenze della stampa, le contestazioni, i rancori e la guerra tra fazioni che accompagnano con sempre maggior vigore ogni nuova edizione del premio. Estenuante è anche la battaglia per il riconoscimento del valore delle scrittrici; nel 1957 la prima donna a vincere il premio è Elsa Morante con L’isola di Arturo, da allora solo 12 donne hanno raggiunto lo stesso traguardo, eppure questo non ferma le polemiche: “secondo alcuni le donne votanti (che naturalmente in certo modo io rappresenterei) da femministe quali sono favoriscono sempre le altre donne. Secondo altri, più numerosi e ottusi, figurarsi se le donne votano per le donne. […] Chissà se potrà servire a chiarire qualche cosa, ripetere ancora una volta che nella nostra lista le donne sono meno di un quarto del numero totale dei votanti, e che dunque in realtà sono gli uomini a non votare le scrittrici e molto spesso a non leggere i loro libri?”.
Sono tante le donne d’ingegno con le quali Maria instaura un rapporto di amicizia e collaborazione e che partecipano al premio nel corso degli anni. Tra le altre, Elsa Morante, Fausta Cialente, Alba de Céspedes e Gianna Manzini. E soprattutto Anna Banti cui la lega un sodalizio nato nel 1936, durante la stesura di Lucrezia Borgia, e allentatosi alla fine degli anni Sessanta: ad unirle è stata un'amicizia profonda, l’interesse comune per la storia delle donne, la lotta per il diritto alla loro affermazione intellettuale, ma anche la grande passione per la ricerca storica. Fondamentale è stata anche l’amicizia con Anna Maria Rimoaldi che entra nella sua vita dopo la morte di Goffredo e con cui condivide gli ultimi anni nella casa di via Ruspoli. Rimoaldi diventa collaboratrice di Maria, lavorano fianco a fianco fino alla morte della scrittrice che la nomina sua erede ed esecutrice testamentaria. Sarà Anna Maria a dare vita nel 1986 alla Fondazione dedicata a Maria e Goffredo Bellonci, che si occuperà anche di assicurare la sopravvivenza del Premio Strega.
Insieme lavorano alla ricostruzione del testo originale del Milione di Marco Polo da codici antichi francesi, latini e italiani, e al successivo romanzo pubblicato nel 1982. Si occupano anche della stesura di sceneggiati televisivi per la Rai: viene trasmesso l’adattamento del racconto Delitto di Stato, mentre non vede la luce lo sceneggiato su Isabella d’Este. A questo adattamento aveva già dedicato sette anni ed è proprio con questo lavoro che la figura di Isabella d’Este, già apparsa in Lucrezia Borgia, torna ad affacciarsi prepotente nella vita di Maria che le dedica il suo ultimo capolavoro, Rinascimento privato.
All’età di ottant’anni torna quindi alla narrativa, sentendosi finalmente libera di reinventare. La storia è narrata in prima persona da Isabella, donna di potere e abile politica, consapevole della necessità di doversi destreggiare in un mondo in cui le regole sono scritte dagli uomini e che “l’ingegno è una condanna per una donna, e si deve pagare caro”; un personaggio che finalmente negli anni della maturità Maria Bellonci riesce pienamente a comprendere e in cui finisce per rispecchiarsi. Nel 1977 chiude la nuova edizione di Come un racconto gli anni del premio Strega con queste parole: “La mia mano va a posarsi su un manoscritto cominciato. Lo soppeso. È leggero, ancora troppo leggero. ‘Verdizerà?’ chiedo a uno dei miei fantasmi prediletti con la sua parola antica”. Isabella la sta sfidando: “Vedi un po’ se sei capace di scrivermi, di scrivere di me!” e Maria raccoglie la sfida, si isola in casa e si immerge completamente nel lavoro con passione e accanimento, combattendo contro una salute precaria.
Riesce a portare a termine l’opera che viene pubblicata nel 1985 e, dopo aver dedicato la propria vita ai ‘libri degli altri’, per la prima volta decide di partecipare come concorrente al Premio Strega: vince il premio il 4 luglio del 1986, dopo la sua morte avvenuta il 13 maggio.
Maria Bellonci. Opere, I-II, a cura di E. Ferrero, Milano, I Meridiani Mondadori 1997 Maria Bellonci, Come un racconto gli anni del Premio Strega, Milano, Club degli Editori, 1977
Fondazione Maria e Goffredo Bellonci, https://www.fondazionebellonci.it
Voce pubblicata nel: 2024