Il nome di Maria Lazzari è stato per decenni declinato al maschile, essendo a lei intitolato l'istituto superiore di Dolo (Venezia), che porta il suo nome, ma la sua storia è ai più sconosciuta. Fino al 2013 non si sapeva neppure che volto avesse, benché il Comune di Padova abbia voluto inserirla nel “Giardino dei giusti”, iniziativa che si proponeva di onorare chi ha scelto di aiutare le vittime delle persecuzioni antiebraiche, opponendosi concretamente a leggi ingiuste e ad azioni disumane. L’albero, generatore di vita come chi ha dato la possibilità ad un uomo di salvarsi, e la stele dedicati a Maria Lazzari si trovano a Noventa Padovana, lungo la strada che porta a Stra (Venezia).
Maria non è stata una persona dotata di una particolare levatura intellettuale, non ha lasciato scritti né riflessioni politiche, ma una donna educata e cresciuta all’interno di una famiglia antifascista che, a un certo punto della storia, agisce d'istinto, secondo la propria etica, al di là delle possibili conseguenze delle sue scelte. In questa resistenza disarmata – senza la quale la resistenza armata sarebbe stata travolta in pochissimo tempo – compaiono famiglie come quella di Maria, che tuttavia si espongono all'azione opposta di quei delatori pronti, per denaro (cinquemila lire o cinque chili di sale da cucina), per invidia o malanimo, a segnalare coloro che aiutavano ebrei, partigiani, oppositori politici o prigionieri alleati. La stessa storia della deportazione di Maria e della sorella Parisina ne è una prova.
Maria è la primogenita di Antonio e Giuseppina Bertoni. La madre è casalinga e il padre controllore sui tram, uno dei promotori delle prime Case di Mutuo Soccorso operaio della zona. Maria aveva tre sorelle e in particolare una, Parisina, le fu sempre accanto. Anche lei deportata, sopravvisse alla sorella e si dedicò per tutta la vita all’impegno sindacale. È morta nel 1987, soprannominata “l’agitatrice”, è ricordata come una donna silenziosa, schiva e profondamente triste, condividendo forse la tristezza e il senso di colpa di molti sopravvissuti.
Scrive Parisina “Mio padre in quegli anni partecipava attivamente alla vita politica e continuò clandestinamente dopo l’avvento del fascismo… la nostra casa era spesso ritrovo di antifascisti e di compagni”. Parisina precisa inoltre che la sorella Maria iniziò giovanissima a collaborare con il padre e per questo vennero entrambi schedati dalla questura di Padova.
Maria, dopo le scuole tecniche, trovò lavoro come segretaria presso lo studio dell’avvocato Umberto Merlin dove probabilmente conobbe l’avvocato Giulio Pinori con il quale si sposò nel giugno del 1928; nello stesso anno, dopo essersi trasferita in Toscana, nacque la figlia Giuliana. Il matrimonio durò solo sei anni e nel 1934 Maria tornò a Padova con la figlia, nella casa dei genitori in via Marsala 12. Giuliana (Giuggi) rimarrà orfana a soli diciassette anni.
Il 30 novembre del 1943 fu emanata una ordinanza di polizia che prevedeva l’invio in appositi campi di concentramento di tutti gli ebrei residenti sul territorio nazionale e tutti i loro beni confiscati a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni nemiche. Oltre agli ebrei erano ricercati anche i prigionieri Alleati fuggiti dai campi di concentramento di Vo' Vecchio (Padova) dopo l’8 settembre. Ebbe inizio un fenomeno di straordinaria solidarietà al quale contribuirono pure molti sacerdoti che utilizzavano le foto degli ex voto per produrre documenti falsi. Ricordiamo a questo proposito le sorelle Martini, e altre studentesse universitarie conoscenti di Maria e Parisina, le quali fingendosi amiche o fidanzate, accompagnavano nei viaggi della salvezza ebrei, ex prigionieri, renitenti alla leva.
È in questo contesto che le due sorelle Lazzari non esitano a mettere in gioco se stesse per soccorrere chi non ha alcuna possibilità di salvarsi altrimenti. E lo fecero in due modi: accogliendo all’interno della loro abitazione, limitrofa al ghetto, l'amico di famiglia Marcello Levi Minzi e un componente della famiglia Gesses, entrambi ebrei, e collaborando con il gruppo Fra-Ma che aveva il compito di sottrarre gli ebrei alla deportazione preparando i loro viaggi di fuga in Svizzera.
Nell’ottobre del 1944 Maria, a causa di una delazione, venne arrestata e condotta nel carcere di Santa Maria Maggiore di Venezia. Dopo tre settimane viene trasferita a Trieste, e lì raggiunta dalla sorella Parisina. In cella quasi sempre avevano come compagna una spia che provava a farle parlare sotto la minaccia di sanzioni più gravi, ma in assenza di qualsiasi confessione o deposizione la sorte di Maria era fortemente compromessa. Parisina partì per il campo di Bolzano dove rimase fino all'aprile 1945 e per una semplice fatalità non subì la stessa sorte della sorella Maria.
Nei primi giorni di gennaio del 1945 arrivò l’ordine di trasferimento in Germania, destinazione Ravensbruck. Maria fu stipata su un carro bestiame riservato agli oppositori politici. Consapevole della sua situazione, riuscì a gettare fuori dal treno una lettera indirizzata alla sorella Parisina. La lettera fu raccolta da uno sconosciuto che la fece pervenire alla famiglia Lazzari.
Cara Parisina, sono per partire campo di concentramento… spero poter aver forza e lottare. Ho gran pensiero per voi, per i bombardamenti… avrò ora due nemici: il freddo e la fame, non sono da meno di quelli che potevo avere qui, ma li preferisco. Tornerò certo ma nel caso… le cose mie sono di Giuggi, vorrei che finisse gli studi… spero che tu potrai stare vicina a Giuggi molto a lungo… io scrivo in fretta in una grande confusione… dirai alla mamma il mio gran ricordo, il mio grande affetto, il mio gran dolore, il babbo è sempre davanti ai miei occhi… vi stringo tutti al cuore. M.
Il campo di Ravensbruck, a circa ottanta chilometri da Berlino, ospitava principalmente bambine e donne, che lavoravano in condizioni disumane. Maria riuscì a sopravvivere a tutto questo, ma l’attendeva un’altra terribile esperienza: il 30 aprile il campo viene liberato dai Sovietici del fronte bielorusso, ma lei è già stata trasferita verso Bergen-Belsen, un altro lager distante più di cinquecento chilometri, attraverso le famigerate marce della morte per evacuare i campi di concentramento. Nessun prigioniero doveva cadere vivo nelle mani degli Alleati.
Maria sopravvisse alla marcia, ma quando arrivò a Bergen-Belsen, si ammala di tifo e muore pochi giorni prima della liberazione da parte degli inglesi, avvenuta il 15 aprile 1945. Accanto a lei morirono anche le sorelle Frank.
Voce pubblicata nel: 2020
Ultimo aggiornamento: 2021