Nata a Torino nel 1905 da Giacinta Galliano e da Oreste Fasolo, visse in un ambiente familiare che, sebbene modesto, le fornì un’istruzione adeguata e la sostenne nelle scelte del percorso di studi. Il padre, impiegato del servizio telegrafico e appassionato di cultura letteraria, collaborò a riviste torinesi e pubblicò raccolte poetiche dialettali nelle quali descriveva non solo il tranquillo quadro cittadino, ma anche le lotte politiche del piccolo borgo di Castagneto Po.
Margherita, dopo aver terminato il percorso scolastico, decise di iscriversi all’Istituto Superiore di Magistero di Firenze dove, nell’anno accademico 1933-1934, si laureò in Pedagogia col massimo dei voti discutendo la tesi Metafisica e politica in Thomas Hobbes, sotto la guida dell’allora direttore e pedagogista Ernesto Codignola.
Nel frattempo, si era sposata nel novembre del 1928 con lo scultore signese Bruno Catarzi (1905-1996), figlio secondogenito di un calzolaio e di una trecciaiola. Tuttavia, la loro unione – dalla quale non nacquero figli – durò solo cinque anni interrompendosi nel 1933, quasi contemporaneamente al conseguimento della laurea; entrambi, però, di comune accordo decisero di non procedere mai alla separazione legale.
Fin dai primi anni al Magistero fu allieva di Codignola che da subito aveva aderito al fascismo, salvo poi gradualmente discostarsene fino a rompere con esso alla fine degli anni Trenta e passare all’antifascismo militante. Tuttavia, Margherita dimostrò la sua autonomia rispetto alle scelte politiche di Codignola, distaccandosi dal fascismo già nel 1936 e decidendo di aderire ad “una specie di società segreta per trovare, prestarsi vicendevolmente, e leggere libri proibiti”, nella quale si venne formando un “primo nucleo di giovani antifascisti fiorentini”, che si collocavano nell’area del movimento liberal-socialista Giustizia e Libertà, fondato a Parigi nel 1929 da un gruppo di esuli antifascisti.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, l’impegno politico divenne sempre più preminente nella vita di Margherita fino a far diventare la sua casa a Firenze, al civico 92 di via dei Della Robbia, un centro di ritrovo della lotta clandestina e di assistenza ai prigionieri alleati in fuga. Scoperta, insieme a Eleonora Benveduti Turziani, assistente del professor Lamanna alla cattedra di Storia e Filosofia dell’Università di Firenze e docente di filosofia al Liceo Michelangelo e all’Istituto Magistrale Pascoli, fu arrestata nel dicembre del 1943 dal Reparto dei Servizi Speciali (denominato anche Banda Carità dal nome del suo fondatore, l’ufficiale di polizia politica Mario Carità). Entrambe furono condotte nel carcere di S. Teresa dove subirono pressanti interrogatori e minacce e Margherita fu addirittura portata dinanzi al tribunale militare, ma nell’estate del 1944 i compagni di lotta riuscirono a liberarla, probabilmente dietro cauzione. Su questo periodo vissuto da Margherita, Codignola scrisse con ammirazione che “con un’abilità diabolica, aveva saputo confondere le cose in modo da bloccare ogni ricerca poliziesca intorno a sé” e che, seppure in carcere “aveva continuato imperterrita la sua azione di propaganda che era organicamente commista con una permanente esigenza di educatrice, verso le recluse sue compagne; uscita dal carcere, contro ogni più elementare principio di prudenza riprendeva il giorno dopo… il suo abituale lavoro di resistente” 1.
Durante la Resistenza, entrò anche a far parte del comitato esecutivo di emergenza del Partito d’Azione e quando nel febbraio 1945 si tennero le elezioni per il rinnovo del Comitato esecutivo Margherita vi risultò eletta insieme a Codignola, Piero Calamandrei, Edoardo Fallaci. La sua collaborazione con Codignola, iniziata nel periodo universitario, dunque non si era mai interrotta tant’è vero che nel 1938 aveva pubblicato La formazione dei maestri (in: Problemi della scuola media), ma le attività di ricerca e di studio presero maggior vigore all’inizio degli anni Cinquanta divenendo assistente alla cattedra di Pedagogia del Magistero fiorentino, ma anche con la traduzione dal francese di alcuni classici dell’attivismo pedagogico come La scuola su misura di E. Claparède (1952) e L'autonomia degli scolari, di A. Ferrière (1953), con la pubblicazione La finalità dell’educazione, con la partecipazione a varie associazioni internazionali educative: New Education Fellowship, Fraternità mondiale, Movimento di Cooperazione Educativa e, soprattutto, i CEMEA (Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva) della cui delegazione toscana era a capo.
Collaborò attivamente anche alle riviste «La nuova scuola italiana» e, soprattutto, a «Scuola e città», fondata nel 1950 da Codignola, intervenendo con importanti contributi su varie questioni: La finalità dell'educazione (III [1952], 12), Il coordinamento tra la scuola dell'obbligo e l'istituto magistrale (VI [1955], 5) in cui esprime l'idea di una "Scuola di formazione civica e culturale" che operi "in rapporto alle esigenze di un costume democratico" e investa ampiamente anche l'ambito extrascolastico, a cominciare dalla famiglia.
Subito dopo la fine della guerra nell’Italia da ricostruire c’è per Margherita da rifondare la scuola, non solo per la necessità di dare un futuro professionale ai giovani che hanno perduto anni di studio, ma soprattutto per il bisogno di una riedificazione culturale che segni una discontinuità radicale con la scuola fascista. Durante la Resistenza, Margherita aveva tenuto lezioni a operai e contadini, proprio pensando che essi dovessero essere i protagonisti della futura Italia democratica, ma fu solo nel dopoguerra che poté dedicarsi completamente alla didattica, insegnando pedagogia presso l’istituto magistrale Gino Capponi di Firenze (oggi Liceo statale Niccolò Machiavelli) e collaborando con maggiore intensità alle iniziative di rinnovamento educativo di orientamento laico legate ai principi della scuola attiva di John Dewey.
Nei suoi Orientamenti sul problema educativo (Firenze, 1953) illustra le principali soluzioni pedagogiche del momento che si collegano al bisogno di democrazia dando vita a una società formata da individui attivi, responsabili, collaborativi e partecipi. Per raggiungere tale obiettivo, per Margherita è fondamentale opporsi all’autoritarismo educativo valorizzando il carattere e gli interessi del singolo alunno fin dall’infanzia nel proprio ambiente educativo orientandolo nella direzione dell’autogoverno.
Morì a Firenze il 18 ottobre 1956, ma la memoria del suo impegno rimase ben viva in città dove nel 1964 le fu dedicata la Scuola Materna Margherita Fasolo, strettamente collegata con i CEMEA.
F. Cambi, Margherita Fasolo (1905-1956) Pedagogista e educatrice nell’Italia tra Guerra e Dopoguerra, in «Rivista di Storia dell’Educazione», n. 2, 2014, pp. 89-96
F. Cambi, Margherita Fasolo, in Dizionario Biografico degli Italiani - Enciclopedia Treccani, vol.45, 1995
F. Cambi, Antifascismo e pedagogia (1930-1945), Firenze, Vallecchi 1980
Voce pubblicata nel: 2020
Ultimo aggiornamento: 2020