La notte del 25 aprile 1986 era calda. Una donna, a Prypiat, non riesce a prendere sonno. Esce sul balcone per respirare un po’ di aria primaverile. E all’improvviso, vede innalzarsi un bagliore che illumina la notte: a tre chilometri di distanza, proprio di fronte a lei, il reattore della centrale nucleare di Chernobyl è esploso.
Da quel momento per Lyubov Sirota, un’insegnante di lettere, e suo figlio Sasha, la vita non sarà più la stessa. Subito dopo l’incidente tutti e due si ammalano gravemente per l’alta dose di radiazioni a cui sono stati esposti. Lui si riavrà. Per lei invece, le cose vanno diversamente: la sua salute peggiora di giorno in giorno, è sempre più debole e stanca. Ma decide di cominciare a scrivere poesie, per testimoniare quello che lei e tutti gli abitanti di Prypiat hanno vissuto.
Oggi Lyubov Sirota passa la maggior parte del tempo in ospedale: ha cataratte e un tumore al cervello, probabilmente entrambi effetti a lungo termine delle radiazioni.
Ljubov Sirota è nata il 21 luglio 1956 da una famiglia di ucraini in esilio. Trasferitasi con la famiglia a Frunze, oggi Bishkek, capitale della Kirghisia, ha pubblicato le sue prime opere sui giornali Kirghisi. Nel 1975 va in Ucraina. Vincitrice di diversi concorsi letterari, ha pubblicato le sue poesie sui periodici «Dneproviski gornia» e «Zoria Poltavshini» e ha diretto l’associazione letteraria Prometeo scrivendo diverse opere teatrali. Dopo la catastrofe di Chernobyl ha recitato poesie e scritto articoli per «Literaturnaja Ucraina». Nel 1988 ha vinto il premio Boicenko per le sue opere e per la sua attività pubblica. La rivista «Il Monte Analogo» propone alcuni suoi testi dal ciclo Fardello (Noscha).
Le sue poesie sono state tradotte in varie lingue, soprattutto in inglese. Ugo Persi dell’Università di Bergamo le ha dedicato un saggio. Le poesie qui pubblicate, inedite in Italia, sono state tradotte da Laura Maragno e Eugenia Mavrodi.
A Pripjat’ (trittico)
Non potremo espiare né riparare
gli orrori e il disastro di quell’aprile.
Per tutta la vita curveremo le spalle
sotto il penoso fardello della coscienza ridesta!
Credetemi, si può ben trasferire la propria abitazione
ma il dolore per la casa perduta
è impossibile da superare.
Vivrà come battito nei cuori
impresso dal ricordo della paura...
Lì, circondata da un’amarezza pungente,
la nostra città s’interroga stupita:
perché, perché è stata abbandonata per sempre
benché ci ami e ci perdoni ogni errore?!
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Di notte la nostra città, per sempre deserta,
si rianima.
Lì i nostri sogni vagano come nuvole
e accendono le finestre col chiaro di luna.
Lì vivono d’una insonne memoria gli alberi,
ricordando le mani che li hanno sfiorati.
Che dolore sapere che la loro ombra
a nessuno darà più riparo dalla calura!
Ecco, di notte quietamente cullano sui loro rami
i nostri sogni malati.
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ma passano le ore
Abbandonate dai sogni,
le case orfane, immobili nell’attesa
con le finestre impazzite
ancora una volta si congederanno da noi!
Da il «Monte Analogo», rivista di poesia e ricerca, numero 4 – maggio 2006
Referenze iconografiche: La poetessa Lyubov Sirota a casa sua, nel 2004. Foto di Orantas. Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported license.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023