Leonetta Pieraccini è stata sia una valente pittrice, presente sul palcoscenico artistico del Novecento a partire dal primo decennio, che un’abile scrittrice.
Se nei dipinti, soprattutto nei ritratti e negli autoritratti, sapeva esprimere al meglio le sue capacità pittoriche guidandole e sostenendole con un occhio attento e pronto all’indagine introspettiva, nella scrittura espresse le stesse qualità attraverso una scrittura e una narrazione brillanti ed eleganti, puntuale nelle descrizione di ciò che la circondava e le accadeva, acuta nell’analisi delle persone incontrate.
Non si può comprendere la Leonetta pittrice senza tener conto della Leonetta scrittrice e viceversa, tanto un’attività fu complementare all’altra, pennelli e penne come appendici dell’occhio.

Leonetta Pieraccini nacque a Poggibonsi (in provincia di Siena) il 31 ottobre 1882. Suo padre Ottaviano era un medico di idee socialiste, la madre, Argene Zani, la sua terza moglie. Dopo essersi trasferita con la famiglia a Firenze, nel 1893 Leonetta, che aveva dimostrato una buona propensione per l’arte, cominciò a frequentare le lezioni di disegno e pittura nello studio delle sorelle Sartoni, «che tenevano una scuola di insegnamento privato situata in piazza Donatello a Firenze. Io la frequentai prima di entrare all’Accademia» come ha ricordato Leonetta in una pagina del diario del 1917. Questo avvenne nel 1902 dopo un periodo di qualche anno nelle Marche al seguito della famiglia.
Suoi maestri furono Giovanni Fattori per la pittura e Augusto Bruchi per l’ornato. Leonetta si dimostrò un’allieva brillante e ottenne premi e riconoscimenti, diplomandosi nel 1904 per l’insegnamento del disegno ornamentale nelle scuole secondarie e l’anno successivo conseguendo l’abilitazione all’insegnamento di figura disegnata e dipinta.

Il suo esordio come pittrice avvenne nel 1906 alla Promotrice per le Belle Arti di Firenze, dove espose un suo autoritratto all’aperto in abito da passeggio; ma la sua vita professionale, come emerge dalle pagine dei diari, acquistò consistenza dopo l’arrivo a Roma, avvenuto il 27 febbraio 1911, lo stesso giorno del matrimonio col critico Emilio Cecchi.

All’inizio la vita della giovane coppia assomigliava a quella di tante altre, prese dai problemi quotidiani come le soluzioni d’arredamento arrangiate,

La cosa più stravagante della primiera sistemazione dell’appartamento (appartamento di scrittore) fu la mancanza di uno scrittoio. E di tavolini in genere […] Alle finestre prive di terrazzino avevamo messo, sullo scalino di marmo, dei materassini trapunti di broccatello color ocra. Divennero gli abituali, e del resto unici divani, per le ore di studio, di colloqui, di svago.
o la necessità di far quadrare il bilancio,
In una botteghina di orefice in via Nomentana ho venduto le medaglie d’argento avute in premio nei primi due anni dell’Accademia. Erano grosse medaglie. Otto lire. Figurarsi.
e poco tempo dopo:
ci troviamo in una ristrettezza di denaro e ci decidiamo a vendere quattro prove di acquaforte di Giovanni Fattori che il buon professore mi regalò […] quando ero una scolara all’Accademia di Firenze. […]
Il tutto L. 110.
(Roba da ridere! O, meglio, da piangere).

La casa abitata nei primi anni romani da Leonetta ed Emilio era ai margini della capitale, nei pressi della basilica di Sant’Agnese fuori le mura sulla via Nomentana, e si affacciava «dinanzi a orizzonti di sconfinate praterie senza case che a primavera s’illuminavano di paffuti alberi in fiore, e dove mandrie di liberi cavalli e buoi pascolavano indisturbate». Fin dall’inizio l’abitazione divenne luogo di incontro di artisti e intellettuali, un circolo animato e vario di cui fecero parte il pittore Armando Spadini e la moglie Pasqualina Cervone, entrambi colleghi di Leonetta all’Accademia di Firenze, lo scrittore e giornalista Antonio Baldini, il germanista Giuseppe Antonio Borgese e la scrittrice Maria Freschi sua moglie, Alberto Spaini e Rosina Pisaneschi, entrambi allievi di Borgese, Giovanni Amendola, Sibilla Aleramo, Goffredo Bellonci, Cesare Pascarella, Vincenzo Cardarelli, Riccardo Bacchelli, Angelo Signorelli e la sua compagna Olga Resnevič insieme a molti altri personaggi i quali ‒ annotò Leonetta ‒ finiron col formare quel circolo di simpatie e relazioni che con alti e bassi, ma poche variazioni, doveva rimanere stabile nel corso della vita e delle abitazioni cambiate.

La vita professionale romana della pittrice, che firmava i quadri con la sigla L.C.P., cominciò con la partecipazione alla LXXXI Esposizione della Società di Amatori e Cultori di Belle Arti (1912), l’anno successivo alla II Esposizione Internazionale d’Arte della Secessione, al Palazzo delle Esposizioni, cui seguirono la terza e la quarta edizione. Non fu semplice conciliare il lavoro al cavalletto e le attività di cura familiare come annotò più volte Leonetta nei diari:

[…] le giornate son prese da troppe faccende e preoccupazioni. Il cervello non segue un ordine, un raziocinio, una disposizione armoniosa.
È difficile costruirsi una giornata feconda di lavoro. Un nonnulla basta, a volte, a sviare un’attitudine, un’emozione, un programma
.

Le sue priorità ben presto cambiarono: nel giro di pochi anni nacquero il piccolo Mario, deceduto a poche ore dal parto il 2 febbraio 1912,

È sembrato tutto un sogno, e assai confuso. […] Il bambino era piccolo piccolo, con una faccina triste di putto invecchiato. Il cadaverino fu portato il giorno 3 […] al camposanto, con una vettura pubblica.
Giuditta, soprannominata Ditta, nel ’13, seguita l’anno successivo dalla seconda figlia Giovanna, soprannominata Suso, e nel ’18 dall’ultimogenito Dario.
Dei figli, delle loro necessità e della loro crescita, delle malattie si occupò prevalentemente Leonetta, il marito Emilio era immerso nei suoi studi e nel suo lavoro. In questi anni la pittrice dipinse entro i confini circoscritti dell’abitazione: paesaggi osservati dalla finestra, nature morte, ritratti e autoritratti sono i temi con cui costruì la sua iniziale carriera insieme a un complesso sistema di conciliazione tra sfera familiare e sfera professionale con cui riuscì a non far prevalere l’una sull’altra.

Con la partecipazione alle Esposizioni Internazionali della Secessione (dal ’13 al ’16-’17) l’arte di Leonetta Pieraccini fu investita da un’onda di novità rigenerante, soprattutto proveniente dai linguaggi impressionisti, post-impressionisti, fauve e sintetisti («alla Esposizione dei Secessionisti, una sala francese con due notevolissime opere di Pissarro, un Forain (Les danseuses), alcuni Monet e Sisley, Renoir e Signac, infine i conturbanti Pesci rossi del Matisse» scrisse nel ’13) e la sua pittura si accese di tonalità nuove e brillanti.

Passati gli anni Dieci e l’entusiasmo per le avanguardie, nel decennio successivo Pieraccini rientrò nel solco della tradizione italiana e del generale Ritorno all’ordine. Si svolse dal 1 al 15 febbraio del ’21, nella Casa d’Arte Bragaglia di Roma, la sua prima mostra personale che riscosse successo di pubblico e di stampa. In seguito, nel 1927, Margherita Sarfatti la volle tra i Dieci artisti del Novecento italiano in occasione della XCIII Esposizione della Società Amatori e Cultori di Belle Arti, individuando in lei la linea della tradizione pittorica toscana: «Toscana di buon ceppo […] disciplina con lo studio la fine sensibilità coloristica, propria a molte donne, per serrarle da vicino entro la precisione della forma […]».
Dei suoi quadri si scrisse che possedevano un «sicuro impasto di colore, una così vigorosa plasticità da conquistare di primo acchito un posto eminente nella pittura italiana contemporanea» (Roberto Papini, 1922) e che la sua arte possedeva «un così sicuro e preciso senso della forma, un così limpido e pulito senso del colore che molti uomini possono invidiarla» (Roberto Papini, 1923).

L’elenco delle partecipazioni di Pieraccini alle mostre sarebbe molto lungo e vario. Solo per citarne alcune: le Biennali romane del 1921 e del 1923, una personale a Ca’ Pesaro (1926) e, sempre a Venezia, la XVII Biennale del 1930, la Quadriennale di Roma del 1935. Espose anche all’estero: nel 1926 partecipò alla mostra Modern Art a Brighton, all’inizio degli anni Trenta fu negli Stati Uniti al Baltimore Museum of Arts e al Syracuse Museum of Fine Arts, nel ’36 in Brasile.

Col passare del tempo, senza far venir meno la produzione pittorica e disegnativa, l’impegno espositivo lasciò maggior spazio all’occupazione letteraria, con collaborazioni giornalistiche su periodici e quotidiani e la pubblicazione di tre libri di carattere autobiografico, Visti da vicino (Firenze 1952), Vecchie agendine 1911-1929 (Firenze 1960) e Agendina di guerra (Milano 1964), che costituiscono un importante esempio di letteratura di memoria ma anche di narrazione delle vicende storiche nazionali.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Leonetta Cecchi Pieraccini

Leonetta Cecchi Pieraccini, Agendina di guerra, Longanesi, Milano 1964

Leonetta Cecchi Pieraccini, Agendine 1911-1929, a cura di Isabella d’Amico, Sellerio, Palermo 2015

Isabella d’Amico, Leonetta Pieraccini, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 83, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2015, https://www.treccani.it/enciclopedia/leonetta-pieraccini_(Dizionario-Biografico)/

Lucia Mannini, Chiara Toti, Artiste Firenze 1900-1950, catalogo della mostra 22 settembre- 18 novembre 2018, Firenze, Spazio Mostre Fondazione CR, Edizione Polistampa, Firenze 2018

Ileana Pansino, Leonetta Pieraccini Cecchi. Istinto e passione nelle forme del naturalismo moderno, in Artiste a Roma. Percorsi tra Secessione, Futurismo e ritorno all’ordine, catalogo della mostra 14 giugno – 6 ottobre 2024, Roma, Museo di Villa Torlonia, Casino dei Principi, De Luca Editori d’Arte, pp. 104-105



Voce pubblicata nel: 2025

Ultimo aggiornamento: 2025