Laura Weiss è stata una figura centrale del movimento comunista a Trieste nel secondo dopoguerra. Un documento della CIA del 1953, segnalando le iniziative organizzate dai militanti triestini, la definisce una prominent member del Partito Comunista.

Weiss si era avvicinata al PCI nel 1945, quando la fine della guerra le aveva consentito di rientrare in città. Di origine ebraica, l’occupazione tedesca di Trieste nel settembre del 1943 l’aveva costretta nascondersi. Con il padre Ernesto e la madre Ada, aveva trovato riparo prima in una località non troppo lontana, Aurisina, e poi vicino Padova, grazie all’aiuto di un’amica. Due fratelli del padre, Ottocaro, che era stato un importante dirigente delle Assicurazioni Generali, e il celebre psicoanalista Edoardo, erano riusciti ad allontanarsi prima dello scoppio della guerra e, in momenti diversi, avevano raggiunto gli Stati Uniti. Qualcuno della famiglia non ce l’aveva fatta, come una sorella del padre, Amalia che venne deportata insieme a suo marito Alberto per non fare più ritorno.

Quando l’Italia era entrata in guerra, nel 1940, Laura Weiss aveva 35 anni. Nata a Graz, era poi tornata con la famiglia a Trieste con la fine del conflitto. Si era spostata, a metà degli anni Trenta, a Pisa per studiare medicina, ma le limitazioni imposte dalle leggi razziali del 1938 le preclusero sostanzialmente la possibilità di esercitare la professione. Tuttavia, la medicina, la difesa della salute e l’attenzione per la cura dei più fragili, faranno parte integrante della sua attività politica. Prima come consigliera comunale (venne eletta nel 1949) e poi come consigliera provinciale (dal 1964 al 1969) dedicherà un impegno notevole alle politiche sanitarie, con particolare riferimento alla cura dei bambini e delle donne, alle condizioni degli ospedali, alla sicurezza dei luoghi di lavoro. La salute come un fatto pubblico, ispirata anche dall’esperienza di medico statunitense Norman Bethune, diventò una delle sue battaglie, insieme a un altro medico della città, con cui condividerà molte iniziative in consiglio comunale, Bruno Pincherle, del Partito socialista italiano di unità proletaria. Peraltro, dell’amicizia con Pincherle, ci resta la bellissima testimonianza costituita da un fitto scambio di lettere, bigliettini e disegni che avveniva durante le sedute del consiglio e che mostra, in concreto, il carattere intrinsecamente ironico che costituiva, come raccontano i suoi amici, un tratto distintivo di Laura Weiss.

Proprio mettendo al centro della sua attività politica il tema della salute, aveva giocato un ruolo significativo nel tessere le relazioni tra alcuni dirigenti del PCI e Franco Basaglia. Una visita all’ospedale psichiatrico di Gorizia di alcuni esponenti del partito aveva preceduto un importante convegno all’Istituto Gramsci di Roma nel 1969. Al convegno troviamo anche Laura Weiss che, in una breve relazione, precisava di essere presente come militante politica e non come medico.

Nel Partito, Weiss era stata tra le prime a frequentare le comunità terapeutiche di Gorizia, aveva letto i primi libri di Basaglia e mostrato grande apprezzamento per le sue pratiche. Convinta dell’efficacia delle innovazioni e della necessità delle trasformazioni proposte dalle riflessioni di Basaglia – a cui aveva anche sottoposto qualche caso – aveva coinvolto nelle visite a Gorizia anche alcuni giovani studenti comunisti, come Piero Panizon che, qualche anno dopo, sarà assessore provinciale alla sanità in un frangente molto particolare. Nel 1976, infatti, l’esperienza di Basaglia a Trieste – dove era stato chiamato a dirigere l’ospedale psichiatrico nel 1971 dal presidente della giunta provinciale Michele Zanetti, della Democrazia cristiana – rischiava di essere messa in difficoltà dalle conseguenze di una crisi politica che aveva portato alle dimissioni dello stesso Zanetti. Fu la nuova giunta di sinistra di cui Panizon faceva parte, costituitasi anche in maniera piuttosto ardita, a consentire a Basaglia di proseguire l’esperienza, permettendo che fosse poi incastonata nel nascente Servizio sanitario nazionale.

Benché non fosse più titolare di incarichi politici, Laura Weiss aveva avuto un ruolo significativo in tutte queste vicende già dalla fine degli anni Sessanta, avendo trovato un interlocutore importante – che l’aveva coinvolta nelle commissioni di studio e proposte in relazione ai tentativi di consolidare una sanità pubblica mediante l’istituzione di un Servizio sanitario nazionale – in Giovanni Berlinguer, responsabile per il PCI del settore sanità, a cui l’accomunava la coscienza della necessità degli investimenti materiali e culturali sul tema della salute che doveva diventare, da fatto privato, un fatto pubblico e un tema politico.

Laura Weiss ha passato gran parte della sua vita insieme a Vittorio Vidali, figura di spicco dell’Internazionale comunista negli anni Venti e Trenta, rientrato a Trieste nel 1947, dopo più di vent’anni di assenza. Weiss diventa per Vidali una collaboratrice, una compagna di vita, una consigliera politica, sicuramente l’interlocutrice più importante. È a lei che dobbiamo tutti gli scritti di Vidali che possiamo leggere, compresi i diari e gli altri documenti non pubblicati conservati in archivio: Laura Weiss ha trascritto a macchina tutto quello che lui ha prodotto. Insieme ad altri membri del partito, come Albe e Lica Steiner che erano stati partigiani e grafici rivoluzionari, o la deputata Pina Re, avevano costituito una sorta di famiglia allargata.

Tra i viaggi che Laura Weiss ricorda con più entusiasmo troviamo sicuramente il viaggio a Cuba, insieme – tra gli altri – a Vittorio Vidali. Proprio in memoria di Che Guevara, i due a Trieste avevano fondato un circolo culturale omonimo che per una decina d’anni fu, per la città, un luogo di vivace dibattito.

Del resto a suo parere – e in questo simile a don Lorenzo Milani, di cui era parente (la madre di don Milani era cugina del padre di Laura Weiss) – il tempo libero doveva essere utilizzato per apprendere e migliorarsi. Lino Crevatin, segretario organizzativo della federazione provinciale del PCI, ricorda che Laura Weiss protestava per le iniziative che considerava poco educative e in cui le persone si riunivano solo per mangiare o ballare.

Forse alludendo ironicamente alle critiche di Lenin a Rosa Luxemburg, Weiss si era definita, in una lettera al dirigente del PCI Giancarlo Pajetta, come una persona dall’intelligenza “gallinesca” e non “aquilesca” perché il suo approccio preferiva il microscopio al telescopio, “macinando” e analizzando i dati raccolti prima di arrivare ai tentativi di generalizzazione. È in quest’ottica, infatti, che deve essere inquadrato il suo rapporto con il PCI, nel senso che Laura Weiss, nell’orizzonte sia di una fedeltà teorica al marxismo, sia di una fiducia nel comunismo così come si era strutturato a partire dalla rivoluzione del 1917, non ha mai smesso di interloquire con il partito, di contestarlo, di difendere le proprie posizioni e il suo punto di vista potrebbe costituire un filo rosso per leggere la storia del PCI nel secondo dopoguerra. Ad esempio, pur essendo in disaccordo con l’approccio di Rossana Rossanda e degli altri autori de Il Manifesto, considerato del resto inaccessibile a molti iscritti al partito per il linguaggio che veniva utilizzato, aveva espresso la propria contrarietà alla loro radiazione, motivandola con il fatto che la rivista era nata per l’impossibilità di discutere, nel PCI, di alcuni temi.

Laura Weiss muore a Trieste nel 1987. Lascia al Comune l’immobile nel quale abitava, affinché fosse destinato a ospitare persone anziane o famiglie in condizioni economiche difficili.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Laura Weiss

Helen Brunner, Il Quaderno di Laura W., Comunicarte Edizioni, Trieste, 2015;
Adriano Andri, Tullia Catalan, Simona Urso e Ariella Verrocchio (a cura di), Le carte dei Weiss – Una famiglia tra ebraismo e impegno politico, La Mongolfiera Libri, Trieste, 2007.

Ezio Martone, Giorgio Pison, Quei 1254 giorni rossi. Quando a Trieste governò la Sinistra, Lint, Trieste, 2014.


Voce pubblicata nel: 2024