Irina Ilovaiskaya Alberti (Belgrado, allora Regno dei serbi, croati e sloveni 1924 - Königstein im Taunus, Germania 2000) ha diretto negli anni Ottanta del Novecento la storica rivista dell’emigrazione russa in Francia La Pensée russe (Russkaja mysl’), che con lei è diventata il punto di riferimento della dissidenza. È stata per tre anni assistente di Aleksandr Solzhenitsyn nel periodo del suo esilio nel Vermont e amica di Andrei Sakharov, a cui ha sempre fatto da interprete nei suoi viaggi in Occidente.
È stata vicina a Elena Bonner, a sua volta attivista e dissidente, moglie del fisico nucleare e Premio Nobel per la pace, e a Marija Olsuf’eva, traduttrice dal russo all’italiano in Firenze, anche di dissidenti come Solzhenitsyn, Eduard Kuznecov e Bulat Okudzhava, e da cui Bonner soggiornava quando era a Firenze. Con ruoli e personalità diverse, hanno operato per portare e diffondere all’estero le testimonianze degli oppositori al regime in Unione sovietica e per far conoscere le loro storie ai giornalisti e agli occidentali. È grazie ad Alberti, Bonner e Olsuf’eva, fra gli altri, se sono arrivate informazioni sui processi agli attivisti, delle condanne politiche e delle violazioni dei diritti nell’Unione sovietica post staliniana.
Il papà originario di Mosca e la mamma di Kiev, fanno parte della prima ondata di emigrati dopo la rivoluzione ma non sono aristocratici. I suoi genitori avevano deciso di partire nel 1922, dopo aver capito che “là dove si alzava la bandiera della rivoluzione si cancellava l’impronta cristiana" 1, come lo avevano realizzato Nikolai Berdiaev e altri filosofi legati all’ortodossia.
“La prima emigrazione ha parlato e testimoniato e l’opinione pubblica in Occidente non l’ha ascoltata. la stessa cosa si è ripetuta in seguito con una costanza sconcertante"2, ha scritto Alberti nella sua autobiografia L’éxil et la solitude, denunciando la mancanza di ascolto di chi testimoniava quello che accadeva in Unione sovietica, Paese che invece andava assumendo uno status mitico che si era poco disposti a contestare. “A tutte le nostre umiliazioni si aggiungeva quella di apparire come ritardati della storia o combattenti della causa sbagliata”.3 Non avendo mai avuto la cittadinanza sovietica, quando con mezzi di fortuna cerca di raggiungere l’Italia dall’Austria alla fine della guerra, non è costretta dagli americani, come lo era invece chi era nato in Russia dopo la presa di potere dei bolscevichi, a tornare in Unione sovietica. Chi era tornato era stato poi internato nei campi di lavoro, anche se si era trovato in Occidente solo perché deportato o come prigioniero di guerra.
Irina Ilovaiskaya sposa il diplomatico italiano Edgardo Giorgi Alberti che aveva conosciuto a Belgrado. Non è più rifugiata apolide. Con lui si trasferisce a Praga, una città che sono costretti a lasciare dopo l’espulsione del diplomatico dalla Cecoslovacchia con accuse di spionaggio, per l’aiuto prestato a chi voleva lasciare il Paese. Si trasferiscono poi a Caracas. In Venezuela Alberti si riavvicina al mondo russo, accettando di tradurre articoli e documenti per giornali italiani. “Non facevo politica in quel periodo. non ne ho fatta d’altronde nel senso stretto del termine. La battaglia, in quel caso, era di altra natura. E ne avrei realizzato ancora meglio la portata quando si sarebbe manifestato in Urss il fenomeno dei dissidenti, come è stato designato in modo approssimativo. Dato che se c’era stata dissidenza, era stata soprattutto spirituale, ho scoperto ben più tardi attraverso tanti fra loro, cristiani o no, il cui incontro è stato per me la grazia dei miei giorni”4, spiega parlando di quel periodo come della sua “formazione”.
Poi ci furono Atene, Bonn e Parigi. Torna a Roma dopo che il marito, a 61 anni, colpito da infarto, è costretto a smettere di lavorare. In quel periodo, negli anni Settanta, cominciavano ad arrivare in Italia emigrati dalla Russia, espatriati perché di origine ebraica, ai tempi l’unica ragione per cui veniva concessa l’autorizzazione per lasciare l’Urss. In Italia, Paese di transito, ricevevano aiuto anche da organizzazioni cattoliche. Nel gennaio del 1976 Alberti riceve una chiamata dalla Svizzera dei Solzhenitsyn, che invece all’esilio erano stati costretti. La invitano a Zurigo dove lo scrittore le anticipa la sua intenzione di emigrare negli Stati Uniti e le chiede di aiutarlo a orientarsi nel mondo Occidentale.
È in quel periodo che Solzhenitsyn istituisce il Fondo di aiuto ai prigionieri di coscienza e alle loro famiglie finanziato con i diritti di Arcipelago Gulag, organizzazione di cui era presidente la seconda moglie Natalia, matematica e anche lei, quando ancora in Urss, impegnata nella diffusione di samizdat. Amministratore era in Unione sovietica Aleksandr Ginzburg, che per questo suo impegno era stato arrestato nel 1977, condannato due anni dopo a otto anni di carcere e infine scambiato con due cittadini sovietici condannati negli Stati Uniti per spionaggio. Ginzburg era stato arrestato una prima volta quando era ancora studente alla facoltà di giornalismo dell’Università di Mosca, per aver diffuso il samizdat di una raccolta di poesie, la seconda per aver riunito tutta la documentazione del processo a Juli Daniel e Andrei Siniavsky nel “Libro bianco” sul caso.
“Si è molto parlato del contrasto, per me drammatico, fra Sakharov e Solzhenitsyn. I due uomini percepivano la loro reciproca grandezza e si può dire che per l’essenziale erano d’accordo. Lo stesso Sakharov l’ha affermato”5, racconta Irina Alberti ricostruendo l’origine dello scontro fra i due pensatori, spesso contrapporti nelle ricostruzioni del pensiero russo, come invece di una incomprensione ricomponibile.
Alberti considera la dissidenza come l’essenza della spiritualità e per questo non esita ad affiancare i due pensatori considerati agli antipodi ad altri: “Questa razza di resistenti, di combattenti per la libertà alla quale hanno dato voce Sakharov e Solzhentsyn non era il prodotto di generazione spontanea. ma l’opera e l’eredità di tutti coloro che avevano sofferto a nome dell’uomo (per conto dell’uomo), per quello di Dio quando sapevano nominarlo. Nasceva il giorno in cui si è prodotto il sisma che ha rischiato di inghiottire l’anima di tutto un Paese e di altri che erano come lui asserviti”.6 Alberti è stata molto religiosa, conservatrice e tenacemente anti comunista. Non esita a difendere pubblicamente Bettino Craxi, nel momento della caduta, ricordando l’isolato sostegno che il Partito socialista italiano aveva assicurato alla dissidenza. Segue entrambe le confessioni ortodossa e cattolica, che ha scoperto, quest’ultima, a Dubrovnik, dove la nonna aveva una casa in cui lei trascorreva molto tempo da bambina. Negli anni Novanta ha anche operato per riavvicinare le due chiese grazie al suo rapporto di confidenza con Papa Wojtyla, senza mai nascondere il suo “desiderio di stabilirsi in una Chiesa indivisa alla quale aspiravo con tutto il cuore, prima di consacrarmi alla causa dell’unità dei cristiani come l’avrei fatto negli anni successivi”.7
(1) Alberti, Irina, L’Exil et la solitude, Editions Mame, Paris, 1993.
Voce pubblicata nel: 2024