Giustina Teresa Maria Renier è stata una scrittrice e animatrice di un noto salotto letterario.
Nasce a Venezia il 15 ottobre del 1755 da Andrea Renier e Cecilia Manin, entrambi parte di importanti famiglie patrizie (il nonno paterno e lo zio materno sono stati due dogi di Venezia). All’età di tre anni entra in un convento di suore cappuccine a Treviso e a nove in una casa di educazione veneziana. Qui impara le lingue italiana, francese ed inglese, ma soprattutto si interessa all’algebra, alla chimica, al disegno e alla botanica.
Questi furono tutti gli studi della nipote d'un doge! Peccato, perché c'era del fosforo nel suo cervello, c'era in lei qualche cosa di virile. Abborriva quasi i lavori muliebri; […] più che debole donna sentivasi forte cittadina. (Malamani, 1890)
A vent’anni, nel 1775, sposa il patrizio Marcantonio Michiel, importante figura nella storiografia veneziana, con il quale ha tre figlie (Elena, Chiara e Cecilia) nel giro dei successivi tre anni. È possibile che il marito abbia favorito l’accesso a reti culturali che abbiano facilitato la produzione degli scritti da parte di Giustina. Intanto, il padre viene chiamato a ricoprire il ruolo di ambasciatore a Roma e Giustina, insieme allo sposo, vi si trasferisce per un anno; la sua comparsa nei salotti letterari è un vero trionfo: “Destò l'invidia delle superbe matrone, l'ammirazione, l'entusiasmo degli uomini, i quali obliarono le più gravi cure della politica per adorare l'astro novissimo” (Malamani, 1890). In questi salotti conosce Vincenzo Monti, che le fa amare la cultura e la letteratura.
Tornata a Venezia, Giustina apre il suo salotto letterario in corte Contarina a San Moisè, ma, in seguito al trattato di Campoformio, che cede Venezia agli austriaci, tutti i salotti letterari chiudono in segno di lutto e Giustina ne approfitta per andare a Padova, dove ha l’occasione di assistere alle lezioni di Melchiorre Cesarotti, celebre letterato e linguista padovano, che le diviene amico fino alla morte. Qui, frequenta l’orto botanico, disegnando la flora presente e descrivendola in prosa. Volendo impegnare la mente in opere maggiori, continua le traduzioni dall’inglese all’italiano delle tragedie di Shakespeare, sottoponendole a Cesarotti. Lui le corregge da capo a fondo e le consiglia di pubblicare solo l’Otello, il Macbeth e il Coriolano. Le prime due vengono stampate nel 1798 e la terza nel 1800. Giustina però non appone il suo nome sulle opere, forse per l’aiuto ricevuto nella traduzione. In ogni caso, la critica le accoglie benevolmente. Pochi amici conoscono il retroscena delle traduzioni: Giustina, non sapendo bene l’inglese, basa il lavoro sulle riduzioni francesi delle opere di Shakespeare, scritte da Pierre La Tourneur.
Entra in contatto con numerosi intellettuali dell’epoca, tra cui Ugo Foscolo, al quale scrive una lettera di ammirazione per le Ultime Lettere di Jacopo Ortis, raccontandogli una vicenda accadutale a Montebello: descrive come l’opera l’abbia incoraggiata a stare accanto e ad aiutare una famiglia in occasione dello straripamento di un fiume. L’epistola viene letta da Girolamo Fattorini, che ne trae ispirazione per la composizione del dramma Clementina ossia Coraggio e Beneficenza. Tuttavia, l’episodio non genera particolare interesse, neanche a Foscolo stesso. Al contrario, suscita maggior scalpore la risposta di Giustina alle critiche che il visconte René de Chateaubriand muove nei confronti di Venezia: la illustra come una città scomoda e grigia, restando colpito solo dai conventi presenti sulle isolette della laguna. Giustina evidenzia tutte le bellezze della sua città e sottolinea come la vista dell’ospite sia stata offuscata dal suo animo triste e affaticato. I veneziani vanno in visibilio per quella che sembra una “garbata ma acerba lezione di cortesia e di buon senso” (Malamani, 1890). Nel 1850, 18 anni dopo la morte di Giustina, il visconte Chateaubriand fa ritorno a Venezia e si accorge della sua effettiva bellezza, descrivendola come la città dei poeti.
Nel 1810 inizia a scrivere un romanzo storico sulle feste veneziane. Pubblica, in lingua italiana e francese, le prime due feste (quella di Santa Marta e del Redentore), con lo scopo di sentire anticipatamente il giudizio dei lettori. Il pubblico critica soprattutto l’”acciarpata” versione in francese, che si pensa sia stata revisionata dall’amico di lunga data Baldassare Mayronnet de Saint Marc. Egli, infatti, lavora come insegnante di francese a Venezia e si discosta dalle insinuazioni maligne pubblicando un articolo in cui sostiene di non aver mai tradotto né revisionato l’opera. Giustina risponde con un altro articolo, dove descrive la risposta di Baldassare come un “atto veramente immorale” e un “delitto di lesa amicizia”. Solo dopo un anno i due si riappacificano. Nel 1817 pubblica l’opera conclusa L’Origine delle Feste Veneziane. La critica l’accoglie benevolmente, nonostante le numerose imprecisioni (anche dovute alla collaborazione con il letterato Angelo Dalmistro e lo storico Jacopo Filiasi) e la mancanza delle fonti.
Frequentatrice degna di nota del salotto di Giustina è Isabella Albrizzi. Le due nutrono un profondo affetto una per l’altra, nonostante (e forse anche grazie) le differenze tra i loro interessi:
L'una ambiva precisamente ciò che l'altra non comprendeva, e non trovandosi mai sullo stesso cammino, non poteva allignare in loro alcuna sorta d'invidia, e la benevolenza e la stima erano reciproche. (Malamani, 1890)
Si dice che il suo animo corrispondesse alla bellezza del volto, che resta tale anche dopo una paralisi facciale dovuta ad apoplessia. Diviene poi parzialmente sorda e così commenta il fatto: “la mia trombetta […] mi fa sentire tuttociò che dice un bravo uomo, mentre la mia sordità m'impedisce di sentire ciò che si dice nella società. A questo patto si può quasi contentarsi d'essere sordi, rinunziando alla vanità di rispondere” (Carrer, 1838).
Durante gli ultimi anni, Giustina ama invitare nel suo salotto diverse compagnie di giovani ragazzi e ragazze:
sono anch'io qui sul semplice, non ci ho quasi altra compagnia che di ragazzi; stimo assai la loro pazienza, perché quella stessa distanza che v'è tra loro e me, la v'è pure da me a loro. Fin qui non ho trovato di comune fra noi che il gusto per l’anguria, e questo è un bell'argomento per il discorso. (Carrer, 1838)
Giustina muore la notte del 6 aprile 1832 a causa di una febbre che la costringe a letto, creando in quegli ultimi giorni una profonda angustia in tutti i veneziani. Vengono celebrate le esequie in San Marco e la sua tomba in San Michele di Murano viene cosparsa di fiori e versi. Il nipote Paolo Zannini commissiona allo scultore Luigi Zandomeneghi, discepolo di Canova, il busto della zia, che secondo lo scrittore Luigi Carrer è un miracolo di perfezione e somiglianza.
*voce a cura di Angelica Dell’Osbel, studentessa di Psicologia dell’Università di Trento. Partecipa al gruppo SCRIBUNT: Gruppo di Ricerca e Scrittura di Biografie dell’Università di Trento (referenti: Maria Barbone, Susanna Pedrotti, Lucia Rodler).
Malamani, V. (1890). Giustina Renier Michiel: i suoi amici, il suo tempo. Fratelli Visentini. Carrer, L. (1838). Anello di sette gemme o Venezia e la sua storia: considerazioni e fantasie. Gondoliere tip.
Voce pubblicata nel: 2025