Giannina Censi è stata un’importante danzatrice e coreografa italiana. La sua fama è legata soprattutto alla stagione del futurismo, che ha saputo interpretare con spregiudicatezza e senso della modernità.
Giannina nasce a Milano nel 1913 da genitori musicisti; quello stesso anno sua zia, Rosina Ferrario, ottiene - prima donna italiana - il brevetto di volo: la propensione al rischio doveva essere di famiglia. Dopo la formazione sotto la guida di Angelina Gini, danzatrice scaligera, le prime esibizioni della giovane danzatrice si svolgono nel 1929 al teatro Licinium di Erba, dove la compagnia di Jia Ruskaja mette in scena balletti di sapore ellenizzante nell’ambito delle tragedie greche dirette da Ettore Romagnoli (Alcesti di Euripide, Il mistero di Persefone, dello stesso Romagnoli), sulla scorta del solco tracciato da Isadora Duncan. Quello stesso anno coreografa ed esegue la Danza degli spiriti de le vette, su un poema di Pietro Karr.
Curiosa e intraprendente, Giannina decide di partire, ragazzina, per Parigi, fragrante dell’atmosfera dei Ballets Russes e dei Ballets Suédois. Qui studia, oltre alla danza classica, anche le tradizioni indiana e spagnola; conosce Joséphine Baker; è allieva di Lubov Egorova (in buona compagnia: da quella scuola, negli anni, passano star del balletto come Serge Lifar e Maurice Béjart, oltre a figure del jet-set come Olga Koklova - moglie di Picasso - e Zelda Fitzgerald).
Di ritorno a Milano, nel 1930, esegue la coreografia Il cigno per un Fonofilm presentato al Teatro della Moda di Milano; nel 1931 crea le coreografie per Oppio e Grottesco meccanico, su musiche rispettivamente di Malipiero e di Pick Mangiagalli, presentati al Castello Sforzesco, inaugurando così l’inizio della stagione futurista vera e propria: notata dapprima dal poeta Escodamé e poi da Filippo Tommaso Marinetti, Giannina danza nel 1931 in Simultanina, “divertimento futurista in 16 sintesi” di Marinetti, accolto dal consueto lancio di ortaggi da parte del pubblico in tutte le tappe della tournée. Lo stesso anno si esibisce alla Galleria Pesaro in occasione dell’inaugurazione della “Mostra di aeropittura e scenografia futurista” mentre Marinetti declama alcuni suoi testi, e traduce in movimento le “aeropitture” di Enrico Prampolini. Nascono così le famose “aerodanze” e “tereodanze”, effettuate a piedi scalzi, senza sottofondo musicale, caratterizzate da movimenti volitivi, espressivi, antigraziosi: il contrario della rassicurante imagerie della danza classica, con il suo armamentario di tutù e scarpette a punta.
Vertigine del futuro, attrazione della velocità, fascinazione della meccanica: per aderire a questi stimoli era necessario inventare una nuova idea di fisicità femminile. Il corpo è ora libero, fasciato in costumi aderenti (quello indossato alla Galleria Pesaro è disegnato dallo stesso Prampolini), agile e muscoloso. È un corpo più vicino a quello di un’atleta che a quello di una silfide aggraziata ed eterea: non a caso, la Censi è la modella immortalata nelle fotografie di Cultura fisica della donna ed estetica femminile di Giuseppe Poggi Longostrevi (pubblicato da Hoepli nel 1933), testo il cui retroterra ideologico è indubitabile.
È questa la stagione del maggiore successo di Giannina. Se certamente, a quelle date, la danza e la “pantomima” di sapore futurista avevano già espresso la propria vena più autentica (il Manifesto della danza futurista di Marinetti è del 1917; la “mimo-plastica” e i “balli meccanici” promossi da Bragaglia, Prampolini, Pannaggi, Paladini, Depero e altri vivono la stagione più innovativa durante gli anni Venti), è pur vero che l’onda lunga del futurismo aveva ancora ampia vitalità. Giannina danza con Carletto Thieben e Wy Magito; nel 1932 crea le coreografie per l’Alcesti al Littoriale di Bologna, su incarico di Romagnoli, dirigendo duecento ragazze dell’Opera Nazionale Balilla; quello stesso anno si esibisce nel Carillon magico di Pick Mangiagalli al San Carlo di Napoli; nel 1934 danza due composizioni liriche di Fortunato Depero, Il vento e Macchina monella.
Successivamente, divenuta madre e avendo subito un infortunio che le impone un diverso uso del corpo, entra in alcune compagnie di teatro leggero, lavorando anche con Wanda Osiris e Riccardo Billi. Dopo la guerra, la sua attività prevalente sarà l’insegnamento: infaticabile maestra, apre scuole nella Riviera Ligure (Sanremo, Genova, Rapallo, Nervi), a Milano e a Voghera (qui, fra l’altro, si interesserà pioneristicamente di ginnastica per la terza età). Muore a Voghera nel 1995.
È giusto considerare Giannina un’artista pienamente moderna? Secondo la critica Elisa Vaccarino, che ne ha studiato accuratamente il profilo, se per moderno si intende «tutto ciò che contribuì ad aprire la strada a poetiche, estetiche, retoriche, ed embrioni di repertori anti-tradizionali e anti-classici, certamente sì». La Censi è stata, perlomeno nella stagione futurista, una vera innovatrice, capace di abbandonare le certezze della tradizione classica russa in nome di un’idea di corpo anticonvenzionale, sperimentale, libera. In una parola, moderna.
Pur avendo avuto una vita artistica discontinua, la Censi fu consapevole dell’importanza delle prove futuriste, come emerge dal manoscritto autobiografico (non pubblicato) Storia della mia vita. Tali prove sono state riscoperte soprattutto nell’ultimo ventennio, sulla scorta di quella rilettura critica del futurismo a cui ha contribuito anche la ripresa di alcuni brani da parte di allievi come Silvana Barbarini, Alessandra Manari, Marina Rossi e Pierpaolo Koss. L’archivio della danzatrice (che raccoglie lettere, ritagli a stampa, manoscritti, fotografie) è conservato al Mart di Rovereto.
Mirella Bentivoglio, Franca Zoccoli, Le futuriste italiane nelle arti visive, De Luca, Roma 2008
Günter Berghaus, Danza futurista: Giannina Censi, in «Dance Theatre Journal<», Summer 1990
Günter Berghaus, Dance and the Futurist Woman, in «Dance Research», Oxford University Press, vol. XI, n. 2, Autumn 1993
Elvira Bonfanti, Il corpo intelligente: Giannina Censi, Il segnalibro, Torino 1995
Elisa Vaccarino (a cura di), Giannina Censi: danzare il futurismo, Electa, Milano 1998
Lea Vergine, L'altra metà dell'avanguardia 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche, Milano, Mazzotta 1980 (II ed.: Milano, Il Saggiatore 2005, pp. 150-151)
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023