“Germana Marucelli non è solamente una sarta alla moda, chiamata la Christian Dior italiana; è soprattutto una artista, che ama gli artisti, si circonda di pittori e di letterati; se disegna abiti lo fa soltanto perché raggiunge in essi una forma del bello palese e viva. Adesso ha aperto le sale della sua casa in via Cerva 38-2 creando il primo salotto artistico-letterario milanese [...] si è fatta inoltre promotrice [...] di un premio di poesia, chiamato San Babila.”
Così «Stile», una delle riviste d'arte più innovative del dopoguerra voluta e fondata da Gio Ponti, nel dicembre del 1947 accoglie l'insolita iniziativa di una sarta che agli albori della travagliata vicenda della nascita della moda italiana decide di aprire un salotto culturale e di promuovere un premio dedito alla poesia.
Germana Marucelli, l'antesignana per eccellenza del Made in Italy ((Bonizza Giordani Argano, Il disegno dell'alta moda italiana 1940/70, Roma, De Luca editore, 1982, p. 43.)), è stata la prima creatrice di moda a rifiutare con fermezza il predominio della moda francese((Interessante è la “lettera al giornale” scritta da Germana Marucelli nel 1947 dove prende le distanze dalla moda francese. Vedere: Germana Marucelli, in Il «Tempo», IX, 6-13 dicembre 1947; Rassegna Stampa, Archivio Germana Marucelli, Stampa italiana. La maggior parte degli articoli di giornali citati provengono dalla Raccolta “Rassegna Stampa, Archivio Germana Marucelli” attualmente in corso di catalogazione, a cura di Silvia Casagrande, e saranno così indicati: AGM. con la specificazione nel caso si tratti di Stampa italiana, Stampa estera, Stampa Premio San Babila.)) e ad adoperarsi attivamente per la nascita di quella italiana.
Nota anche come “la sarta intellettuale”, Germana Marucelli nasce a Settignano, alle porte di Firenze, nel 1905. Sarta predestinata ed erede di Francesco Marucelli, priore dell’arte della lana al tempo di Cosimo il Vecchio, i suoi esordi si perdono nella notte dei tempi. All’età di 14 anni inizia a dedicarsi all’arte sartoriale presso il laboratorio di famiglia Romiti, al tempo uno dei più importanti di Firenze per la riproduzione di moda francese. Audace e dallo spirito indipendente, nel 1932 apre la sua prima sartoria a Genova per poi trasferirsi a Milano che diverrà presto la sua sede operativa principale.
Durante il periodo bellico si allontana dai dettami dell’haute couture francese, fino allora vista come unica fonte d’ispirazione, e a Stresa, dove si trova sfollata, inizia a elaborare un linguaggio stilistico personale considerato da molti ((Tra gli altri: Lara Vinca Masini, Strutture Cinetico-Visuali per Alta Moda, in “La Biennale”, XV, 1965, n. 56, marzo, p. 55; poi pubblicato anche in: Lara Vinca Masini, Germana Marucelli+Getulio Alviani. Firenze / New York, a cura di, brochure della mostra, New York, Libreria Rizzoli, 3 marzo 1965, non paginato.)) anticipatore del New Look di Dior.
Rispetto all'annosa questione di chi abbia effettivamente ideato per primo il “nuovo look”, Germana Marucelli è chiara:
“Questa impalpabile telepatia tra me e Dior è sorprendente […]. Ritengo, senza ombra di dubbio, che né Dior né altri fossero a conoscenza di quello che avevo fatto io, quindi escludo si tratti di copiature”((Germana Marucelli, in La profetessa dell'alta moda, di Carla Maria Casanova, in “L'eco di Monza e Brianza” 19 aprile 1966, (AGM, Stampa italiana).)).
Fernanda Pivano, uno dei personaggi più eclettici del panorama culturale italiano, ne Le favole del ferro da stiro, monografia dedicata all’amica e grande creatrice di moda Germana Marucelli, riconduce il caso della “coincidenza singolare”((Fernanda Pivano, Le favole del ferro da stiro, cit., p. 11.)) tra le linee di Dior e quelle di Marucelli nella giusta ottica:
“Germana […] assisté al lancio internazionale di Dior col fiato mozzato. Il fiato non le si mozzò perché un'invenzione sua portava il nome di un altro, forse in seguito a una coincidenza singolare; le si mozzò di fronte alla conferma che i suoi presentimenti erano stati giusti […]. Le si mozzò perché capì di aver dimostrato a se stessa che in realtà non aveva bisogno di Parigi: la sua sensibilità, la sua inventiva, la sua fantasia erano altrettanto capaci di quelle di Parigi a inventare una linea tale da imporsi sul gusto di tutto il mondo. In quel momento, che la linea fosse firmata da Dior o da lei non le importava: le importava che tutte le donne di tutto il mondo vestissero come lei aveva immaginato che si dovessero vestire"((Fernanda Pivano, Le favole del ferro da stiro, cit., pp. 11-12.)).
Grazie a quell'intuizione si rafforza in lei la consapevolezza delle proprie capacità e la determinazione a disertare le sfilate francesi a favore di un progetto autoctono.
Nel dopoguerra attraversa momenti difficili, ma rimane ferma nella sua convinzione di una moda italiana autonoma da quella francese e caratterizzata dal connubio “tradizione e innovazione”.
Sono la sua sensibilità alle ingerenze del tempo, il suo legame con le sue radici e la sua continua attenzione all’universo femminile a condurla verso sempre nuove soluzioni e ad avviare rivoluzioni nell’ambito della moda.
“Nel 1946, unica tra i sarti italiani non va a Parigi. Non è dalle passerelle che vuole trarre ispirazione, ma dalle arti figurative e dalla poesia. (…) Non è più dai figurini francesi che prende ispirazione, ma dalla storia dell'arte e del costume.”((Marta Boneschi, Le sarte milanesi del ‘miracolo’ tra moda, industria e cultura, in Annali di storia dell'impresa, vol. 18, Venezia, Marsilio Editore, 2007, p. 92)).
Il travaglio e le difficoltà del periodo l'avvicinano al mondo dell’arte, agli amici, intellettuali e artisti, con i quali condivide l'urgenza di avviare il processo di rinascita della cultura italiana.
In alcuni documenti autobiografici Marucelli ricorda di aver vissuto quei giorni come una sorta di missione e che in lei il percorso da compiere era chiaro:
“si ripresentò il problema di ritornare a Parigi, perché le cose erano rientrate nei soliti binari, […] e sentivo che per me era assolutamente impossibile ritornare su quella via. Si era compiuto tutto un altro processo […] e fu in me stessa che trovai le indicazioni di ciò che dovevo fare, prima tra tutte quella di aprire un salotto di cultura e poi quella di rifiutare a tutti i costi gli inviti ad abbandonare l’Italia”((Germana Marucelli, Autobiografia inedita, Archivio Germana Marucelli, Autobiografia. Gli scritti di Germana Marucelli, le interviste raccolte a testimoni diretti e la corrispondenza citati provengono dalla Raccolta “Biografia, Archivio Germana Marucelli” attualmente in corso di catalogazione, a cura di Silvia Casagrande, e gli estratti saranno così indicati: AGM. con la specificazione nel caso si tratti di Carteggio Autobiografia, Diari, Interviste, Corrispondenza.)).
Nasce così nel 1947 il premio San Babila ((Il premio era biennale e caratterizzato da due categorie “editi” e “inediti”. Il primo premio della sezione “editi” viene assegnato il 18 febbraio del 1948 a Giuseppe Ungaretti per il testo Il Dolore e nella stessa occasione viene proclamato vincitore della sezione “inediti” Orazio Napoli con il testo Carubbo. Il secondo premio sezione “editi” è vinto da Salvatore Quasimodo con il volume di versi La vita non è un sogno e assegnato il 12 giugno del 1950, mentre per la proclamazione del vincitore della sezione “inediti” bisognerà attendere il 22 dicembre del 1950 con la vittoria di Andrea Zanzotto con l'opera Dietro il paesaggio, poi pubblicata nella collana Lo Specchio edita da Mondadori. Il terzo e ultimo premio, rivolto a poesia e a prosa, è assegnato il 19 giugno del 1952, in occasione di un giovedì nell'atelier di Germana Marucelli, a Mario Soldati per il suo scritto A cena col commendatore. Non vi è alcun vincitore della sezione “inediti”, ma solo due segnalazioni: il poeta Paolo Bernobini con Canzoniere perduto e il narratore Goffredo Parise con Il ragazzo morto e le comete.)), un riconoscimento alla poesia da lei voluto e sostenuto.
Il primo premio viene assegnato nel 1948 a Ungaretti, un poeta all’epoca fortemente osteggiato dalla critica, con il testo Il dolore. L’avventura si conclude nel 1952, con l’ultimo riconoscimento conferito a Mario Soldati per il suo scritto A cena col commendatore.
Contemporaneamente, Germana Marucelli istituisce presso la sua sartoria a Milano, prima in via Cerva 38/2 (oggi via Borgogna 8) e dal 1950 in corso Venezia 18, un salotto culturale con appuntamenti regolari il giovedì.
“Ogni settimana veniva un personaggio a tenere una breve conferenza sulle sue esperienze di lavoro o d’arte. L’intuito che Germana usava nell’inventare linee e modelli con qualche anno d’anticipo sulle decisioni della moda internazionale, lo usò anche nella scelta dei conferenzieri: sfogliare l’elenco è come ritrovare i nomi oggi famosi (ma allora sconosciuti e spesso osteggiati della critica ufficiale) della nostra cultura contemporanea”((Fernanda Pivano, Le favole del ferro da stiro, cit., p. 11.)).
Organizza per gli amici poeti e artisti “piccole sfilate” alla ricerca di un confronto costruttivo.
“Fu Germana Marucelli a inventare l'usanza di trasformarle in avvenimenti mondani serali, facendo convergere attorno alle sfilate di moda gli ingegni più prestigiosi della cultura e dell'arte”((Amelia Bottero, Nostra Signora la Moda, Milano, Mursia, 1979, p. 6.)).
A partire dal 1948, ancor prima della nascita ufficiale della moda italiana, inaugura fertili collaborazioni con artisti coinvolgendoli in prima persona nelle sue creazioni. Il primo sodalizio è con il pittore e scenografo Pietro Zuffi che crea motivi appositamente per i suoi abiti((Guido Ballo, Incontro della moda con la pittura di oggi, in “Bellezza”, maggio 1951, (AGM., Stampa italiana).)).
Ancorata al rinascimento toscano al punto da farne uno stile di vita diviene così mecenate delle arti e fulcro di un salotto culturale, luogo di relazione e di condivisione, che “di rimbalzo la completa”((Gillo Dorfles Le Presenze di Germana Marucelli, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1974, p. 8.)).
“...Germana ha voluto così stabilire un'ideale corrispondenza fra moda ed arte, corrispondenza che non è puramente topografica o determinata da motivi occasionali, ma profondamente sentita nel suo spirito. Germana ha sempre interpretato l'eleganza non come vanità, ma come spiritualizzazione del costume, come espressione chiara eppur ricca di sottintesi poetici, della propria personalità: era quindi naturale che il suo atelier milanese si aprisse ai nomi più rappresentati della cultura rinnovando la tradizione ottocentesca delle riunioni letterarie.”((Marisa Rusconi, Germana Marucelli inaugura il suo nuovo atelier a Roma. Per la “Pasionaria” della Moda italiana Eleganza e Poesia coincidono, in “Bazar”, maggio 1957, (AGM., Stampa italiana).))
Contemporaneamente all'istituzione del salotto culturale Marucelli affianca, sin dalla fine degli anni Quaranta, Giovanni Battista Giorgini nella sua campagna d’incoraggiamento dei sarti più creativi nel promuovere uno stile proprio ed è tra i firmatari del primo statuto del CAMIF.
Nel 1950 rileva la storica sartoria Ventura di Milano che le consente il passaggio da una produzione locale a una internazionale. Lo stesso anno partecipa alla manifestazione Moda Europa a Monaco di Baviera come unica Casa di moda ambasciatrice dello stile italiano all’estero e, lo stesso anno, sbalordisce per l'innovazione dei suoi capi pubblico e critica al II Festival della moda internazionale a Venezia.
Partecipa con entusiasmo a tutti i primi eventi che scandiscono l’esordio della moda italiana: nel febbraio 1951 su invito di Giorgini presenta a Firenze i propri modelli a Villa Torrigiani, nonché al Grand Hotel nel luglio 1951 e nel gennaio 1952 e poi, nel luglio 1952, alla Sala Bianca di Palazzo Pitti. Le sue sfilate suscitano grande interesse di stampa e dei buyers che ne riconosco immediatamente la peculiarità.
“Germana aveva inventato il dolce stil novo moderno e di fronte a quelle donne che parevano trecentesche sculture pisane in legno il pubblico rimase sconcertato”((Fernanda Pivano, Le favole del ferro da stiro, cit., p. 13.)).
Sin dagli esordi emerge chiaramente lo “stile Marucelli” che tra l'innovazione e il continuo rimando a temi eterni del passato anticipa linguaggi, ora tanto attuali, ma al tempo “precursori” di nuove tendenze. Nota per la sua propensione a intendere “(…) l'eleganza non come vanità, ma come spiritualizzazione del costume, come espressione chiara eppur ricca di sottintesi poetici, della propria personalità” ((Marisa Rusconi, Germana Marucelli inaugura il suo nuovo atelier a Roma. Per la “Pasionaria” della Moda Italiana Eleganza e Poesia coincidono, in “Bazar”, maggio 1957, (AGM, Stampa Italiana).)) attira su di sé gli sguardi attenti di critici d'arte e giornalisti di moda per la sua inclinazione a concepire l'abito come “strumento di irradiazione del proprio io”((Germana Marucelli, Autobiografia inedita, AGM, Autobiografia)).
La ricerca interiore è per Marucelli il presupposto imprescindibile per la composizione di un abito che, a suo dire, deve “(...) avvolgere la donna nel mistero, o meglio proteggere il suo mistero (…), in un’epoca di esasperata esteriorizzazione della forma nonché dei sentimenti” ((Germana Marucelli, Diario inedito, AGM, Diari)).
La sua inclinazione a concepire la moda “come espressione di vita” e l'abito come “movimento di spirito” ((Germana Marucelli, Diario inedito, AGM, Diari)) è una costante della sua evoluzione stilistica, dalla linea Impero del 1950, risultanza di lunghe meditazioni, alla più dirompente linea Alluminio del 1968.
“Il problema della moda, da quando l’ho affrontato creativamente è stato per me sempre un problema di proposta. La donna che capto in me in risposta alla mia conoscenza della donna di tutti i tempi, mi fa le sue richieste, mi suggerisce il suo voler essere e da lì, dalla mia interiorità, nasce la donna che propongo”.
La sua ricerca si concretizza immediatamente nella realizzazione di capi che da luogo dell’individuo ne diventino addirittura l’estensione. La sua ricerca stilistica, a tratti “antropologica”, si concentra nella realizzazione di abiti che non “avvolgano” la donna, ma che concorrano al suo disvelamento anticipandone le sue profondità, la sua essenza. In lei prevale un nuovo concetto di moda, dove la donna non è più il “soggetto passivo” da rivestire di significati, ma al contrario ne diventa la componente attiva se non addirittura la ragione e il senso. Germana Marucelli, nelle sue collezioni, incarna perfettamente l’animo femminile del tempo “in continuo e costante cambiamento” ((La linea Marucelli ’62, in “L'Eco di Bergamo”, 9 agosto 1961, AGM, Stampa italiana)), come nessun altro prima di lei aveva osato. Gillo Dorfles, amico di sempre e assiduo frequentatore del suo Atelier, a tal proposito precisa “Germana ideando le sue creazioni (...) ha sempre avuto presente questo impegno: di dare una forma all’informe”.
La conoscenza della tecnica, “il sentimento del tempo” e la capacità artistica sono per Marucelli prerogative imprescindibili per la creazione di moda.
“Il destino estetico dei vestiti non nasce mai dal capriccio della creatrice né da quello delle future clienti, ma da una sensazione precisa – dono della creatrice e degli artisti in genere – che si può definire 'sentimento del tempo'. Nello studio preliminare di una nuova collazione, nulla è casuale.”((Germana Marucelli, Come nasce una linea d'alta moda, in “Epoca”, 14 febbraio 1960, AGM, Stampa italiana))
Attenta conoscitrice dello stile e dell’animo femminile con i suoi capi ha anticipato tendenze e stili. Tra le sue collezioni più importanti e che hanno segnato una svolta nel panorama della moda figurano le linee: Gentile (dal 1943 al 1949), Plissé (1949/50), Impero (dal 1950 al 1952), Fraticello (1954/55), Crisalide (1956/57), Pannocchia (1957), Vescovo (1960), Assira (1962), Scollo a tuffo (1963), Optical (1965), Unisex (1966/67), Totem (1967/68), Alluminio (1968/69) e Saio (1971).
Considerata “una delle più attive promotrici dell'interdisciplinarità tra moda e arte” ((Bonizza Giordani Argano, Il disegno dell’alta moda italiana 1940/70, Roma, De Luca editore, 1982, p. 43)), Marucelli nutre una passione innata per l'arte che, a suo dire, si perde “nella notte dei tempi” e nelle sue origini toscane e a cui si sente profondamente legata.
“Germana Marucelli, la sacerdotessa massima dell'assimilazione plastica e scultorea dell'arte fiorentina. (...) le fusioni che sa fare delle indicazioni contenute in quell'arte con spunti quasi avvenieristici la consacrano subito fra le più geniali.”((Amelia Bottero, Nostra Signora la moda, Milano, Mursia, 1979, pp. 7-8.))
Forte dell'importanza del senso di appartenenza e della ricchezza della nostra civiltà, fonda il proprio lavoro creativo su due movimenti interiori inderogabili: da una parte il potente richiamo della storia che riecheggia in lei e la guida nel perpetuare la continuità con il passato e la tradizione; dall'altra la sua straordinaria sensibilità per le evoluzioni sociali, culturali e di costume in atto che le permette di essere sempre all'avanguardia e di intuire stili sempre nuovi.
“Una cosa è certa: Germana è stata una delle poche creatrici di moda ad accostarsi con interesse sempre vivo e 'aggiornato' – spontaneamente aggiornato – alle coeve operazioni d'arte pura”.
inoltre
“...questa fantasiosa e così accanita creatrice di stili femminili ha dimostrato di saper utilizzare i dettami, i suggerimenti della pittura coeva, per ravvivare o sublimare le sue collezioni.”((Gillo Dorfles, Naviglioincontro 4. Germana Marucelli creatrice di moda e Getulio Alviani ideatore plastico, pieghevole della mostra, Milano, Galleria del Naviglio, 20 marzo-7 aprile 1969, non paginato; poi in Naviglioincontri 1969, catalogo delle mostre, Milano, Edizioni del Naviglio 1969, catalogo non paginato.))
Le collaborazioni più importanti e intense con il mondo dell'arte risalgono ai primissimi anni Sessanta, quando Germana Marucelli si rivolge ad artisti “della nuova programmazione”, come li definisce lei stessa, Paolo Scheggi prima e Getulio Alviani poi, per individuare nuove tendenze. Il rapporto che la lega agli artisti del suo tempo è di natura intersemiotica, non un “prestito” idiomatico da un linguaggio all’altro, ma una ricodifica dei principi estetici da una forma all’altra. L’abito, in questi anni, inizia a diventare un simulacro vacuo in cui iscrivere nuovi significati e Germana Marucelli ammette di aver trovato nell’arte contemporanea un ottimo alleato e una fonte d’ispirazione. A partire dagli anni Sessanta la sua ricerca si focalizza sulla realizzazione di capi “che mutino in continuazione sotto gli occhi di chi li osserva”((Fibre sintetiche per l’autunno, in “Torino Posta”, 1 settembre 1961, AGM, Stampa italiana.)) e che possano interpretare appieno le esigenze della donna del tempo. Contemporaneamente gli artisti “della nuova programmazione” iniziano a sperimentare e a rincorrere nuove possibilità espressive, un nuovo spazio plausibile in cui “l’opera diventa aperta, in costante confronto con l’occhio del lettore”((Ilaria Bignotti, Tracce per una biografia critica, in Paolo Scheggi, a cura di Giuseppe Niccoli e Franca Scheggi, catalogo della mostra, Parma, Galleria d'Arte Niccoli, 20 novembre 2010-26 febbraio 2011, Bologna, Grafiche Damiani, 2010, p. 21.)).
Un esempio formidabile è la linea Assira (primavera/estate 1962), risultanza della prima collaborazione con l'artista Paolo Scheggi e presentata nel gennaio del 1962 a palazzo Pitti. L’elemento dominante della linea è il colore; la sarta, infatti, divide l’abito in sezioni contrastanti dalle tinte insolite per l’epoca. I capi nascono neutri e solo una volta visto il modello in movimento sull’indossatrice è decretato il colore. A volte i motivi, brevi pennellate eseguite a mano da Paolo Scheggi su shantung di seta, ricoprono l’intero abito, altre volte, invece, sottolineano soltanto alcuni dettagli, quasi a voler schematizzare la figura. La direzione del segno costituisce la struttura dell’abito e il corpo, passato ora in second’ordine, svanisce per far emergere la vera essenza dell’essere umano: il movimento, in altri termini la vita. Interessanti sono le recensioni dei giornali dell’epoca, che riconoscono il valore artistico della collezione: “negli abiti tre, quattro e anche cinque tessuti rendono benissimo l’idea della follia e della nevrosi del nostro tempo”((Egle Monti, Una lavagna per lezioni di geometria suggerisce i disegni per i vestiti alla moda, in “Il Tempo”, 17 gennaio 1962, AGM, Stampa italiana)).
Marucelli e Scheggi si incontrano, dunque, nella propria e personale ricerca legata alla “dinamica del tempo” ((Germana Marucelli, in Paolo Scheggi, catalogo della mostra, a cura di Deanna Farneti e Franca Scheggi, Bologna, Galleria d’Arte Moderna, 6 ottobre-10 novembre 1976, Milano, Edizioni Galleria del Naviglio, 1976, catalogo non paginato)).
La collaborazione con Paolo Scheggi perdura nel tempo in una sorta di sodalizio fruttifero ((Ibidem)): nel 1961 e nel 1962 Scheggi disegna motivi per i suoi capi; nel 1962, nel 1963 e successivamente nel 1966 crea accessori da abbinare ai suoi modelli; inoltre nel 1964 progetta per lei una nuova sartoria considerata dalla critica “uno dei suoi primi elementi vivibili di integrazione plastica all’architettura”((Lara Vinca Masini, Strutture Cinetico-Visuali per Alta Moda, in “La Biennale”, XV, 1965, 56, marzo, p. 55, (Stampa italiana, AGM).)), dove l'anno successivo, nel marzo del 1965, Marucelli ripropone, lontano dai clamori delle sfilate ufficiali, la celebre linea Optical già consacrata dalla stampa. Durante la serata sono presenti gli amici di sempre, da Gillo Dorfles a Lucio Fontana, affezionati frequentatori dei suoi défilé, e tra gli altri l’ideatore plastico Getulio Alviani partecipe, in una sorta di “parallelismo operativo”((Carlo Munari, Alviani, in “Linea Grafica”, marzo-aprile 1966, AGM, Stampa italiana.)), alla collezione.
I capi Optical, considerati un esempio di “unità della cultura e dell'interrelazione di diverse discipline”((Lara Vinca Masini, Strutture Cinetico-Visuali per Alta Moda, in “La Biennale”, XV, 1965, 56, marzo, p. 55, Stampa italiana, AGM)), traggono la propria forza innovativa dal riuscito incontro tra forma e segno. Se da una parte, infatti, Alviani trascrive i principi propri dell’arte cinetica sugli abiti di Germana Marucelli, dall’altra la sarta fiorentina, con sapiente esperienza, sceglie di abbinare parte dei motivi optical a tessuti in plissé soleil. Le sottili pieghe amplificano il naturale dinamismo dell'indumento vissuto trasformandolo, “in un organismo produttore di immagini in continuo divenire” ((Carlo Munari, Alviani, in “Linea Grafica”, marzo-aprile 1966, AGM, Stampa italiana)).
Il “parallelismo operativo” si ripete nel 1968 per la linea Alluminio che, tra avanguardia e lungimiranza, ha avuto spesso la giusta collocazione in musei e gallerie.
Nell'aprile del 1969 - a soli tre anni prima dell'abbandono delle passerelle - Marucelli partecipa con Alviani ad una esposizione alla galleria del Naviglio di Milano precorrendo i tempi anche nella “ufficializzazione” del dialogo tra opera e abito nei territori sacri dell'arte. I testi critici del catalogo sono a cura di Gillo Dorfles e Giuseppe Ungaretti, a conferma del dialogo aperto tra arte, moda e letteratura nell'universo Marucelli.
È Ungaretti, amico di sempre, a lasciarci un autentico ritratto della “sarta intellettuale” che, svelandone l'essenza, ci consegna l'esegesi del suo “pensiero poetante”:
“[...] Cara Germana non è quindi difficile capire perché lei ami tanto la poesia delle parole. Sarebbero tanto lievi, tanto aerei, eppur mossi da una gravità risoluta, i modelli dei vestiti che lei inventa, per trattenere almeno durante un attimo, la fugacità della grazia, se nello stesso tempo la poesia delle parole non le fosse apparsa, in un baleno, a manifestarle l'infinito fuggitivo della poesia, indovinandone il segreto. Grazie Germana, interprete rara di poesia.”((Giuseppe Ungaretti, Lettera a Germana Marucelli del 16 febbraio 1969, AGM, Carteggio, poi pubblicata in Naviglioincontro 4. Germana Marucelli creatrice di moda e Getulio Alviani ideatore plastico, a cura di Gillo Dorfles, cit., non paginato; poi in Naviglioincontri 1969, cit., non paginato.))
Nel 1972, all’apice della carriera, Germana Marucelli si ritira dalle scene del fashion system senza rinunciare però alla sua passione per la moda. Produce abiti in esclusiva per le sue clienti fedeli, crea una scuola di cucito e stile per bambine, progetta un'Accademia della moda fucina di futuri fashion designer e nel 1974 realizza preziose tavolette auree dal nome suggestivo “Le presenze” sintesi del suo percorso.
Nell’arco della sua carriera ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti tra cui: l’onorificenza di Cavaliere dal Presidente Luigi Einaudi (1954); il premio della Critica della Moda e il premio Rosa d’Oro assegnati entrambi dalla stampa (1962); la Medaglia d’Oro per “il suo determinante contributo estetico all’affermazione della Moda Italiana nel Mondo” in occasione del Convegno internazionale Artisti, Critici e Studiosi d’Arte patrocinato dal ministro Luigi Preti e presieduto dal professor Giulio Carlo Argan (1964); l’Oscar della moda (1969).
La giornalista Maria Pezzi in un articolo del febbraio del 1983, pubblicato pochi giorni prima dell’improvvisa morte della grande creatrice di moda, così la descrive lasciandoci, inconsapevolmente, un memorabile ricordo che riecheggia ancor oggi come una perfetta sintesi:
“Questa parola, 'pionierismo', ricorre molte volte ma per Germana Marucelli è indispensabile perché è stata lei la prima, la più coraggiosa e combattiva nel credere e creare la moda italiana. Presentarla a chi non la conosce nello spazio di un articolo è veramente difficile”((Maria Pezzi, Una grande donna, una grande creatrice: Germana Marucelli, in “Donna”, n. 30, febbraio 1983)).
1: Germana Marucelli in sartoria, 1960, Materiale d'archivio, Archivio Germana Marucelli.
2: Germana Marucelli, Maria Luisa Spaziani, Salvatore Quasimodo, Vittorio Sereni. La giuria del Premio San Babila al lavoro, Milano, 1948. © Fotografia Patellani (PAT press), Archivio Germana Marucelli.
3: Germana Marucelli proclama Giuseppe Ungaretti vincitore della, prima edizione del premio San Babila, 1948. © Fotografia Publifoto, Archivio Germana Marucelli.
4: Ettore Sottsass e Germana Marucelli durante un “Giovedì di Germana Marucelli”, Milano, 1949.© Fotografia Patellani. Archivio Germana Marucelli
5: Germana Marucelli, abito da sera Linea Plissé 1949/50, collezione autunno/inverno 1949/50. L'abito è indossato da Maria Cumani (danzatrice, attrice, poetessa e moglie di Salvatore Quasimodo). Materiale d'archivio, Archivio Germana Marucelli.
6: Germana Marucelli, abito da sera Linea Fraticello, autunno/inverno 1954/55. L'abito è indossato dalla modella Ivy Nicholson. © Fotografia Interfoto, Archivio Germana Marucelli
7: Germana Marucelli, abito da giorno Linea Pannocchia, primavera/estate 1957. © Fotografia J. Dworkine. Archivio Germana Marucelli
8: Germana Marucelli, abito da sera linea Totem, autunno/inverno 1967/68. Materiale d'archivio, Archivio Germana Marucelli
9: Germana Marucelli, abito da giorno Linea Gentile, motivo decorativo ideato in collaborazione con Pietro Zuffi, 1949. Abito indossato da Maria Cumani (danzatrice, attrice, poetessa e moglie di Salvatore Quasimodo). © Fotografia Paolo Costa, Archivio Germana Marucelli
10: Germana Marucelli, abito da cocktail Linea Assira, motivi decorativi ideati e dipinti a mano da Paolo Scheggi, primavera/estate 1962. © Fotografia Marcello Gobbi, Archivio Germana Marucelli.
11: Germana Marucelli, abito da sera Linea Alluminio, motivi decorativi a ricamo ideati in collaborazione con Paolo Scheggi, autunno/inverno 1968/69. © Fotografia Marcello Gobbi, Archivio Germana Marucelli.
12: Germana Marucelli, abito da sera Linea Optical, motivi decorativi a stampa ideati in collaborazione con Getulio Alviani, primavera/estate 1965. © Fotografia Antonio Cesano, Archivio Germana Marucelli.
13: Germana Marucelli, abito da sera Linea Alluminio, accessori (cintura) ideati in collaborazione con Getulio Alviani, autunno/inverno 1968/69. © Fotografia Bob Krieger, Archivio Germana Marucelli.
14: Germana Marucelli, Abito da cocktail Linea Alluminio, motivi decorativi a scudo ideati in collaborazione con Getulio Alviani, autunno/inverno 1968/69. © Fotografia A.I.S., Archivio Germana Marucelli.
15: Sartoria milanese di Germana Marucelli progettata da Paolo Scheggi nel 1964, Corso Venezia 35, Milano. Sfilata in Atelier della linea Optical di Germana Marucelli, con motivi Optical ideati in collaborazione con Getulio Alviani, Milano, 1965. Fotografia di Ada Ardessi, © Isisuf, Archivio Germana Marucelli.
Voce pubblicata nel: 2020
Ultimo aggiornamento: 2023