Il termine brigantessa ritorna nella storia ottocentesca del meridione d'Italia per designare non solo la compagna del brigante che si rifugia sui monti, ma pure la donna che diventa essa stessa capo di squadre armate. Filomena, Serafina, Maria, Michelina, Giocondina, Marianna, oltre a Francesca di cui tratteremo, sono solo alcune di esse, ed ebbero un tragico destino di morte o di carcere a vita.
Apparentemente i loro nomi evocano alla mente grazia, giovinezza, bellezza, ma nessuna di loro conobbe serenità né benessere, sia per la condizione di meridionali cui era legata l'arretratezza e la miseria della loro terra, sia per la reazione violenta che ebbero di fronte alle ingiustizie e alle devastanti occupazioni.
Trovarono, per vendetta, per amore o patriottismo, il coraggio di lasciare le loro case, talvolta i figli e le famiglie per farsi giustizia, da sole o accanto ai loro uomini. Il fenomeno del brigantaggio che infesterà l'Italia meridionale sarà combattuto con dovizia di mezzi e di milizie, uccisioni e processi indescrivibili solo dopo l'Unità d'Italia, quando il nuovo stato, resosi conto del pericolo di queste brigate anarcoidi, sarà “costretto” a combattere una vera e propria rivolta dei briganti (1861-1865), appoggiata dai Borbone e dal papato che volevano riacquistare il potere loro sottratto. Intanto però le avvisaglie del fenomeno si registrano già nel primo Ottocento. All'inizio del secolo XIX infatti si ha notizia d'una donna, capo di briganti, Francesca La Gamba, che lascia la tranquillità della sua casa, si sradica dal suo paese e si dedica alla lotta dopo aver visto distrutta la sua famiglia. «Scorreva le campagne, da Scilla ai Piani della Corona, una donna forte e battagliera più che non si convenga al suo sesso», ricorda Giuseppe Silvestri Silva nel suo saggio: Memorie storiche di Palmi (1807).
Francesca era nata a Palmi nel 1768 ed era una filandiera, andata in moglie in prime nozze ad un certo Saverio Saffioti da cui aveva avuto due figli, Carmine e Domenico. Rimasta vedova, s'era risposata con Antonio Gramuglia di Bagnara. E aveva avuto un'altra figlia. Ben presto però fu fatta oggetto d'attenzione da parte d'un ufficiale al servizio dei Francesi che occupavano quella terra durante il decennio 1806-1816. Respinto, questi pensò bene di vendicarsi, prima mettendo in carcere il secondo marito di Francesca con l'accusa di traffico illecito di armi e successivamente incolpando i suoi figli maschi di tradimento, tanto che alla fine essi furono fucilati. Il Gramuglia ne morì di rabbia e dolore. Lei invece se ne andò nei boschi e si alleò con i briganti che l'accolsero e la vollero come loro gregaria.
Galvanizzata com'era dal torto che aveva subito, Francesca Gamba si ritrovò un'indomabile audacia e sprezzo della vita. Vestì abiti virili e combatté accanto ai briganti con tenacia e coraggio, meritando la loro ammirazione. Il suo nome divenne ben noto e sulle sue tracce si posero i soldati per darle la caccia. Incredibilmente, in uno scontro, lei e i suoi amici, pur accerchiati dagli avversari che erano andati a catturarli, riuscirono a collegarsi con altre bande di briganti e a sferrare una forte controffensiva fino a vincere e catturare molti prigionieri. Tra questi c'era il pretendente che aveva dato inizio alla sua storia di vendetta. Ferito, le venne condotto dinanzi e come in un melodramma lei lo uccise squartandolo.
Fece fucilare pure molti soldati. La sua storia così diversa ed anomala rispetto alla consuetudine del tempo non finì qui. Si diffuse piuttosto la leggenda della sua invincibilità. Erano anni di rivolgimenti e di capitolazioni. Si susseguivano in Calabria varie dominazioni straniere che non sempre trovavano appoggio delle popolazioni. Si attendeva a Reggio Calabria l’arrivo del Principe Luigi d'Assia con una poderosa armata per sconfiggere i Francesi occupanti e rimettere sul trono Ferdinando: Francesca non ci pensò su due volte. Giocò d'astuzia, consapevole del rischio di venir catturata, e con una brillante e strategica marcia si presentò a offrire l'aiuto suo e dei suoi al nuovo arrivato. La sua offerta venne accolta cosicché cento dei suoi briganti entrarono a far parte dell'esercito regolare del sovrano del Regno delle due Sicilie, Ferdinando, per cui il principe d'Assia combatteva, e da quel momento Francesca fu nominata loro Capitanessa. Di lei si sentì parlare ancora negli anni successivi. Non smise di combattere gli odiati Francesi che tentavano variamente di reinsediarsi al potere e attaccavano le coste calabresi. Lei si spostava con la sua armata tra Solano e Sant'Eufemia per rintuzzare gli assalti. Venne pure ferita durante una scaramuccia. Quando avvertì che i Francesi avevano la meglio, fu costretta a fuggire e rifugiarsi in Sicilia. Qui non si nascose, ma istruì una numerosa schiera di soldati, tenendosi pronta a ritornare al combattimento fin che di lei si persero le tracce.
Negli anni successivi si registrano altre simili imprese di altre brigantesse, donne avventuriere e disperate che alla fine perirono in combattimento o furono catturate e condannate all'ergastolo, calabresi come Maria Oliverio, Generosa Cardamone e di altre regioni, M. Maddalena De Lellis della Campania, Giuseppina Gizzi della Lucania, Filomena Miraglia di Salerno, Maria Orsola D'Acquisto di Palinuro e tante altre, in tutto circa una cinquantina. Su di loro i cantastorie imbastirono canzoni e narrarono leggende. In occasione del 150 anniversario dell'Unità d'Italia in alcuni comuni meridionali sono state allestite mostre fotografiche che le ricordano.
G. Silvestri Silva, Memorie storiche di Palmi, Forni stampa anastatica 1930
V. Visalli, I Calabresi nel Risorgimento italiano - Storia documentata delle rivoluzioni calabresi dal 1799 al 1862 ,To. 1893 , vol.I, libroII, cap.III, p.124-125
G. De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento: tra i Borbone e i Savoia .Guida Edit. Napoli 2000
Sul Web:
Le brigantesse ottocentesche del meridione d'Italia
La rivoluzione delle donne
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2019