Francesca Bresciani fu al servizio della Fabbrica di San Pietro non perché erede dell’attività di un padre o di un marito defunto, ma grazie alle sue capacità artistiche e perizia tecnica.

Non sono molte le notizie biografiche note. Probabilmente fu figlia d’arte e apprese la tecnica del taglio e lavorazione delle pietre dure nella bottega paterna.
Artista di rara capacità, conscia delle proprie qualità al punto da non aver timore nel definirsi «esperta» con committenti e colleghi, possedeva una grande maestria nel taglio e nella lavorazione del lapislazzuli. Fu molto apprezzata da prelati e nobiluomini del tempo: è lei stessa a dichiarare di aver portato a termine molte committenze per l’aristocrazia romana.

Nella seconda metà del Seicento curò insieme a un altro intagliatore, Adonio Capocio, il rivestimento in lapislazzuli del tabernacolo posto nella cappella del Santissimo Sacramento in San Pietro, opera progettata da Gian Lorenzo Bernini e voluta da papa Clemente X in occasione del giubileo del 1675.
Il lavoro era complesso e basato su alcune operazioni delicate e di precisione come ridurre in lastrine di minimo spessore (circa 2 millimetri) la pietra già tagliata in pezzi più grandi dalle maestranze della Fabbrica di San Pietro, sagomarle, assemblare anche le porzioni più minute evitando ogni spreco, incollarle su superfici altrettanto sottili di lavagna, commetterle alle parti bronzee dell’opera, realizzare pezzi capaci di adattarsi alle parti concave, seguire e valorizzare il disegno naturale delle venature conferendo, al tempo stesso, omogeneità di colore alle superfici e camuffando i punti di congiunzione.

Tecniche complicate cui fece fronte con tutta la sua abilità nell’uso delle strumentazioni (seghe a telaio, trapani, piccole punte e dischi di ferro, azionati a mano oppure con pedaliere), con la straordinaria finezza esecutiva che la contraddistingueva e, non ultime, con doti imprenditoriali esercitate trovandosi a capo di una bottega con lavoranti assunti per l’occasione.
Alla realizzazione del tabernacolo dedicò quasi due anni della sua esistenza, tra il febbraio 1673 e il dicembre 1674, rinunciando alla quotidiana vita familiare, recandosi ogni giorno nel laboratorio allestito appositamente in un’abitazione di Borgo Pio, non lontano dalla Basilica di San Pietro, lavorando fino a tarda ora e rientrando a casa sua solo di notte.

Pur di ottenere l’incarico, che sapeva di saper svolgere nel migliore dei modi, e vincere la concorrenza dei colleghi, ribassò i costi di un terzo rispetto a quanto proposto dagli altri. L’incarico le fu assegnato anche grazie al giudizio favorevole di Bernini che, dopo aver raccolto le informazioni necessarie, dichiarò «esser megliore la Donna»: fu quindi lei a eseguire le parti più in vista e complesse del tabernacolo.

Nei documenti esistenti sull’esecuzione dell’opera, Francesca viene individuata come moglie di Monsù Gerij Doyson, fabbricante di chiavi di origine fiamminga, e nonostante la bravura, sempre riconosciuta da committenti e collezionisti, Bresciani si trovò di fronte a molte limitazioni di non poco conto: non poter ricevere in modo diretto le partite di lapislazzuli, evidentemente troppo prezioso per essere consegnato nelle mani di una donna, o non poter firmare le ricevute di pagamento, sottoscritte dal marito, o mantenere contatti diretti con la committenza, cui di nuovo provvedeva il coniuge.

Terminato il lavoro e dopo aver richiesto un compenso di 1940 scudi, Francesca Bresciani si trovò a fronteggiare un’altra amara realtà. Bernini, incaricato di valutare la congruità della sua richiesta, propose di abbassarla di oltre il 60% arrivando a offrire un pagamento di 734 scudi, nonostante l’intagliatrice avesse realizzato due terzi dell’intera decorazione della superficie e le parti più complesse. Francesca non si diede per vinta e, senza alcuna remora né timore reverenziale nei confronti del celebre e potente scultore, scrisse due suppliche, una alla Congregazione della Fabbrica di San Pietro e l’altra al cardinal Massimo, per difendere il suo ruolo e valorizzare il suo impegno.
Arrivò persino a mettere in dubbio che Bernini fosse esperto nella lavorazione delle pietre dure e fosse quindi poco competente per giudicare il suo operato; non riconoscendone le capacità valutative chiese che quanto da lei eseguito fosse esaminato e «rivisto da persone intendenti dell’esercitio essendo assai diverso il lavoro della pietra da quello delle gioie».

L’audacia di Francesca nel mettere in dubbio il giudizio berniniano raggiunse il risultato sperato e il suo compenso si arricchì di 300 scudi rispetto a quanto avesse proposto dall’architetto, arrivando alla cifra di 1023.38 scudi. Il riconoscimento maggiore arrivò alcuni anni dopo, nel 1678, quando le venne affidato un secondo prestigioso incarico per la Fabbrica di San Pietro, quello di decorare in lapislazzuli anche il fondo del Crocifisso da porre di fronte al “suo” tabernacolo, sempre nella cappella del Santissimo Sacramento. Ancora una volta si trovò a essere protagonista nell’esecuzione di un’opera progettata da Gian Lorenzo Bernini.

Il profilo biografico di Francesca Bresciani è avaro di altre notizie; molta più ricca la documentazione sul marito Gerij Doyson e sull’intagliatore Adonio Capocio. Quasi del tutto dimenticata nelle pieghe della storia dell’arte, il suo ruolo nella decorazione del ciborio è emerso solo in recenti studi e pubblicazioni. Nell’ottobre del 2023 il Comune di Roma le ha dedicato un largo nel XV Municipio.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Francesca Bresciani

Assunta Di Sante e Sante Guido, Francesca Bresciani tagliatrice di lapislazzuli per il tabernacolo di Bernini “che si fa del Santissimo in San Pietro”, in Assunta Di Sante e Simona Turriziani (a cura di), Quando la Fabbrica costruì San Pietro. Un cantiere di lavoro, di pietà cristiana e di umanità XVI-XIX secolo, Il Formichiere, Foligno 2016, pp.257-295.

Simona Turriziani, L’altra metà del cielo. Le donne nel cantiere petriano, in Assunta Di Sante e Simona Turriziani (a cura di), Quando la Fabbrica costruì San Pietro. Un cantiere di lavoro, di pietà cristiana e di umanità XVI-XIX secolo, Il Formichiere, Foligno 2016, pp.233-255.

Referenze iconografiche
1. Tabernacolo del Santissimo Sacramento, 1672-1675, Città del Vaticano, Basilica di San Pietro, Cappella del Santissimo Sacramento, immagine di pubblico dominio


Voce pubblicata nel: 2025