Un destino di silenzio, lo definì qualcuno. E così sembra essere stato il destino di Fernanda Romagnoli. Assente in molte antologie, dimenticata, ignorata. Eppure Paolo Lagazzi la definisce “una poetessa grandissima”. E una poeta così grande non può e non deve rassegnarsi a un destino di silenzio. Non può e non deve essere un’ombra nella Storia.
Prima o poi qualcuno lo scopre:/io sono già morta/da viva.
Nasce a Roma il 5 novembre 1916. A diciotto anni si diploma in pianoforte al conservatorio di S. Cecilia, e a vent’anni conclude gli studi magistrali, da privatista. Tra il 1941 e il 1944 lavora come impiegata nel Consiglio Nazionale delle Ricerche.
La sua prima raccolta di poesie, Capriccio, viene pubblicata nel 1943, edizione Signorelli, con la prefazione di Giuseppe Lipparini. L’anno successivo si trasferisce a Erba con la famiglia, e poi torna a Roma nel 1946. Si sposa con Vittorio Raganella, un ufficiale di cavalleria con il quale dal 1948 al 1965 vive a Firenze, Pinerolo e Caserta. Infine Roma.
Tra il 1961 e il 1965 è maestra in alcune sedi di montagna. Ma perlopiù sarà moglie, madre, e poeta. Ruoli che non s’intersecano, abiti che Romagnoli indossa scompagnati. Come se la vita e la scrittura fossero due strade parallele, e questo la porta a vivere costanti sensi di colpa.
Io nel buio, in catene, a un palmo/da voi.
È del 1965 la seconda raccolta di versi, Berretto rosso, pubblicato da Sestante. Sono i primi anni Settanta che la vedono amica di Carlo Betocchi e Nicola Lisi, e nel 1973 esce la terza raccolta di poesie, Confiteor, edita da Guanda. Questo fu possibile grazie ad Attilio Bertolucci che dirà della sua poetica “uno scontro tra il quotidiano e il visionario”.
Io distendo le mani, che vi piova la chiarità…/tu aprimi i capelli/o brezza di levante.
Romagnoli passa dallo stampo ottocentesco della prima raccolta, a liriche visionarie e metafisiche. Una poetica che all’inizio parla di comunione di elementi, la natura percepita a livello sensoriale, un’atmosfera panica che ricorda D’Annunzio e Pascoli, con reminiscenze quasi leopardiane.
[…] i grandi fiori/dissetati splendevano, che un tempo/come piccoli pugni si serravano/per resistere a un marzo di gran vento.
Negli anni Settanta, Fernanda Romagnoli collabora con alcune riviste letterarie, «La Fiera Letteraria» e «Forum Italicum», per la radio Approdo. Scrive quelle che saranno le poesie de Il tredicesimo invitato che uscirà nel 1980 per Garzanti. La poesia che dà il titolo alla raccolta riporta a quel destino, al vivere in disparte.
Grazie – ma qui che aspetto? /Io qui non mi trovo. Io fra voi/sto come il tredicesimo invitato, /… E all’improvviso capisce/che siede un’ombra al suo posto:/che – entrando – lui è rimasto chiuso fuori.
Il senso di inadeguatezza e l’estraneità alla vita sociale che Romagnoli vive, e soffre, sono espliciti, tangibili, e ne scaturisce un’insoddisfazione che la fa sentire scomoda dentro qualunque ruolo. Moglie, madre e poeta. Ruoli che non riuscirà mai a gestire come vorrebbe.
Avrà un difficile rapporto con la figlia, con la quale non farà in tempo a spiegarsi veramente. Scrive una poesia per lei, che fa così:
Si stringe chiusa, dura, /come nelle sue ciglia/la margherita sotto il temporale… Ma il mattino /dritta come una pianta, /spensierata, m’è presso il capezzale/che con l’aroma del caffè mi canta/ “sveglia”, col carillon del cucchiaino.
Vive ogni ruolo con sensi di colpa, che serpeggiano nelle sue poesie. Poesie che, tralasciate le atmosfere naturalistiche, si concentrano sugli oggetti di uso quotidiano. Oggetti da cui ci separiamo a fatica, così vicini ma al tempo stesso così estranei. La poesia Oggetti è dedicata proprio a loro.
I piccoli oggetti, i piccoli/amici schiavi, che tirano/troppo in lungo la vita! … Gli ipocriti inermi! Bisbigliano/ aiuto, pietà.
Talvolta gli oggetti sono intrisi di significati metaforici, come nella poesia Bruco, dove Romagnoli osserva con lucidità e freddezza una vita che finisce. Solo un feroce distacco dalle cose le permette di sopportare il pensiero della morte.
Tagliato in due col suo frutto/il bruco si torce, precipita/nel piatto, ove un attimo orrendo /sopravvive al suo lutto.
Questo scrivere delle piccole cose di tutti i giorni ricorda la poetica di Kavafis. Ma il quotidiano è una tenaglia che stringe forte e Romagnoli si trova a vivere un continuo conflitto interiore, un conflitto dell’anima, e un senso di precarietà che la farà sentire estranea alla vita stessa.
Tu, che chiamiamo anima. Tu profuga, /reietta, indesiderabile. Tu transfuga/dal soffio dell’origine. /… Per registri e frontiere:/non esisti.
Fernanda Romagnoli si muove tra un forte desiderio di ribellione e un’amara rassegnazione al quotidiano.
Morte, se vieni per condurmi via, /lascia che ombra su ombra/io ripercorra la gente. /In quest’incrocio di rotte/casuali, ci siamo incontrati/ - fra vivi – così inutilmente.
Paragonata a Salinas, Caproni e Carducci, Romagnoli viene accostata anche a un’altra poeta, Emily Dickinson. Entrambe propense all’isolamento, a quel vivere in disparte, un certo distacco dal resto del mondo. Un distacco totale per Dickinson che vivrà tra le mura domestiche, reclusa nella propria stanza, mentre Romagnoli, pur non arrivando a questo estremo, vivrà in disparte, silenziosa, come un ospite che non vuole disturbare. E, come per Dickinson, nella poetica di Romagnoli emerge la tensione al divino.
Con Lui non abbiamo contatti. /Firma e sigillo: l’impronta del suo pollice…/ Le finestre non guardano che pietre, / da che segarono l’albero e l’uccello/portò altrove il suo canto.
Quella di Romagnoli è stata definita una poesia dell’anima. Anima che ha bisogno di evadere, spaziare, essere libera.
Così a portata d’anima! / «Tu aspettami!» /Non udì. Sfavillò vuota la cruna. /Anima – o forma umana:/ah, già svanita.
Ma c’è un altro aspetto che ci fa ricordare Dickinson: il dolore, la malattia. Proprio il dolore, a partire dagli anni Settanta, sarà un compagno sgradito ma fedele di Fernanda Romagnoli. Un’epatite contratta nel periodo bellico la costringerà, nel 1977, a subire un intervento chirurgico al fegato. Nonostante i ripetuti ricoveri, Romagnoli non trascura la poesia.
Poi ti raggiungerò/là dove – abbandonata/la via terrestre, simile/a rotaia in disuso – s’incammina lo spirito, esitante.
In questo verso la vita viene paragonata a una rotaia in disuso, una similitudine come se ne trovano tante nelle sue liriche. E si trovano anche metafore, anafore, rime e assonanze.
Questo cuore mio, gonfio di pietre, / suona ancora conchiglie/ e il sudore dell’anima concima praterie di camelie.
E ancora:
…se tu l’ami, lei non ha colpa. /Ma io la vorrei morta.
Se in vita Romagnoli ebbe un breve periodo di notorietà, veloce come una meteora, dopo la morte sprofondò nell’oblio.
Voglio alzarmi. Ho paura. /Nel pozzo del cranio/ - senza uscita -. Nel buio sacrario/sconsacrato.
Alcune poesie inedite saranno pubblicate poco prima della sua morte dal quotidiano «Reporter», grazie a Ginevra Bompiani e Gianfranco Palmery, e dalla rivista «Arsenale».
Ma sarà solo nel 2003 che Donatella Bisutti, dedicandoci anima e corpo, riuscirà a far ripubblicare, dall’editore Sheiwiller, Il tredicesimo invitato. Ma fu un’altra meteora, poi ancora quel destino che ritorna, di nuovo il silenzio. Di nuovo l’oblio. È per questo che abbiamo voluto scrivere di lei, e per lei. Perché ancora una volta potesse uscire da quel silenzio.
E affacciati guardando fluttuare/questa frangia di sera sui palazzi, /che di sprazzi vermigli ci colora.
Riportiamo il pensiero di Barbara Lanati circa la sua biografia su Emily Dickinson, facendolo nostro e dedicandolo a Fernanda Romagnoli.
Avrei voluto che fosse stata lei a parlare di sé. Lei tuttavia non c’è. Nonostante la sua assenza, non voglio attribuirle ciò che lei non avrebbe voluto le fosse attribuito. Né voglio offrirne un’immagine in cui non avrebbe voluto riconoscersi.
Fernanda Romagnoli muore all’età di settant’anni, a Roma, presso l’Ospedale Sant’Eugenio. È il 9 giugno 1986.
Fu feroce/il dettato di resa. In un minuto/la tua carne divenne un ectoplasma/dai gesti incomprensibili.../Maturavi/sola - nella placenta della morte.
«Poesia», rivista trimestrale di poesia
Donatella Bisutti, Il fantasma di Fernanda, in «Le Voci della Luna», quadrimestrale di Informazione e Cultura Letteraria e Artistica
Emilia Sirangelo, Fernanda Romagnoli: l’esilio di un poeta
Referenze iconografiche: Ritratto di Fernanda Romagnoli negli anni quaranta. Fonte: Facebook. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2020
Ultimo aggiornamento: 2023