Scrittrice di teatro, poeta, performer, femminista lesbica e attivista per i diritti degli aborigeni, Eva Johnson, aborigena lei stessa, è nata nel Northern Territory (Territorio del Nord) ed esattamente a Daly River nel 1946 all’interno del popolo dei Mulak Mulak.
Appartiene alla stolen generation (“generazione rubata”), nome dato a uno dei soprusi più odiosi subiti dagli aborigeni da parte dei conquistatori, che consisteva nel sottrarre i bambini alle famiglie di origine per trasferirli in una comunità, in un orfanotrofio o darli in adozione. Da piccolissima infatti, anche lei fu tolta alla sua famiglia e affidata alla missione metodista di Crocker Island – come succedeva spesso a quei tempi ai bambini di sangue misto (generalmente madre aborigena e padre bianco), per evitare che si mescolassero le “razze”. Da lì, dove tutto sommato ancora poteva rimanere in contatto con gente della sua cultura e tradizione, viene definitivamente allontanata quando, all’età di 10 anni, si decide per lei il trasferimento in un orfanotrofio di Adelaide.
Qualche anno dopo proprio ad Adelaide comincerà a lavorare per il teatro, prima come insegnante, poi come scrittrice.
La sua prima opera teatrale ad essere rappresentata è Tjinderella presentata al First National Aboriginal Women’s Art Festival (primo festival nazionale dell’arte delle donne aborigene) nel 1979 e in seguito anche ad altri festival. Anche il suo secondo lavoro, Onward to Glory, rappresentato ad Adelaide nel 1984, riscuote un certo interesse, ma il successo vero arriverà quattro anni dopo, nel 1988 con il dramma in quattro atti Murras (“mani” in lingua aborigena) messo in scena per la prima volta ad Adelaide, e poi a Sydney in occasione della Stagione del Teatro Indigeno. Nel 1990 un altro suo lavoro, Mimini’s Voices, in prima battuta rappresentato ad Adelaide, oltrepassa i confini nazionali e arriva in Giappone nell’ambito del Festival delle Arti di Hiroshima.
Lo stesso anno produce What do they call me?, pezzo unico da lei stessa inizialmente interpretato al Festival Nazionale Lesbico di Melbourne, poi riproposto a Sydney e finalmente arrivato in tournée in Europa dove viene messo in scena in diverse occasioni nel corso degli anni Novanta: attraverso la storia di tre donne – la madre e le due figlie colpite dallo stesso destino della stolen generation – Johnson racconta l’impatto disastroso che la politica del governo australiano ha avuto nei confronti delle madri e dei bambini aborigeni.
La rabbia per i soprusi subiti dalla sua gente è stata indubbiamente una forte molla verso la scrittura. Ecco infatti che cosa dice di sé in una specie di analisi autobiografica, On the Line, pubblicata nel 1994, dove rende conto della sua evoluzione di scrittrice:
Ho incominciato a scrivere verso la fine degli anni ’70, nel momento in cui gli Aborigeni si sono stancati di essere invisibili o, meglio, di essere visti né più né meno come facenti parte della fauna e della flora del luogo[...] È stato allora necessario costruirsi la consapevolezza di essere, in quanto neri, una forza sociale importante in questo paese.
Impegno sociale e scrittura sono sempre stati, per lei, inscindibili, nella consapevolezza che «la scrittura per gli aborigeni è lo strumento più efficace contro l’ingiustizia». A questo proposito va detto che anche i modi in cui si esprimono i suoi personaggi, la loro lingua, è quell’inglese elementare e ibrido che costituisce a tutt’oggi la parlata dell’aborigeno medio, lingua che divenuta scrittura, e quindi rappresentazione, esprime efficacemente la storia di un’identità annientata e insieme la riscatta sulla pagina e sulla scena. Per facilitarne la comprensione, comunque, ogni dramma è corredato da un glossario delle parole aborigene più usate.
Eva ha scritto anche testi poetici ispirati alla terra e agli spiriti che vivono in essa, in sintonia con la cosiddetta “Land Struggle” (lotta per la terra), da lei particolarmente sentita. Qui lo stile, a giudicare dalle poche composizioni in circolazione, è sorprendentemente tradizionale sia nella metrica – terzine e quartine - sia nell’uso frequente di rime baciate.
L’esempio di Eva ha incoraggiato molte giovani aborigene a cercare un proprio posto sulla scena teatrale o a intraprendere la strada della scrittura, come testimoniano le frequenti presenze di alcune di loro ai vari festival che si svolgono ogni anno in diverse città dell’Australia. Per fare un nome, la giovane scrittrice aborigena Judith Beveridge, (anche lei appartenente alla stolen generation) che al 14° Writers Festival che si è svolto a Byron Bay (N.S.W.) nell’agosto 2010, ha raccontato di aver scoperto il suo luogo di origine solo dopo 15 anni di ricerche!
Nonostante sia stata fatta molta strada dalla prima legge del 1967, che ha riconosciuto gli Aborigeni come cittadini a tutti gli effetti, le discriminazioni permangono, magari a livello più sottile. La scarsa diffusione delle poesie della Johnson e la difficoltà a reperire in biblioteche comunali di piccole città i suoi drammi o notizie su di lei - per non parlare delle traduzioni in italiano -, possono essere considerate a buon giudizio come tali.
Eva Johnson, What do they call me? in Australian Gay and Lesbian Plays, a cura di Bruce Parr
Eva Johnson, On the Line, in Into the Nineties: Postcolonial Women’s Writing, Armidale N.S.W., Dangaroo Press, 1994
Crowley, Viki Aboriginality and Feminism: “An interview with Eva Johnson”, in Social Alternatives, vol. 12 n° 1 (April 1993), pagg. 13-15
Peta Tait ed Elisabeth Schafer (a cura di), Australian Women’s Drama, Sydney, Currency, 1997
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023