Non posso dirti quanto intensamente e con quale ossessione anticipi il giorno della pace. Si vedono e si piangono troppe miserie per non sentire il desiderio che oggi sia l'ultimo giorno di questa orribile guerra”.

Elena racconta di sé in 23 lettere indirizzate alla sorella Luisa dall’8 aprile 1916 al 3 settembre 1916, pochi giorni prima di morire. La sua vicenda comincia quando si iscrive alla scuola per infermiere volontarie. Nel 1915 presta servizio in un treno-ospedale; nel 1916 è assegnata all’ospedale da campo di Manzano, Udine.

Nubile, lascia una vita agiata e quieta, dedita alla famiglia e alla beneficenza. Nel breve periodo di servizio al campo le esperienze della vita precedente si raccolgono e si trasformano. La guerra, evento estremo, le rivela luoghi nascosti di sé. Nella sua città verrà ricordata con affetto e rispetto, ma tra ciò che dicono di lei e ciò che di sé racconta alla sorella c’è una frattura che nemmeno l’accorato dolore di Luisa ricompone.

Nel 1917 la sorella pubblica le sue lettere e la rassegna stampa che parla di lei, nel 1921,è ricordata in un volume dedicato alla commemorazione degli ufficiali e sottufficiali senesi caduti. La fede, che il settimanale della Curia definisce “intelligente”, è la sua guida, ed è la fede di una donna soldato.
Qui si vive per la guerra” scrive a Luisa nella sua prima lettera, ancora presa da entusiasmo per quella avventura. Pochi giorni dopo riflette con emozione su un cannoneggiamento e sulla partenza di truppe per la prima linea: “non posso dirti come ogni colpo ferisse il mio cuore” scrive a Luisa.
Come ogni soldato Elena impara a vivere in un tempo e in uno spazio nuovi, dove il ricordo delle persone e degli ambienti familiari rimane vivo e collegato al presente attraverso l’osservazione delle differenze e la percezione della discontinuità e continuità, dal paesaggio alla scansione del tempo, e come ogni soldato ne coglie il dinamismo e l’attesa: “Qui tutto si muove vertiginosamente e si lavora senza interruzione da mane a sera e via di seguito”.

Sono molti i temi che scandiscono la trama delle sue confidenze; dal rapporto mutante con la guerra, i soldati, la pietà, la curiosità e il senso nuovo di autonomia e di forza. Con la sorella condivide fede e ricordo delle consuetudini familiari, l’ansia per gli amici e i parenti al fronte. La situazione è cambiata ma non la fede, anche se la messa viene celebrata nel palcoscenico del teatro, usato anche come corsia, e se i topi entrano ed escono dai loro buchi, anzi, lo spettacolo è suggestivo. Da un fiero entusiasmo iniziale, passa nelle sue lettere alla rassegnazione, in attesa che quel terribile momento passi. Il legame con i soldati si fa sempre più forte ed è sempre più consapevole del destino di morte di quelli affidati alle sue cure e di quelli che stanno partendo per il fronte, fino al lamento e all’auspicio della fine di questa “orribile guerra”.

Quanta bella e forte giovinezza, ma quanti avranno avuto in core la tristezza della morte a cui andavano incontro! Dio li protegga tutti e li salvi”.

Osserva e vive la guerra negli aspetti quotidiani di fatica, sofferenza, degrado di uomini e paesaggio; ospedale e paese sono la sua trincea di pioggia e fango.
Destinata alla cura dei prigionieri confessa il turbamento che prova nel doversi occupare di loro che però, non hanno altra colpa che obbedire agli ordini e conosce il proprio compito e la propria fede cristiana. Sono prigionieri, sono soldati e sono uomini, con naturalezza ammette che “ve ne sono di abbastanza ben portanti, né antipatici”. Ricorda con dolore la morte di uno di essi, che le raccontava “un monte di cose”. La virilità ferita e mutilata che incontra, per lei, nubile, è un’ emozione sconosciuta e dolente.

Che Dio perdoni a tutti tanto scempio di carne umana” scrive in una delle sue ultime lettere, rassegnata, ma non silente. L’ultima è una riflessione sul quotidiano faticoso, sulla solitudine, sul personale sacrificio, il suo essere crocerossina.
Elena muore dopo una breve malattia, un testimone – il conte Guido Chigi – racconta che non aveva avuto agonia e che la sua era stata “una morte sulla breccia”.

La rassegna stampa che la sorella raccoglie codifica la crocerossina secondo gli schemi abituali, i giornali locali rievocano la buona signorina dedita alla famiglia e alla carità. Il discorso in memoria di lei della responsabile della Croce Rossa, Ernesta Stiatti, è volto più a rafforzare la fiducia nelle buoni ragioni della guerra e nella vittoria che a ricordare la defunta. Stilizzato il ricordo di un parente che ne loda la maternità spirituale, la scelta di ruolo come contrappeso all’eroismo e alla razionalità maschile.
Le parole di Luisa sono il segno di un lutto che non trova composizione, né ha un nome. Le manca il sepolcro vicino, rimpiange di non essere arrivata in tempo per l’ultimo saluto. L’immagine della sorella che Luisa trasmette è quella di Cristo deposto, in questo simile alla rappresentazione dei caduti, ma non è un’immagine pacificata né edificante; percorsa piuttosto dalla voce dolente, dalle inquietudini trasmessa dalle sue lettere. Luisa spera di raggiungerla in una dimensione ultraterrena, unica prospettiva di un lutto senza consolazione.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Elena Riccomanni

Gabriella Rustici, Religiosità femminile tra le due guerre-Scritture e vicende di donne senesi, in Rivista Progressus, 1/ 2019 , pp, 151-216
Stefania Bartoloni, Italiane alla guerra-le infermiere volontarie, Marsilio, 2003

M. Notari Olivotti, Luci di scomparsi Vol. II, Siena, 1921

Alla memoria santa di Elena Nob. Riccomanni, Siena 1917



Voce pubblicata nel: 2016

Ultimo aggiornamento: 2024