"[…] fra le moltissime che si distinsero nelle arti, nelle scienze e nell’amena letteratura, è difficile incontrarsi in alcuna la quale siasi resa illustre nel foro; difficile carriera le anime soverhiamente sensitive della più bella metà del genere umano […] la corte d’appello di Napoli è stata in questi giorni spettatrice del valore straordinario della Signora Elena dell’Antoglietta dei Marchesi di Fragagnano di Lecce qui venuta a sostenere gravi suoi diritti ereditarii lungamente impugnati in dispendioso litigio[…]" 1

Chi è questa donna di cui si parla con tono così entusiasta e cosa ha fatto di così eclatante? Per capirlo va fatta una premessa. In Italia, buona parte dei Codici Civili preunitari, compreso il Codice Civile Albertino del 1848, erano modellati sul Codice Civile Napoleonico del 1804, molto avaro nel riconoscere alla donna diritti e prerogative quale soggetto autonomo. Per esempio alle donne erano impedite la gestione dei propri beni, la tutela dei figli e la firma di atti giudiziari. Era difficile per le donne accedere all'istruzione, e quindi uscire dai confini della casa e della famiglia.

Elena è stata una delle donne coraggiose che sfidando la mentalità del tempo si è imposta in un’attività considerata monopolio maschile, l’Avvocatura. È pur vero che durante la dominazione borbonica nel Regno delle Due Sicilie era permesso alle donne accedere all’attività forense, tuttavia questa possibilità era meramente teorica.

Elena dell’Antoglietta, discendente di una illustre famiglia di origine francese, secondogenita di Don Francesco Maria, signore di Fragagnano, e di Donna Saveria Basta, erede del marchesato di Monteparano, nasce a Monteparano nel tarantino nel 1780. A quattro anni rimane orfana di padre. A preoccuparsi della sua educazione e di quella della sorella maggiore Marianna sarà la madre Saveria che potrà farlo solamente per un brevissimo periodo perché la giovane Elena verrà ben presto messa in un istituto religioso di Napoli per prepararsi alla vita monacale, come era in uso nelle famiglie nobili del tempo. Queste vocazioni erano perolpiù forzate in quanto, per non dover dividere i beni, le famiglie patrizie sacrificavano le figlie minori alla vita claustrale mentre le figlie maggiori erano destinate al matrimonio anch’esso, nella maggioranza dei casi, stabilito in funzione di opportunità economica o sociale.

Don Lelio Dell’Antoglietta, lo zio paterno, avido di denaro e di potere, per garantirsi il cospicuo patrimonio della nipote, con modi moralmente molto discutibili, riesce a convincere la giovanissima Marianna a sposarlo. La madre si oppone fermamente alla celebrazione di questo matrimonio, ma i due giovani ricorrendo all’assenso regio superano l’ostracismo materno e riescono a sposarsi.

Saveria, donna di grande generosità d’animo, acuta e raffinata intelligenza, contraria a che le sue figlie possano vivere una vita sottoposta solo agli interessi patrimoniali, in tutta segretezza, compie un atto importante a tutela della figlia minore. Effettua una donazione con la clausola che, in caso di matrimonio della sorella maggiore Marianna, i suoi beni sarebbero dovuti andare ad Elena. Don Lelio, che era riuscito ad intercettare l’atto, pensando che la cognata sarebbe certamente entrata in convento per non uscirne più, convince Elena a firmare la rinuncia alla donazione con la complicità, o forse è più giusto dire grazie all’ingenuità della giovane moglie.

Elena ancora non sa che così facendo perderà la propria eredità. Lo scoprirà di lì a breve e l’odio che proverà per la sorella e il cognato–zio sarà il motore che la porterà a lottare per far valere i propri diritti.

La storia di Elena sembra essere nata più dal frutto della fantasia di un scrittore di romanzi strappalacrime che essere il riflesso di una arida realtà e di una prepotenza sociale che lei riuscirà a distruggere e che la porterà ad essere considerata “illustre Signora notissima per le sue grandi qualità mentali”.

La clausura ha rappresentato per lungo tempo l’unica possibilità per una donna di accedere all'istruzione e alla cultura. Elena in convento aveva imparato a leggere e scrivere. Ed è proprio studiando le carte della sua famiglia e i documenti che la riguardavano direttamente che si rende conto di essere stata raggirata dalla sorella.

Fiduciosa nei nuovi fermenti di libertà che all’inizio dell’Ottocento soffiavano a Napoli pensa che sia il momento adatto per ottenere giustizia.

È decisa a far valere i propri diritti e rientrare così in possesso dei beni estortile con l’inganno. Per difendersi ritiene di non aveva bisogno di nessuno.

Consapevole che non sarebbe stata un’impresa facile e che la aspettava una lotta dura e spietata, comincia a frequentare di nascosto le lezioni di Giurisprudenza presso l’Università di Napoli.

Un primo assaggio delle sue doti di abile oratrice ce lo fornisce quando, durante un viaggio verso la città partenopea, viene assalita dai briganti. La sua capacità di persuasione, le sue parole, la validità delle argomentazioni sono così vincenti che questi banditi non solo si scuseranno con lei ma addirittura la scorteranno fino a destinazione. Elena prosegue i suoi studi e le sue ricerche, segue le lezioni con costanza e partecipazione e le sue conoscenze in campo giuridico diventano profonde e, quando valuta di essere pronta, si presenta presso la Corte d’Appello di Napoli per perorare la propria causa e ottenere finalmente giustizia.

È l’estate del 1816, Elena ha 36 anni.

Si difende e lo fa con impegno e con un’intelligenza tale da lasciare ammirati e sbigottiti i giudici che sono letteralmente sconcertati dal valore e dalla competenza di cui dà prova. Nella sua arringa fa trasparire tutta la sua determinazione nel voler ottenere giustizia, dimostra la sua ottima conoscenza delle leggi e pone l’accento sulle troppe ingiustizie perpetrate ai danni di chi per ignoranza o bontà d’animo cade nelle trappole ingannatrici di furfanti camuffati da nobili. Con un’eloquenza sbalorditiva riesce a raccontare gli imbrogli di cui era stata vittima, in modo chiaro, preciso e coerente. Perora in modo magistrale tutti suoi diritti di eredità “lungamente impugnati in dispendioso litigio“.

"[..] Questo novello oratore perorò con tanta energia la sua causa che destò sorpresa negli animi dei giudici, non solo, ma in gran numero altresì di colti uditori dalla fama dei suoi pregi raccolti. Gli uomini imparziali non poterono non applaudire alla donna eloquente, la quale superò l’aspettazione pubblica per isceltezza degli argomenti, per forza di stile, per felicità di espressioni. Non contento di questa sua difesa questo gentile oratore, riassunse quanto dalla parte contraria era stato distesamente esposto e con somma maestria trattò tutte le questioni legali proposte, e ne trasse le conseguenze più favorevoli ai suoi diritti. Il bel sesso deve essere grato a giovane donna che tanto l’onora […] sprone ad ogni donna che per mente e coltura sia capace di imitarne il nobile esempio […]

Il 24 giugno lo stesso giornale riporta questa la notizia:

la perorazione della Signora Elena dell’Antoglietta à avuto il più felice successo […]"

Vince la causa e rientra in possesso della propria eredità. La vittoria di questa nobildonna ha un grandissimo valore: per la prima volta pubblicamente viene rivalutato il ruolo delle donne e "il bel sesso", per usare la stessa espressione comparsa sul Giornale, deve esserle grato poiché è la dimostrazione lampante e tangibile della capacità intellettuale femminile e dell’importanza del ruolo sociale della donna.

“[…] Questa causa sarà memorabile nei fasti del nostro foro, non solo per il valore della chiarissima donna ma per il profondo sapere altresì, per l’ingegnosa difesa e per le urbane maniere con le quali il signor Michele Tomaia, avvocato contrario sostenne le ragioni dei contraddittori […]"

Questa donna, che aveva fatto parlare di sé tutta l’Italia meridionale e per il valore straordinario dimostrato, aveva conquistato “un primato glorioso tra le giuridiche intelligenze”

Elena, dopo aver vinto la causa, si riavvicinò alla sorella, Donna Marianna; quando si incontrarono si strinsero forte e scoppiarono in un pianto liberatorio. Tale era la commozione che “piansero anche i muri” così il parroco riferì durante una predica.

In linea con il suo spirito religioso e umanitario utilizzò i beni ora ritornati in suo possesso in opere di beneficenza. La nobildonna finanziò la missione di San Giustino de Jacobis in Etiopia. Mise la sua professionalità e i suoi averi al servizio degli altri.

Morì all’età di ottantuno anni a Taranto, il 4 giugno 1861 nella scuola pubblica gestita dalle “Figlie della Carità” che, da grande mecenate qual era, aveva fortemente voluto.

Donna Elena dell’Antoglietta è stata una delle pochissime donne che ha fatto sentire la propria voce nei tribunali. Solo il 17 luglio 1919 con l’approvazione della legge 1176, Norme circa la capacità giuridica della donna, nota anche come legge Sacchi verrà concesso l’accesso delle donne ai pubblici impieghi e alle professioni, compresa quella forense.

La figura di Elena dell'Antoglietta ha avuto certamente una forte influenza su Salvatore Morelli, al punto da far pensare che si sia ispirato a lei nel formulare molte delle sue proposte di legge volte al riconoscimento dei diritti delle donne.

Note


1 «Il Giornale delle due Sicilie», 21 giugno 1816

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Elena dell'Antoglietta

Referenze iconografiche: Una rara immagine di Elena dell'Antoglietta, tratta dal «Corriere del Giorno»,13 dicembre 1975 e concessa gentilmente dalla Pro loco di Fragagnano.

Voce pubblicata nel: 2021

Ultimo aggiornamento: 2023