Scritta da Cynthia Nelson, direttrice del dipartimento di sociologia dell’Università Americana del Cairo, la biografia di Doria Shafik è stata pubblicata nel 1996, quasi vent’anni dopo la morte tragica di questa donna eccezionale. Doria Shafik era una scrittrice, poetessa e giornalista laureata in filosofia all’università della Sorbonne di Parigi, scriveva poesie in francese ed era un’attivista del movimento femminista e politica. Il suo caso dimostra ancora una volta quanto la scrittura può restituire la vita e la parola persino a chi l’ha persa.
Doria Shafik naque a Mansura, una città del Delta egiziano, il 14 Dicembre 1908, in una famiglia dove non mancavano contraddizioni di tutti i generi, spesso difficili da capire per una mente infantile. Sua madre proveniva da una famiglia benestante che si impoverì dopo la morte del padre; così fu data in matrimonio ad un impiegato del governo, un uomo giovane e affettuoso che contava solo sulla sua busta paga per mantenere la moglie e i bambini. Doria viveva allora in una famiglia allargata, con la mamma, la nonna e la zia, le quali trascorrevano a casa loro sei mesi all’anno per poi andarsene tutte insieme nella piccola città di Tanta dalla nonna, lasciando i figli nelle mani della tata siriana e di un battaglione di domestici, compreso un eunuco.
Le lunghe separazioni dalla mamma rendevano la bambina inquieta e vulnerabile. Le differenze di classe sociale, di razze, di modi di fare che aveva notato a casa intorno a sé dalla più tenera infanzia acuivano in lei un sentimento d’incertezza che le rimase vita natural durante, insieme ad una comprensione prematura ma profonda dell’umanità intrinseca che accomuna tutte le persone, al di là delle differenze.
Nel 1915, all’età di sette anni, la bambina fu mandata a scuola dalle suore di Notre Dame des Apôtres, a Tanta, dove abitava dalla nonna. Purtroppo Doria perse la sua mamma nel 1920 all’età di dodici anni e fu mandata nel 1923 a casa di suo padre, ad Alessandria, dove fu iscritta alla scuola delle missionarie di Saint-Vincent de Paul, scuola considerata tra le migliori d’Egitto. Iniziò allora a vivere in un ambiente cosmopolita dove tutte le notizie provenienti dal mondo intero circolavano liberamente. Fu allora che Doria sentì parlare di Huda Shaarawi, e delle vittorie del movimento femminista egiziano.
Nel 1928 Doria scrisse una lettera a Huda Shaarawi, si recò al Cairo per incontrarla e ottenne con il suo aiuto una borsa di studio del ministero dell’educazione per continuare i suoi studi a Parigi. Inoltre, Huda Shaarawi la invitò a fare un discorso all’Unione femminista egiziana il 4 maggio dello stesso anno. Nel mese di Agosto, Doria partì per la Francia per studiare filosofia alla Sorbonne. Ottene la Licence d’Etat e la Licence Libre nel 1933 e tornò a casa di suo padre ad Alessandria dove, data la sua notevole bellezza ed eleganza, partecipò al concorso di Miss Egypte.
Dopo un breve e infelice matrimonio con un giornalista egiziano che non riuscì a sopportare per più di un anno, Doria ritrovò in Francia un cugino che non vedeva da tempo, Nur Al-Din Raga’i, studente alla facoltà di legge a Parigi. I due giovani scoprirono di avere molte cose in comune e decisero di sposarsi a Parigi nel 1937. Dopo aver trascorso la luna di miele in Inghilterra, tornarono insieme al Cairo quando Nur terminò la sua tesi di dottorato, ma Doria dovette recarsi una volta ancora a Parigi per sostenere la sua tesi e ottenere così il proprio dottorato di stato.
L’art pour l’art dans l’Egypte Antique e La femme et le droit religieux de l’Egypte contemporaine furono i titoli delle due tesi che scrisse alla Sorbonne, e rimasero questi i soggetti principali dei suoi studi e della sua vita. Disse più tardi che voleva fare della sua vita un’opera d’arte. Cercò anche di dimostrare come un’interpretazione corretta dei versetti del Corano avrebbe liberato le donne, anziché limitare la loro libertà.
Di ritorno al Cairo, Doria iniziò a lavorare per il ministero dell’educazione. Aveva sperato di lavorare per Huda Shaarawi che aveva fondato una rivista di lingua francese, «L’Egyptienne», ma fu ostacolata dalla direttrice della rivista, Céza Nabaraui. Fu allora invitata dalla Principessa Shivekiar, prima moglie ripudiata di Re Fuad, a dirigere una nuova rivista di lingua francese, «La Femme Nouvelle». Doria accettò la proposta e iniziò anche a pubblicare una propria rivista, «Bint al Nil» (La figlia del Nilo) sempre nel 1945, e una rivista per bambini, «Al Katkout», (Il Pulcino).
L’aiuto provvidenziale di Shivekiar significava però che Doria doveva frequentare l’entourage corrotto della principessa dove si sentiva a disagio. Alla morte della sua benefattrice nel 1946, Doria si prese carico personalmente della rivista francese «La Femme Nouvelle» e continuò a pubblicare «Bint Al-Nil» grazie all’aiuto morale e materiale di suo marito, che si era affermato brillantemente nel mondo del foro.
Fu la morte di Huda Shaarawi alla fine dell’anno 1947 a farle desiderare di assumere la leadership della lotta femminista e a determinare la sua entrata nell’arena politica egiziana. Doria lesse un discorso alla commemorazione della sua protettrice, nel quale esprimeva i punti fondamentali del suo pensiero: «Questo quarantesimo giorno dalla morte di Huda Shaarawi dimostra il peso di tutto ciò che ha fatto per gli egiziani e per tutti i popoli dell’oriente. Ricordatevi di lei, perché il ricordo serve a rinforzare la fede e perché essa ha lottato per creare una società fiera e colta. Ricordatela fino a quando capirete il vostro debito nei suoi confronti. È vissuta per voi ed è anche morta per voi. Ed io mi accerterò che il nostro lutto ci serva a continuare quello che lei ha iniziato... dovete consolidare il suo ricordo lottando. Se le donne imparano a leggere e scrivere, se vanno all’università, se lavorano nei campi, se vanno nei ristoranti e se un giorno entreranno in parlamento, tutto ciò servirà a ricordare Huda Shaarawi molto meglio delle nostre lacrime e dei nostri lamenti per la sua morte.»
Da quel momento in poi, Doria iniziò una lotta ininterrotta per i diritti delle donne e per farle entrare in parlamento. Le sufragette chiedevano di partecipare alle decisioni politiche ed amministrative, dato che avevano condotto l’amministrazione delle città in tempo di guerra. E cercavano di ottenere la libertà individuale che avrebbe permesso persino alle donne ripudiate di sopravvivere in un modo accettabile nella società.
Doria ebbe due figlie, Aziza, nel 1942 e Jehan due anni dopo. Sognava per le sue bambine un futuro di giustizia, di partecipazione, di responsabilità e di libertà. Era cosciente del fatto che qualcuno doveva intervenire subito per portar avanti la lotta della leader deceduta del movimento femminista. Fu allora che Doria decise di adottare una specifica agenda. Era arrivato il momento di riorganizzare l’azione femminista ed il suo programma era semplice e chiaro.
Iniziò subito con il parlamento; nel 1951 convocò tutte le donne, vicine e lontane, a partecipare con lei ad una vera e propria occupazione della camera durante una sessione in corso, per chiedere la partecipazione delle donne alle prese di decisione e al suffragio. Doria venne allora arrestata in quanto leader delle manifestazioni, ma il processo fu rinviato sine die.
La disfatta del 1948, dovuta in gran parte alle armi avariate comprate dalle autorità egiziane, fu seguita da manifestazioni popolari antigovernative e dalla proibizione, da parte del governo della monarchia egiziana, del passaggio nel Canale di Suez delle navi dirette verso Israele. Nel 1951, queste manifestazioni divennero un fenomeno di massa, e dei “battaglioni di liberazione” si lanciarono contro le forze inglesi nella zona del Canale. Il Primo Ministro e presidente del partito Wafd, con il consenso della Camera, decise allora di abrogare unilateralmente il trattato anglo-egiziano del 1936, perché tale trattato permetteva alle forze britanniche, decenni dopo la fine dell’occupazione, di gestire il traffico del Canale di Suez senza fare riferimento alle autorità egiziane e permetteva anche la permanenza dei soldati inglesi nelle città del canale, incluse Ismailia, Port Fouad e Port Said. Gli egiziani d’altronde esigevano il ritiro completo degli Inglesi da tutta la zona del Canale di Suez, e quindi bloccarono i rifornimenti alimentari alla zona del canale. Nel Gennaio del 1952 i militari inglesi, oltre a distruggere un villaggio vicino ad Ismailia, massacrarono una cinquantina di poliziotti egiziani nel loro quartiere generale, perché questi rifiutavano di alzare le armi contro i loro connazionali insorti. Ci furono anche un centinaio di feriti. La reazione degli egiziani fu immediata, e il 26 Gennaio del 1952 le masse popolari scatenate nelle strade del Cairo bruciarono le proprietà ed altri simboli della presenza occidentale nella città. Alla fine del cosiddetto “sabato nero”, 750 mila stabilimenti erano stati bruciati o demoliti. C’erano decine di morti e centinaia di feriti. I Liberi Ufficiali, un gruppo di militari inorriditi dall’aver dovuto battersi praticamente senza armi funzionanti, decisero allora di prendere il potere, sotto la presidenza del Generale Mohamed Naguib.
Nonostante la pesantezza della situazione politica, o forse proprio per quella, Doria si sentiva in dovere di accelerare la messa in opera del suo programma femminista e politico e decise allora di presentarsi alle elezioni, seppur illegalmente, dopo aver fondato il partito delle donne, denominato “Bint al Nil”. Dopo il putsch miltare del 23 Luglio 1952, i Liberi Ufficiali decisero di abrogare la costituzione egiziana, di nazionalizzare la stampa, di abolire i partiti politici e di nominare una commissione di cinquanta uomini per mettere a punto la nuova costituzione. Doria rimase allora senza un suo partito politico, ma pur sempre convinta che il nuovo presidente della repubblica, il Generale Mohamed Naguib, avrebbe appoggiato il movimento femminista. Quando Naguib fu obbligato a dimettersi nel 1954, il nuovo presidente Gamal Abdel Nasser impose la legge marziale, la dissoluzione dei partiti, ed il rinvio indefinito delle elezioni. Le donne rimasero allora senza alcuna speranza di partecipare alla vita politica e senza il diritto di voto. Doria, insieme ad otto donne membri della sua associazione, iniziarono allora uno sciopero della fame di otto giorni nella sede del sindacato dei giornalisti, per protestare contro l’esclusione delle donne dalla commissione incaricata di formulare la nuova costituzione.
Nell’Aprile del 1955, il Presidente Nasser si recò a Bandung dove incontrò il Primo Ministro indiano Jawaharlal Nehru, Il Presidente jugoslavo Maresciallo Josip Broz Tito e il Premier cinese Ciu-En-Lai a Bandung. L’Egitto divenne membro del movimento dei Paesi non allineati. Un anno più tardi, la nuova costituzione egiziana entrò in vigore. Il suffragio fu finalmente concesso sulla carta alle donne, ma tutte le organizzazioni non governative furono bandite e furono tutte affiliate al ministero degli affari sociali. Un articolo della nuova costituzione limitava il suffragio delle donne a quelle fra di loro che erano educate, mentre lo stesso limite non era imposto agli uomini.
Rimasta senza partito, senza organizzazione e senza alcun modo di protestare a disposizione, Doria decise, dopo un anno di disperazione, di iniziare un’altro sciopero della fame il 6 Febbraio del 1957. L’influenza di Gandhi era notevole in Egitto. Essendo amica dell’ambasciatrice indiana, Doria decise di recarsi all’ambasciata per iniziare a digiunare senza incorrere in minacce d’arresto. Le sue richieste erano chiare e nascevano dal suo amore per la giustizia e la libertà: esigeva la fine della dittatura in Egitto, ed il ritiro delle forze israeliane dai territori egiziani occupati durante l’aggressione tripartita del 1956.
Questa volta la reazione presidenziale fu immediata. Doria, accusata di tradimento, fu messa agli arresti domiciliari. Le sue riviste, come la sua casa editrice, furono chiuse definitivamente, e tutti i suoi scritti furono distrutti. Inoltre, il suo nome fu bandito da tutte le pubblicazioni. Iniziò allora per lei un lungo periodo di reclusione nel suo appartamento di Zamalek. L’intervento di Nehru convinse Gamal Abdel Nasser a non brutalizzarla ulteriormente. Le sue colleghe del movimento femminista, ormai messe a tacere, la derisero e l’abbandonarono alla solitudine dell’esilio nella propria casa. Nasser, considerato dal suo popolo l’eroe, il principale esponente della liberazione dell’Egitto, in realtà basava il suo potere sulla repressione della parola e della libertà di agire dei dissidenti. Doria perse allora completamente la libertà che aveva desiderato tanto per se stessa e per tutto il popolo egiziano.
Fu allora che iniziò a scrivere la propria autobiografia. La scrisse ben due volte in francese, e una terza volta in inglese. Le sembrava di vivere all’inferno. Secondo Winnicott «quando si legge di individui dominati a casa, o che passano la loro vita in campi di concentramento o in uno stato di persecuzione perenne a causa di un crudele regime politico, la prima cosa che uno pensa è che soltanto poche di tali vittime rimangono creative. Questi naturalmente, sono quelli che soffrono.» Questo fu il caso di Doria, la quale scrisse volumi di poesie come Les Larmes d’Isis e Avec Dante aux Enfers. Aveva già scritto un romanzo, L’esclave Sultane, nel 1951. Scriveva per sopravvivere all’isolamento che la soffocava. Si sentiva vicina a Dante in esilio, costretta come era stato lui a creare le bolgie immaginarie del suo Inferno. Aveva imparato l’italiano per leggere La Divina Commedia:
Dante!
Compagnon d’ultime voyage
mon Guide et mon Maître
comme Virgile fut le tien
Aux heures de détresse
J’accours vers toi
pour me tenir la main
et pour guider mes pas.
...
J’ai appris ta langue
pour saisir
le tréfond de ta chanson,
pour te comprendre
Nous voilà descendant
La pente d’inconnu
vers les abîmes sans fond
dans l’espoir de saisir
par-delà les cloisons des Enfers
les grands secrets
du Cœur humain.
Compagno dell’ultimo viaggio
mia Guida e Maestro
come per te fu Virgilio
Nelle ore di sconforto
ti corro incontro
mi tieni per mano
e guidi i miei passi
ho imparato la tua lingua
per comprendere
l’essenza della tua canzone,
per capirti
Ecco che iniziamo
la discesa nell’ignoto
negli abissi sterminati
nella speranza di conoscere
oltre i muri infernali
i grandi segreti
del Cuore umano.
Nel 1961 Doria fu probabilmente informata da sua figlia delle inquietanti notizie riguardanti suoi cononoscenti, come Mary Kahil, una delle sue colleghe e amiche dei tempi di «La Femme Nouvelle», che aveva voluto fare una battuta spiritosa mentre salutava il presidente Nasser ad una festa dal nunzio apostolico, dicendo «la saluto duemila volte, quanto i due mila ettari che lei mi ha portato via», riferendosi alla riforma agraria. Tutto ciò che era rimasto di proprietà della signorina Kahil era stato confiscato all’indomani di questa infelice battuta e aveva iniziato anche lei a vivere nell’isolamento.
Lo stesso anno Muhammad Shaarawi, figlio di Huda Shaarawi, fu incarcerato per aver osato criticare il funzionamento della stessa riforma agraria, soprattutto nelle lontane montagne rocciose della Siria. Successivamente, tutte le persone che Doria aveva frequentato in passato furono sottomesse allo stesso regime di miseria. La libertà di stampa e di parola che lei rivendicava da una vita divenne anatema per lo stato egiziano.
Il potere dei servizi segreti si era esteso in tutto il paese e Doria molto probabilmente perseguitata. Nel terrore generale fu abbandonata da tutti, salvo la seconda figlia, Jehan, mentre Aziza aveva dovuto emigrare in America con il marito. A questo punto, Doria decise lei stessa di vivere in isolamento nella sua casa. Scriveva, scriveva continuamente. La scrittura, pur senza speranza di essere pubblicata, non poteva esserle negata. E persino dopo la morte di Nasser, anche dopo il 1970, scelse la solitudine, nonostante il nulla osta alla sua liberazione decisa da Anwar El-Sadat. Nella sua introduzione al volume di poesie dedicato a Dante, Pierre Seghers, un amico poeta dei vecchi tempi parigini, ha descritto in termini eloquenti questo isolamento da incubo: «A quali veri responsabili… ha pagato il suo riscatto Doria Shafik? Non importa! Idealista, appassionata, Doria Shafik, ai loro occhi, si introduceva in luoghi proibiti dove i buoni sentimenti non avevano spazio. Quelli che pretendevano di salvare l’uomo dalla sua miseria da secoli si dedicavano in realtà a schiavizzarlo e a perseguitarlo ancora di più. La GIUSTIZIA, l’ASSOLUTO, la LIBERTÀ, l’AMORE, l’INFINITO, la VERITÀ, la BELLEZZA, ll BENE, di quanti battaglioni blindati disponevano queste nozioni astratte? Per scongiurare i drammi del tempo e del sangue, Doria Shafik continuava a proclamarle. Era diventata coscienza, uno sguardo implacabile, insostenibile. Una voce che parlava a nome di tutti. I Poteri non potevano più tollerarla. “Non ci sono suicidi, ci sono soltanto assassinii!” Queste parole di Pierre Reverdy sarebbero quì da meditare.»
Doria accettò di viaggiare all’estero soltanto per vedere il figlio di Aziza, nato in America. Al Cairo, viveva ormai per la piccola Nazli, figlia di Jehan, che andava a ritirare dalla scuola tutti i giorni, e con la quale chiacchierava molto, raccontandole le leggende dell’Egitto antico. Non cercava più di riallacciare i rapporti con le altre persone. Faceva quotidianamente delle camminate lungo il suo amatissimo Nilo, ma nella sua intensa vita interiore scendeva insieme a Dante negli inferi dei ricordi feriti, fino a chiedersi con grande sgomento se avesse sbagliato tutto, lei che aveva voluto fare della propria vita un’opera d’arte. I dubbi la torturavano. Nonostante la liberazione concessa dal Presidente Sadat gli occhi, le orecchie spietate che aveva sopportato a lungo attorno a sé le sembravano tuttora presenti e la terrorizzavano. Aveva scelto l’esilio interno per sfuggire alla claustrofobia.
Jehan dovette trascorrere l’ estate in Inghilterra per sostenere la sua tesi di dottorato nel 1975, e portò con sé la sua bambina. Al suo ritorno, nel mese di Settembre, trovò Doria molto stanca, agitata, irrequieta. Diceva che aveva finito di scrivere, che aveva messo tutti i suoi scritti in ordine in un baule. Un giorno, prima di rendersi al lavoro, vedendola molto fragile, Jehan le infilò al dito un suo anello incastonato con una turchese, dicendo che le avrebbe portato fortuna, e Doria rispose semplicemente «Sei la mia anima, Jehan». L’indomani, recatasi a casa di sua madre, Jehan trovò nel giardino un corpo ricoperto con un lenzuolo e circondato da una cerchia di persone. Era Doria. I pareri riguardanti questa morte sono divisi. C’è chi dice che si buttò lei stessa dal balcone, chi pensa che abbia avuto un capogiro mentre guardava sotto casa, e chi pensa addirittura che sia stata spinta a saltare.
Le donne egiziane hanno ottenuto il diritto di votare grazie al sacrificio di questa donna bella, colta e raffinata, testarda amante della giustizia, della verità e della libertà, come testimonia questa poesia dei tempi passati intitolata Sans Poids:
- Où sont vos bagages
Madame… qui faites le tour du monde?
- Je n’en ai point
Voyez-vous… je voyage
ainsi à la ronde
libérée de tout poids!
mon cœur sur la main
Tenez… le voilà !!
Mais faites bien attention
Il est de cristal.
- Dove sono i suoi bagagli
Madame… che fa il giro del mondo?
- Non ne ho.
Vede.. io viaggio
così senza meta
senza peso!
il cuore sulla mano
Ascolti... eccolo!!
Ma faccia attenzione
è di cristallo.
Il potere della parola scritta ha trionfato anche per Doria. Come diceva l’amico poeta, Pierre Seghers: «Inseguita, dilaniata, intrappolata dal tempo, la devastazione non le avrebbe però portato tutto via. Il destino Tragico... non poteva centrare la parola.»
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023