Ad un manoscritto del XIV secolo, custodito alla British Library di Londra, si deve quanto oggi sappiamo di una delle figure più affascinanti, e meno note, della mistica medievale: Cristina di Markyate. Unico caso documentato di mistica femminile anteriore a Giuliana di Norwich e Margherita Kempe, la figura di Cristina si presenta in tutta la sua potenza contemplativa e visionaria con quasi due secoli di anticipo rispetto alla temperie mistica inglese, che ha il suo epicentro nel Trecento. La Vita di Cristina di Markyate, questo è il titolo dell’unica opera attribuibile indirettamente a Cristina, è un testo anonimo e incompleto, originariamente redatto nel secolo XII da un monaco del monastero benedettino di St Albans a lei molto vicino. La vicenda biografica di Cristina (nome di battesimo Teodora) si svolge in uno dei momenti più difficili della storia medievale inglese, la transizione epocale che segue alla battaglia di Hastings del 1066, in cui i normanni avevano duramente sconfitto gli anglosassoni.
Nata da una ricca famiglia di mercanti di origine anglosassone, Cristina è una donna forte e determinata, che sceglie di consacrarsi a Cristo fin da giovanissima, pronunciando in segreto un voto di castità. Scampata a un tentativo di abuso da parte del potente vescovo di Durham Ranulfo Flambard (braccio destro di re Guglielmo il Rosso), Cristina attira su di sé la solenne promessa di vendetta del vescovo che non ne accetta il rifiuto. Come avrebbe potuto oltraggiare la giovane vergine indirettamente, se non fornendo alla famiglia un’occasione di matrimonio per la figlia? Con questo proponimento del vescovo ha inizio la strenua lotta di Cristina contro i genitori, Adautto e Beatrice, e contro il matrimonio con il giovane nobile di nome Burtredo. Cristina subisce ogni sorta di umiliazione e maltrattamento finché, trascinata sull’altare, le viene strappato il consenso maritale. Al tragico epilogo, però, segue la fuga dalla casa paterna e dal mondo: intorno al 1118, infatti, grazie all’aiuto del suo maestro, il canonico di Huntingdon Sueno, Cristina abbraccia la vita anacoretica e viene segretamente condotta alla cella di Alfwena di Flamstead. Qui trova riparo per due anni, poi viene trasferita in un eremo che godeva della protezione dell’abbazia di St Albans, un luogo in cui sarebbe rimasta molto a lungo: la cella dell’eremita Ruggero a Markyate. Gli anni trascorsi a Flamstead e a Markyate sono gli anni durissimi della reclusione: il minimo sospetto della sua presenza in quei luoghi avrebbe attirato i suoi persecutori che non si erano arresi alla sua fuga.
L’esperienza anacoretica segna anche la crescita spirituale e intellettuale di Cristina, che è un’illitterata: non è in grado di scrivere - come invece la ben più nota intellettuale del secolo XII Ildegarda di Bingen - ma legge il latino, e questo dato si registra in più occorrenze della Vita. I suoi maestri, Sueno prima e Ruggero poi, la istruiscono in materia di dottrina e nell’esercizio della meditazione e della contemplazione. Contestualmente si incrementano e arricchiscono le sue visioni spirituali ed estatiche in cui l’esperienza del divino avviene principalmente attraverso la mediazione della Vergine Maria e del Cristo. I contenuti di tali visioni non sono mai veicolati esplicitamente come delle rivelazioni dal carattere profetico, come per Ildegarda di Bingen; sono, piuttosto, rivelazioni private dotate di contenuti teologici.
A Markyate, frattanto, intorno al 1122, «mentre Cristina stava piegata sulla sua pietra e rifletteva con accortezza sulla follia dei suoi persecutori, il più bello tra i figli degli uomini si presentò da lei, attraversando la porta chiusa e sorreggendo nella mano destra una croce d’oro. Al suo ingresso, la vergine fu assalita dal terrore, ma lui la confortò dolcemente con tale consolazione: “Non temere, le disse, non sono venuto ad accrescere le tue paure, ma a rassicurarti. Prendi, dunque, questa croce e tienila con fermezza, senza inclinarla né a destra né a sinistra. Tienila sempre dritta, verso l’alto, e ricorda che io sono stato il primo a portarla e tutti coloro che vogliono recarsi a Gerusalemme devono portare questa croce”. Dopo queste parole, le porse la croce, promettendole che sarebbe tornato a riprenderla presto e svanì dai suoi occhi» (Vita, c. 39, trad. di F. P. Ammirata).
Di lì a poco Cristina viene sciolta dal vincolo matrimoniale e, con il sopraggiungere della morte di alcuni tra i suoi più efferati persecutori e della rassegnazione dei genitori, è finalmente libera di vivere come “sposa di Cristo”. Alla morte dell’eremita Ruggero, Cristina, che frattanto ha rifiutato le proposte di conduzione delle comunità femminili di Fontevrault e Marcigny giunte d’oltremare, sceglie caparbiamente di farsi carico dell’eremo di Markyate. Intorno al 1130, entra in contatto con il suo terzo maestro, l’abate Goffredo di St Albans, uomo potente e sensibile alla religiosità femminile, che aveva già promosso la fondazione del convento di Sopwell per le "sanctae mulieres” dell’eremitaggio del bosco di Eywoda. All’abate Goffredo si deve la fondazione del convento di Markyate affinché Cristina, dopo la professione monastica a St Albans, possa “guidare e istruire” le sue discepole; allo stesso si attribuisce la commissione del Salterio di St Albans in favore di Cristina – oggi considerato la più preziosa opera miniata del romanico inglese. La narrazione della Vita s’interrompe misteriosamente intorno al 1140, qualche anno prima dell’erezione del convento di Markyate. Grazie ad alcune fonti si ha notizia di due ulteriori fatti che ci permettono di stabilire che almeno fino al 1155 Cristina è ancora in vita: la realizzazione di tre mitre e dei sandali portati in dono a papa Adriano IV dall’abate di St Albans Roberto di Gorham e la dotazione economica da parte di re Enrico II in favore di Cristina e della sua comunità. Dopo il 1155 non si hanno più notizie della priora visionaria, né di un suo culto.
La difficile vicenda esistenziale di Cristina è un frastagliato cammino di autodeterminazione in cui tutto si muove e si svolge su un unico filo conduttore: la sua potenza visionaria. Le visioni di Cristina non sono solo vissuti spirituali propedeutici alla contemplazione di Dio. Esse sono determinanti nelle ricadute che hanno sulla sua vicenda personale. Le visioni, infatti, appongono un sigillo solenne sulle scelte e sui momenti più importanti della vita di Cristina, quali ad esempio la scelta definitiva di Markyate, sancita da una visione della Vergine Maria, o l’incoronazione degli angeli quale conferma della sua verginità. E ancora, il valore delle visioni si esprime nel portato teologico intrinseco. Cristina, infatti, veicola le sue idee, a volte speculari al sentire della sua epoca ed altre in contrasto con le posizioni dominanti nel dibattito teologico-speculativo, attraverso l’unico linguaggio di cui dispone, quello delle visioni (e non della scrittura), la cui garanzia d’autorità risiedeva proprio nella trascendenza della fonte. Ecco un enigmatico ritratto di Maria che Cristina restituisce attraverso una sua visione: «La serva di Cristo si vedeva immobile e imperturbabile con la Regina del cielo inaspettatamente in piedi davanti a lei. Mentre ne ammirava la bellezza del volto e la guardava con grande trasporto, la Vergine le disse: “Perché mi ammiri fino a tal punto? Sono la più grande tra le donne. Vuoi sapere quanto? In piedi, da qui, tocco facilmente il punto più alto del cielo con una mano”...» (Vita, c. 25, trad. di F. P. Ammirata).
The St Albans Psalter, a cura di O. Pächt – C. R. Dodwell – F. Wormald, Londra 1960
Il sito dell'Università di Aberdeen The St Albans Psalter
Referenze iconografiche: Cristina di Markyate nei Salmi di San Albano, 1120-1145. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023