«Se Dio è amore, chiunque ama l'amore ama Dio»[1]. Queste parole di Sant'Agostino potrebbero riassumere la vita di Caterina Fieschi Adorno, meglio conosciuta come Santa Caterina da Genova, poiché tutto il suo cammino terreno non fu altro che un percorso d'amore verso Dio e verso gli uomini.
Caterina venne alla luce a Genova, ultimogenita dei quattro figli di Giacomo Fieschi e Francesca Di Negro, entrambi appartenenti a famiglie nobili del genovesato. La tradizione ne assegna la nascita al 1447, in quanto si sa che il padre morì prima della nascita della bambina e Francesca Di Negro risulta vedova già il 16 settembre del 1446. Dei suoi primi anni di vita poco si sa storicamente, se si tralasciano i racconti del primo biografo che, secondo la prassi dell'agiografia, vede già nell'infanzia e nella fanciullezza operanti in lei i segni della Grazia. Quel che è certo è che i costumi dell'epoca volevano che per le fanciulle fossero limitati i contatti con l'esterno; soprattutto per i nobili, la vita doveva snodarsi tra la casa, i rapporti con i parenti più prossimi e la frequentazione della Chiesa; anche l'istruzione veniva impartita da pedagoghi scelti dalla famiglia stessa.
A tredici anni sembra che Caterina avesse già manifestato la volontà di farsi monaca, sull'esempio della sorella maggiore Limbania, ma la ragazzina, ancora troppo giovane, non poté realizzare il suo proposito. Evidentemente, però, si pensava che avesse l'età giusta per il matrimonio, in quanto fu data in sposa a Giuliano Adorno, parecchio più anziano di lei, nipote dell'ex-doge ed esponente di una delle famiglie più potenti a Genova. Il “contratto nuziale” è datato 13 gennaio 1463. La vita coniugale si rivelò ben presto difficile: Giuliano finì con il dilapidare il suo patrimonio e Caterina, almeno nei primi cinque anni di matrimonio, si chiuse in uno stato di desolazione. A questi primi anni seguirono, invece, da quanto riportano i biografi, cinque anni di svaghi e divertimenti, usati, forse, proprio come antidoto alla tristezza della vita coniugale.
È nella primavera del 1473 che incominciò il cambiamento al quale fecero seguito quattro anni di profonda trasformazione fatta di penitenze, digiuni e preghiere senza sosta, pratiche tese ad approfondire sempre più il suo rapporto diretto con Dio. Ma, invece che estraniarsi dal mondo, chiudendosi nella vita contemplativa, Caterina si adoperò per bilanciare l'ascesi e la prassi e, infatti, si diede subito al soccorso di poveri e lebbrosi.
Intanto si andava a modificare anche il rapporto con il marito. Quando Caterina venne chiamata a servizio nell'ospedale di Pammatone, i due coniugi presero la decisione di rinunciare al loro palazzo per andare a vivere in un alloggio messo a disposizione dal sanatorio. Si può presumere che il suo ingresso nella struttura sia avvenuto nel 1478 e, nonostante le difficoltà iniziali (la presenza di una nobile non dovette essere subito gradita dal personale di servizio), dieci anni dopo fu nominata “Rettora” della struttura. Furono gli anni più intensi del suo percorso mistico ed assistenziale. Intorno a lei si strinsero un gruppo di “discepoli” tra i quali si distinse il nome di Ettore Vernazza, padre di quella che sarebbe diventata la venerabile Battistina da Genova e che sarebbe poi stato il prosecutore degli ideali di Caterina.
Nell'estate del 1497 morì Giuliano che aveva accettato di vivere in castità con la moglie ed era entrato a far parte del Terzordine dei Frati Minori dell'Osservanza.
Alla fine di quello stesso anno venne fondata ufficialmente la «Fraternità del Divino Amore» su impulso di quei giovani riunitisi attorno a Caterina. In quegli anni si era diffusa spaventosamente la sifilide e i malati che ne erano afflitti erano definiti “incurabili”. La prima opera della neonata fraternità fu proprio la creazione di un ospedale, chiamato, usando un gergo marinaresco, “Ridotto”[2], per questi malati, rifiutati da tutti gli altri nosocomi, una nuova struttura che divenne modello per altre regioni in Italia, come Roma e Napoli. Un'attenzione particolare fu, poi, dedicata al problema del numero, sempre più elevato, dei bambini “esposti”, ovvero abbandonati alla nascita.
Caterina, però, non fu solo donna d'azione, ma anche persona in dialogo con religiosi e dotti del suo tempo, capace di produrre un proprio pensiero su importanti questioni filosofiche e teologiche. Tuttavia, per quello che a noi è dato di sapere, Caterina non scrisse nulla di suo pugno, ma il materiale che oggi ci resta, come, ad esempio, il Trattato sul purgatorio e il Dialogo, è frutto delle interpolazioni dei suoi discepoli più vicini che annotarono e ricordarono le conversazioni con la santa.
La salute di Caterina andò via via peggiorando, pur non riconoscendo i medici alcuna malattia e non trovando rimedi alle sue pene, e nel 1510 la situazione fisica degenerò, parallelamente a un'acutizzazione delle visioni e delle manifestazioni estatiche, finché si spense il 15 settembre di quello stesso anno. Di lei possediamo quattro testamenti nei quali traspaiono anche la tenerezza di Caterina verso le persone che l'aiutarono nella sua vita materiale e anche verso una figlia naturale di Giuliano, nata fuori dal matrimonio.
Venne beatificata da Clemente X nel 1675 e fatta santa il 30 aprile 1737 da Clemente XII. Oggi il corpo è conservato nella chiesa della SS. Annunziata di Portoria, a Genova, esposto alla venerazione dei fedeli.
NOTE
1. AGOSTINO, Commento alla prima lettera di Giovanni, in Amore Assoluto e Terza Navigazione, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2006, p. 443.
2. Il «Ridotto» è l’insenatura di fortuna in cui trova riparo la nave sorpresa dalla burrasca.
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U. Bonzi, Santa Caterina da Genova, Marietti, Genova 1961-1962
C. Carpaneto Da Langasco, La santa di Genova. Caterina Fieschi Adorno, De Ferrari, Genova 2008 </p
Referenze iconografiche: Santa Caterina da Genova, dipinto di Giovanni Agostino Ratti. Foto di Davide Papalini. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023