Il sapere è utile non già in sé, ma per il bene che fa a chi lo riceve.
(da una lettera al fratello Eugenio Sforza, 1844)
La vita di Bartolommea (Bartolina) Giorgini-Bertagnini – madre, moglie ed educatrice, pervasa da una profonda fede religiosa – ha valore di documento per la storia italiana del Risorgimento. La sua opera di alfabetizzazione dei fanciulli indigenti fu un esperimento spontaneo che dettò un cambiamento generazionale e assurse il suo paese natale e le vallate circostanti a oasi di istruzione ed elevazione morale.
Bartolina nasce a Montignoso (allora “di Lunigiana”, nell’odierna provincia di Massa Carrara) il 24 febbraio del 1810. Figlia unica di Bartolommeo Giorgini, rimase già nel ventre materno orfana di padre che morì a ventun’anni, il 30 ottobre del 1809. La madre, Maria Domenica Vietina, si risposò il 13 settembre 1813 con Giuseppe Sforza da cui ebbe altri due figli, Eugenio e Pietro.
Trascorsa l’infanzia al collegio femminile di Lucca, Bartolina fece ritorno a Montignoso alla vigilia delle sue nozze, avvenute il 31 luglio 1824, all’età di quattordici anni. Sposò Pietro Bertagnini, guardia nobile della Duchessa di Lucca Maria Luisa di Borbone, di dieci anni più grande. Dal matrimonio nacque, il 15 agosto 1827, l’unigenito della coppia, Cesare, promessa della chimica organica, scomparso prematuramente a trent’anni.
A Montignoso, Bartolina visse quasi ininterrottamente gli ottantasei anni della sua vita, intrecciata per parentela e amicizia alle vicende delle tre grandi famiglie che fecero la storia del paese e, in parte, dell’Italia: Giorgini, Sforza e Bertagnini. Nella sua casa, il “Palazzo del Loco” – nell’odierna frazione di Capanne, in Via del Palazzo – fu la maestra non solo del proprio figlio, ma anche di quelli dei contadini impiegati nei terreni del marito. Qui, nel 1840, istituì una scuola di mutuo insegnamento, una sorta di laboratorio pedagogico che si proponeva di alfabetizzare i bambini dai sei ai tredici anni. Il 2 ottobre 1842, in occasione della distribuzione annuale di premi agli alunni, affermò la sua volontà:
Io mi adoprerò per quanto posso, e per quel poco che io sono, nel dirigere al bene la volontà di questi fanciulli, valendomi de’ mezzi che mi presenta la scuola al fine di fare ad essi apprendere e sentire i propri doveri e come cristiani e come cittadini
E poi, rivolgendosi direttamente ai suoi “cari bambini”, dichiarò la sua gratificazione:
voi che assorbite gran parte de’ miei pensieri e delle mie giornaliere occupazioni, secondate le mie cure, e le mie fatiche; e se queste mi hanno dato alcun diritto alla vostra riconoscenza, se nel vostro cuore si nutre un qualche tenero sentimento per chi vi ama come figli, sappiate che nella vostra buona condotta, ora ed in avvenire, sta solo riposta la ricompensa, e la prova di affetto, che io attendo da voi.
Quest'opera pionieristica riscosse l'ammirazione del Duca di Lucca, Carlo Lodovico di Borbone, che la sostenne economicamente e moralmente, donando gran parte del mobilio necessario per l'attività didattica e stanziando una gratifica mensile da assegnare ad un coadiutore scelto da Bartolina stessa. Il Duca stimolò l’apertura, nel 1851, della scuola di carità per giovani bisognose nella vicina Carrara da parte della Contessa Maria Antonietta Grandi in Lazzoni, che aveva frequentato l’ambiente scolastico di Montignoso. Carlo Lodovico fu anche vicino ad altri educatori italiani, come Raffaele Lambruschini, Pietro Thouar, Enrico Mayer, Luigi Alessandro Parravicini, con cui scambiò vari carteggi.
Il confronto con l’operato altrui suscitava in Bartolina riflessioni amare, come quella condivisa con il fratello Eugenio in una lettera del 1844:
quando tutti questi educatori toscani e lombardi avranno insegnato a leggere e a scrivere a tutti, qual guadagno ne avremo noi, ne avrà la patria nostra, se un’opera costante di aiuto morale, di consiglio spirituale non guida e sorregge i poveri e gli umili che altrimenti ricadano in balia di sé stessi? Io, a Montignoso, so per nome tutti i miei contadini, con tutti mi intrattengo, tutti ho d’occhio.
La “Signora”, come veniva chiamata per antonomasia, aveva costituito anche una biblioteca circolante con testi da lei selezionati e commentati nelle riunioni serali sul prato davanti alla villa. Vittoria Manzoni Giorgini (figlia di Alessandro Manzoni, moglie di Giovan Battista Giorgini e amica sororale di Bartolina) ricordò, in una lettera alla figlia, con affettuosa nostalgia quel prato come luogo di incontro, conversazione e sperimentazione, su cui affacciava il laboratorio di Cesare Bertagnini.
Egli, scrisse Vittoria, che “era allora pieno di ardore e di entusiasmo per i suoi studi di chimica” – intrapresi nel 1844 all’Università di Pisa con il Professor Renato Piria –, “aveva l’anima e la mente di sua madre, ossia l’anima più elevata e più pura, la mente più chiara e più fine che si possano sortire dalla natura” e, inoltre, “aveva tanta affinità morale” con sua sorella Matilde Manzoni, anche lei frequentatrice di casa Bertagnini.
Nel consesso scientifico-letterario del “Palazzo” a Montignoso e dell’amica casa Giorgini a Massarosa, vi furono ospiti letterati (Alessandro Manzoni, Giuseppe Giusti, Antonio Rosmini), scienziati (Stanislao Cannizzaro), politici (Massimo d’Azeglio, Gino Capponi).
Qui si scambiavano, avanzandole, le idee nuove di Unità d’Italia, che portarono, nel 1848, Giovan Battista Giorgini ad aderire alla causa della I Guerra d'Indipendenza. Giorgini condusse la prima compagnia del battaglione universitario toscano nelle battaglie di Curtatone e Montanara, cui parteciparono Cesare e altri giovani montignosini. Ai suoi ex-scolari la Signora indirizzò una commossa lettera di ammirazione e sostegno.
In quello che fu l’ultimo, intenso decennio di vita del figlio, Bartolina scambiò con lui – impegnato prima al fronte e poi nell’attività didattica e di ricerca, in Italia e all’estero, fino ad ottenere nel 1856 la cattedra di Piria – moltissime lettere, ricche di consigli, preoccupazioni materne e notizie sulla situazione domestica. Madre e figlio si riuniranno, a causa delle gravi condizioni di salute di lui, il 14 ottobre del 1857 a Viareggio, dove Cesare fu costretto a rientrare da un periodo di insegnamento a New York. Qui, con il costante conforto di lei, morì di tisi il 23 dicembre dello stesso anno. “Quale perdita per la scienza, per l’Italia, per gli amici! Non mi sento quasi il coraggio di nominar quella tanto eccellente e tanto profondamente ferita madre”, scrisse Manzoni.
Tra le tante dimostrazioni di affettuoso cordoglio che arrivarono a Bartolina, e tramite lei al marito, vi furono le lettere degli stimati colleghi del figlio, Piria e Cannizzaro, e dell’amica Luisa d’Azeglio (seconda moglie di Massimo D’Azeglio e nipote acquisita di Manzoni).
Fu anche nella scrittura di numerose lettere a parenti (ai fratelli Eugenio e Pietro Sforza, alla cognata Marianna Gabrielli, alle nipoti Sofia Sforza Bardi-Reid e Domenica Sforza Lazzoni) e amici (Giovan Battista Giorgini, Vittoria Manzoni, e la loro figlia Matilde Schiff-Giorgini) e di quaderni personali, che Bartolina sfogò il dolore per la perdita del suo amatissimo figlio. Nel febbraio 1858, in Appunti, e cose su Cesare, elencò una serie di norme autoimposte per “impiegare cristianamente quel resto di vita che il Signore mi destina dopo la mia disgrazia”, proponendosi di raccogliere e riordinare gli scritti di Cesare per la loro pubblicazione. Si sforzò anche di ripercorre la vita del figlio nel quaderno Rimembranze dolorose e di riportarne dettagliatamente le condizioni, fisiche e dello spirito, durante il periodo da allettato in Memorie degli ultimi giorni del mio povero Cesare.
Bartolina morì, circondata “dalla venerazione e dall’affetto universale” (parole del suo erede Giovanni Sforza), il 9 settembre 1896 e da allora riposa nel cimitero di Montignoso, nella cappella dei conti Sforza. Nel 1957, in occasione del centenario della morte di Cesare, due targhe – una per lui e una per la madre – vennero apposte sul “Palazzo del Loco” (al tempo, e fino alla metà degli anni 1960, scuola elementare di Capanne). Queste permangono, ma il “Palazzo” è ormai residenziale e la scuola “B. Bertagnini” di Capanne si trova oggi in Via Carlo Sforza. La targa per Bartolina riporta:
Ricordate, o Montignosini, che alla prima scuola civica e moderna, fondata e tenuta per zelo umanitario da BARTOLINA BERTAGNINI GIORGINI (1810-1896), madre esemplare e maestra di Cesare – al quale ella dedicò nel sacrificio e nel ricordo tutta la vita – le generazioni dei padri furono educate alla virtù nella fede in Dio e nell’amore per l’Italia.
Riponendo nell’insegnamento, e nell’istituzione stessa della scuola, il fondamento per la costruzione di un futuro dignitoso, Bartolina fu un’educatrice eccezionale ed una mente eletta del suo tempo.
*voce a cura di: Chiara Chioni
Nata a Massa nel 1994, laureata in Ingegneria Edile-Architettura all’Università di Pisa, è dottoranda e assegnista di ricerca all’Università di Trento presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica. Partecipa al gruppo SCRIBUNT: (Gruppo di) Scrittura di Biografie - Università di Trento (referenti Maria Barbone; Susanna Pedrotti; Lucia Rodler). Per la memoria storica e il supporto nella stesura di questa voce, desidera ringraziare la nonna, Luciana Vietina, e la mamma, Anna Baldi.