Un caso di oblio questo di Anna Maria Bruzzone che se fosse un uomo sarebbe nelle antologie, essendo donna è stata dimenticata.Dacia Maraini, Quante Storie, puntata del 29 aprile 2021.
Mi interessavano anche altre forme di esclusione, parziale o totale, di cui scorgevo i vicendevoli legami, quali la condizione di esclusa della donna, la sua opera misconosciuta nella Resistenza, la deportazione femminile nei Lager nazisti: soprattutto mi appassionava il colloquio con chi le aveva patite o le pativa, e sentivo come una battaglia umana e politica l’ascoltare attentamente quelle voci portatrici di una loro straziata sconosciuta ricchezza e di denunzia e di accusa, e perciò anche di guida per il futuro, magari non cercate ma fortissime perché inerenti alle cose stesse, e il diffonderle. Anche il lavoro di insegnante che da parecchi anni facevo si inseriva a suo modo in questo disegno. Anna Maria Bruzzone, Ci chiamavano matti, Einaudi, Torino 1979, p. 7.
Anna Maria Bruzzone nasce il 19 luglio 1925 in una cittadina del cuneese, Mondovì, da un padre insegnante di matematica e una madre casalinga. Alla morte del padre Giuseppe, Anna Maria viene cresciuta dalla madre Isabella, insieme alla sorella minore Antonietta a cui resterà legata tutta la vita. Il contesto provinciale e conservatore di Mondovì le sta da subito stretto e comincia a frequentare l’ambiente della città di Torino, dove frequenta l’università. Si laurea in Lettere e comincia a lavorare come docente di materie letterarie e latino negli Istituti Magistrali, ruolo che ricopre fino al pensionamento nel 1990. A Torino vive il periodo delle contestazioni giovanili e dei forti ideali dell’opposizione democratica, interessandosi da subito attivamente alle cause femministe e sociali.
Durante il lavoro di tesi per la specializzazione in Psicologia all’Università di Torino, nell’estate del 1968 si reca all’ospedale psichiatrico di Gorizia - dove dal 1961 il direttore Franco Basaglia stava operando la sua rivoluzione democratica - per osservare in vivo la comunità manicomiale. Lì, armata del suo taccuino, intervista i pazienti, seguendo uno schema abbastanza libero di domande: per esempio, le cause del ricovero e della permanenza in ospedale, il possibile comportamento dei ricoverati e in particolare dell’intervistato nell’eventualità di un allontanamento dall’ospedale dell’équipe innovatrice, e i rapporti fra i brevedegenti e lungodegenti, ma intorno a essi ognuno degli intervistati spaziava liberamente. Si veniva così costruendo la storia di vita.
I dialoghi con i pazienti confluiscono nella sua tesi sulle devianze; e in un convegno sulla ricerca storica, tenutosi anni dopo a Bologna, nel 1982, Anna Maria Bruzzone non nega di aver provato un certo senso di colpa per quella che lei definisce «pretesa di entrare, come per carpirlo, nel segreto di esistenze fatte di umiliazioni, di dolore, di miseria», soprattutto nei confronti delle donne, che vede ancor più provate dalla degenza istituzionale.
L’interesse per i ruoli marginali(zzati) della società l’accompagna e la guida nelle sue ricerche; scrive:
da come vengono trattati i deboli si valuta una società, da quanto essa si avvicina o si allontana rispetto a un’immagine ideale di società che non si accanisca sui deboli ma li aiuti a rafforzarsi o, se del tutto incapaci, senza mai considerarli perduti dia loro quanto di più bello e dolce la vita può offrire, a compenso della crudeltà della natura matrigna.
Chetatisi i tumulti - sorti nella prima metà degli anni ‘60 per l’influsso delle proposte basagliane - per la deistituzionalizzazione dei pazienti al manicomio di Racconigi, dal settembre del 1969 al marzo del 1970, come iscritta all’Associazione per la lotta contro le malattie mentali, vi entra come volontaria con tre scopi: essere testimoni in difesa dei ricoverati, organizzare attività con loro e anche provocare o coadiuvare un inizio di crisi nell’istituzione tradizionale.
Annota in un diario le memorie di quei giorni. Trasferitasi stabilmente a Torino, insegna all’Istituto Magistrale Antonio Gramsci, ex sede dell’Istituto di correzione Cesare Lombroso, oggi dell’Istituto Superiore Albert Einstein. In quel periodo conosce Rachele Farina, insieme alla quale, abbracciando la causa femminista, raccoglie le interviste a dodici donne piemontesi, di famiglia proletaria e di orientamento comunista e socialista, impegnate nella lotta antifascista durante le Guerre di Liberazione. Il volume, pubblicato nel 1976 con Rachele Farina, si intitola proprio La Resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi.
Sempre a Torino consolida il rapporto con la compaesana Lidia Beccaria Rolfi, e con lei instaura un intensissimo rapporto di collaborazione e amicizia. Insieme a Lidia raccoglie e pubblica, nel 1978, Le donne di Ravensbrück, interviste a quattro donne deportate nel campo di sterminio di Ravensbrück, che raccontano, insieme alla stessa Lidia, deportata nel 1944, gli orrori e le oppressioni dei Lager nazisti. In quegli anni, continua il suo lavoro di riscoperta e narrazione delle vite nei campi di concentramento e collabora assiduamente con l’Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti (ANED), riconoscendo anche il profondo valore paideutico delle testimonianze raccolte: nel trattare l’argomento della Seconda Guerra Mondiale con i suoi studenti di scuola superiore, Anna Maria Bruzzone racconta di far spesso ricorso alla viva voce dei deportati.
Dai primi di luglio alla fine di agosto del 1977 rientra nei confini manicomiali, grazie all’amicizia con Agostino Pirella, direttore dal 1971 dell’ospedale psichiatrico di Arezzo. Ad Arezzo torna a dialogare con i pazienti psichiatrici, stavolta, però, avendo affinato il suo metodo di ricerca, registratore alla mano, e con uno scopo diverso dalla ricerca per la tesi del ‘68: intendevo pubblicare le testimonianze che avrei raccolto, usarle nella battaglia non ancora vinta contro i manicomi.
Pubblica, quindi, nel 1979, il volume Ci chiamavano matti, una riflessione profonda e originale - attraverso il dialogo coi pazienti e dal loro punto di vista - sulle radicali modifiche apportate dalla Nuova Psichiatria. È una ricercatrice mai condizionante, la Anna Maria Bruzzone che lavora a queste interviste; «Vuole che riascoltiamo tutta l’intervista?», chiede a un paziente, per sincerarsi la sua approvazione a quanto registrato. Altrettanto delicatamente e rispettosamente si approccia all’essenziale rielaborazione delle interviste audio per adattare il parlato allo scritto, rendere il discorso fruibile e il messaggio quanto più divulgativo possibile. Dal 1982 al 1985 collabora, con ruoli di coordinamento scientifico e impegno diretto nella raccolta dei dati, al progetto dell’Archivio della deportazione piemontese.
Nel 1995 esce il volume In guerra senza armi. Storie di donne. 1940-1945, frutto dell’intenso lavoro condotto e coordinato con la storica e amica Anna Bravo e con l’ausilio di Anna Gasco, Grazia Giaretto ed Eleonora Bisotti, le quali tra il 1986 e il 1993 raccolgono, sistemano e trascrivono le interviste e videointerviste a donne piemontesi che hanno partecipato alla resistenza duranti gli anni bellici (nel libro confluiscono 125 testimonianze, ma la raccolta è stata molto più ampia, comprendendo più di 8000 pagine di trascrizioni, depositate all’Istituto storico della Resistenza, in Piemonte). Alla base dello studio sottende la proposta di un cambiamento di rotta, un cambiamento di punto di vista sul ruolo delle donne nel periodo della Resistenza, da sempre narrate come semplici collaboratrici, adesso mostrate come parte attiva alla lotta civile: una risposta forte all’Italia e agli Stati europei che «hanno preso a simbolo della rinascita postbellica la figura minoritaria del giovane maschio combattente».
Come docente, Anna Maria Bruzzone si è impegnata anche nella redazione di volumi di grammatica e antologici per le scuole e nel 2002 si cimenta in un libro di filastrocche e storie in rima per l’infanzia. Sui suoi ultimi anni non sappiamo molto. Ci restano, però, alcuni pensieri di chi ha lavorato con lei e non ha mai smesso di riconoscerne il pregio scientifico, umano e civile.
Nel 2019, in occasione del lavoro postumo di ripubblicazione e ampliamento del lavoro Ci chiamavano matti. Voci dal manicomio (1968-1977), Anna Bravo scrive alle curatrici del volume: «Se c’è una pensatrice e ricercatrice che può insegnarci ancora tanto, questa è Anna Maria».
L’attivista Enrico Peyretti, del Centro Studi Sereno Regis, in un articolo in memoria chiosa: Negli ultimi anni Anna Maria ha sofferto la debolezza fisica, l’impossibilità di partecipare alle attività, e la solitudine conseguente. La rimpiangiamo con pena, ma anche la custodiamo viva nella memoria del cuore e della cultura.
Anna Maria Bruzzone muore il 24 febbraio 2015, nella sua cara Torino. Il suo inestimabile archivio orale di interviste, unicum nel panorama europeo, è stato scoperto nel 2016 grazie all’intuizione e al lavoro di Silvia Calamai e alla collaborazione di Paola Chiama, nipote di Anna Maria Bruzzone, che ha generosamente donato tutti i nastri all’Università di Siena.
*voce a cura di Lucia Raggio. Attualmente è dottoranda all’Università di Trento con un progetto sull’analisi linguistica dei documenti custoditi all’Archivio Storico dell’ex Ospedale Psichiatrico di Pergine Valsugana (TN). Ha collaborato alla raccolta e all’analisi delle registrazioni orali del corpus CIPP-ma, approfondendo soprattutto le disfluenze nel parlato di pazienti con malattia di Alzheimer. Si interessa di sociolinguistica in chiave sincronica e diacronica, parlato e scritto patologico e linguistica dei corpora. Partecipa al Gruppo SCRIBUNT: gruppo di Scrittura di Biografie- università di Trento (referenti: Maria Barbone, Susanna Pedrotti, Lucia Rodler).
Bravo, A., & Bruzzone, A. M. (2000). In guerra senza armi : storie di donne : 1940-1945. Laterza.
Bruzzone, A. M., Setaro, M., & Calamai, S. (cur.).(2021). Ci chiamavano matti : voci dal manicomio : (1968-1977). Il Saggiatore.
Bruzzone, A.M. (1983). Le ricoverate negli ospedali psichiatrici di Gorizia (1968) e di Arezzo (1977). In: Fonti orali e politica delle donne: storia ricerca racconto : materiali dell’incontro svoltosi a Bologna, l’8-9 ottobre 1982 (pp. 34-40). Centro di documentazione delle donneIS.
Bruzzone, A. M., & Farina, R. (2016). La Resistenza taciuta : dodici vite di partigiane piemontesi. Bollati Boringhieri.
Beccaria Rolfi, L., & Bruzzone, A. M. (1978). Le donne di Ravensbrück : testimonianze di deportate politiche italiane. Einaudi.
Dogliotti, A. & Peyretti, E. (27 febbraio 2015). In memoria di Anna Maria Bruzzone, Non violenza. (URL consultato il 13/09/2024).
Marzano, R. (2023). Amicizia, femminismo e storia orale: uno studio su Anna Maria Bruzzone, Il de Martino. Storie Voci Suoni (Num. 36, pp. 99-105), ISRPt Editore.
Voce pubblicata nel: 2024