«Che cosa mi ha fatto sopravvivere? Il mio carattere. Il mio ottimismo e la mia disciplina. Puntualmente, ogni giorno alle dieci, io siedo al pianoforte. Tutto è in ordine intorno a me. Per 30 anni ho mangiato le stesse cose, pesce o pollo. Una buona minestra, e questo è tutto. Non bevo, né tè, né caffè, né alcol. Solo acqua calda». Così Alice Herz-Sommer, che ci ha lasciato nel 2014 all'età di 111 anni (è nata il 26 novembre 1903), spiegava il segreto della sua longevità al giornalista del quotidiano britannico «The Guardian», Alan Rusbridger (l’intervista risale al 13 dicembre 2006, quando la pianista aveva 103 anni). La faceva troppo facile, ovvio. Perché questa straordinaria musicista non ha solo vinto il tempo. Ha anche attraversato indenne le più grandi tragedie del nostro secolo. Nata da una famiglia ebraica benestante di lingua tedesca, a Praga, è riuscita, dopo il tracollo finanziario del padre legato alla Prima guerra mondiale e alla fine dell’Impero austriaco, a diventare una grande concertista. Già nel 1921 i giornali praghesi lodavano senza riserve il suo talento.
Il merito era della madre, Sofie Schultz, che poi sarebbe morta, sola, nel lager nazista di Treblinka. Il padre, Friedrich, molto più anziano di Sofie, era un industriale: non particolarmente colto, ma disposto ad allevare Alice, la sua gemella Marianne, e gli altri figli, Georg, Irma e Paul, in un clima di grande apertura. La casa era frequentata da raffinati intellettuali dell’epoca (quasi tutti ebrei), da Sigmund Freud a Franz Kafka, da Franz Werfel a Max Brod, grazie soprattutto al marito di Irma, lo scrittore sionista Felix Weltsch. La famiglia di Sofie era poi molto legata a quella del compositore Gustav Mahler, che divenne per Alice un modello, anche perché era stato un talento precocissimo. Al di là delle amicizie, però, quella ragazza piccola, perennemente sorridente, aveva dimostrato da subito di avere una marcia in più. A tre anni sedeva già al piano. A cinque prendeva lezioni. Lo stesso faceva Marianne: la differenza, però, si rivelò subito abissale. Alice non era soltanto molto dotata: era instancabile. E questo, assieme al suo ottimismo, al suo smisurato amore per la musica e per la vita, avrebbe costituito la sua forza.
Nel 1930 si spense Friedrich, e Sofie, che non aveva mai avuto un buon rapporto con il marito, dovette vendere la fabbrica. Subito dopo morì Georg, appena quarantacinquenne ma provato dall’alcol e da una vita disordinata. Nella primavera del 1931 Alice sposò Leopold Sommer, un giovanotto dall’aria seria e un po’ compassata, che aveva conosciuto nel 1925: non era un musicista professionista, ma suonava molto bene. E si rivelò un marito sensibile e attento. Lei, nel frattempo, era diventata insegnante di pianoforte. In più dava due o tre concerti all’anno, con crescente successo. All’inizio degli anni Trenta la sua fama si era diffusa in tutta Europa. Il ménage dei Sommer non sarebbe forse mai cambiato, soprattutto dopo la nascita dell’unico figlio, Stephan, il 21 giugno 1937, se sul loro Paese, sul loro popolo, sull’intera Europa non si fosse rovesciata la tragedia del nazismo. Benché allarmanti, le notizie delle deportazioni e delle persecuzioni degli ebrei tedeschi non misero in guardia quelli cecoslovacchi. Dopo l’Anschluss, l’invasione tedesca dell’Austria, dopo la fallimentare Conferenza di Monaco, del 1938, e l’invasione della Cecoslovacchia, il 15 marzo 1939, la situazione divenne insostenibile. Gran parte della famiglia di Alice emigrò in Palestina, ma i Sommer rimasero. Il 5 luglio 1943 furono deportati. Destinazione Theresienstadt, il campo di concentramento ceco dove i nazisti rinchiusero gran parte delle élites ebraiche. Grazie a una straordinaria forza d’animo e soprattutto al suo talento, che le permise di diventare una delle più tenaci e apprezzate concertiste del lager, Alice salvò la vita a se stessa e a suo figlio. Non poté nulla invece per Leopold, mandato a morire ad Auschwitz. Con un memorabile concerto dato nel 1945 alla radio di Praga, finalmente libera, Alice riuscì anche a far sapere alla sua famiglia, in Palestina, che era viva. Qualche anno dopo, quando le persecuzioni dei cechi contro chi fosse di cultura tedesca (sia pure sopravvissuto ai lager perché ebreo) si fecero insopportabili, Alice riuscì rocambolescamente a trasferirsi, con il figlio, in Israele. E lì, sempre grazie alla musica, cominciò una nuova vita. Non era ancora finita: dopo aver affrontato tutte le guerre arabo-israeliane, nel 1986 la pianista decise di trasferirsi a Londra per stare con il figlio, che nel frattempo aveva cambiato il nome in Raphael ed era diventato un apprezzato violoncellista. Stephan-Raphael è morto nel 2001. Alice ha continuato, con puntualità kantiana, a fare la sua vita regolare e a suonare il pianoforte.
Benché il suo destino sia stato così profondamente legato al fatto di essere ebrea, la pianista ha dichiarato più volte con la sua solita, orgogliosa ironia di appartenere prima di tutto alla musica. Il fatto che i suoi compositori più amati, a parte Chopin, fossero tedeschi non ha mai mutato le sue convinzioni: Beethoven è sempre stato il suo grande amore. Di più (come riportava il «New York Times» del 6 novembre 2007): «Ė un miracolo. Beethoven è la mia religione. Sono ebrea, con Beethoven come religione. Beethoven è un lottatore. Mi ha dato la fede per vivere e per continuare a ripetermi: la vita è meravigliosa e degna di essere vissuta, perfino quando è dura».
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Alice Herz-Sommer: Everything Is A Present, BBC 2001 (documentario a cura di Christopher Nupen)
Christopher Nupen, We Want The Light, Allegro Films/ Christopher Nupen Films, 2004 (documentario).
Referenze iconografiche: Alice Herz-Sommer e Luiza Borac nel 2010 a Londra. Foto di Luiza Borac. Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023