Giovanna Giaconia nasce a Palermo in una famiglia dell’alta borghesia. I figli (sette femmine e un maschio) crescono in un ambiente sereno; i genitori amano il teatro di prosa, l’opera lirica, i concerti. Giovanna ricorda la capacità del padre di affrontare ogni situazione con leggerezza e umorismo, e la forza e la bellezza della madre, Carmela Cirino, che, morto improvvisamente il marito durante la guerra, affronta le difficoltà sopraggiunte, insegnando ai figli ad accettare le contrarietà come eventi che fanno parte della vita.
Giovanna studia al Sacro Cuore, un collegio esclusivo tenuto da suore francesi che danno del lei anche alle bambine. Si laurea in lettere, ma non insegnerà, per una sua innata timidezza che le impedisce di affrontare una scolaresca; dà però lezioni private con grande entusiasmo.
Nel ’50 conosce Cesare Terranova, allora pretore in provincia di Messina, e si sposano dopo pochi mesi. Il marito si dimostrerà con lei sempre molto protettivo, ma le decisioni importanti verranni prese assieme, in particolare quelle che riguardano la carriera di Cesare, del cui lavoro Giovanna ama discutere, pur nel rispetto del segreto istruttorio.
Nel ’58 il marito ottiene il trasferimento a Palermo e già negli anni Sessanta, da giudice istruttore, si occupa di mafia e con molta profondità, forse perché molti sono i processi di mafia che si vanno accumulando sul suo tavolo, forse perché ‑ come ricorda Giovanna ‑ è il più giovane in quel momento o, ancora, perché è una persona molto disponibile. Dopo qualche anno Cesare Terranova diventa procuratore a Marsala e successivamente accetta l’offerta di candidarsi nelle elezioni nazionali come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano; entra a far parte della Commissione parlamentare antimafia. Durante il suo mandato parlamentare viene arrestato il capomafia di Riesi Giuseppe Di Cristina e sulla stampa viene pubblicata una sua dichiarazione: «Liggio ha condannato a morte il giudice Terranova». Cesare rassicura la moglie, ma scrive una lettera, una sorta di testamento spirituale limpido e toccante, che il suo legale consegnerà a Giovanna, dopo la sua morte.
Il 19 luglio del ’79 viene ucciso a Palermo il vicequestore Boris Giuliano, molto vicino a Cesare, il quale aveva deciso di tornare al suo lavoro di magistrato e chiesto il posto di giudice istruttore a Palermo. L’omicidio Giuliano mette in allarme Giovanna, e anche Cesare non riesce del tutto a nascondere la sua preoccupazione. Giovanna vorrebbe convincerlo a chiedere un’altra sede. Saputo ufficiosamente di essere stato nominato, rilascia un’intervista che viene pubblicata la domenica. Il martedì successivo, 25 settembre 1979, Cesare Terranova viene ucciso con il maresciallo Lenin Mancuso, mentre si accinge ad andare al palazzo di giustizia. Giovanna sente un gran rumore: erano i colpi di mitra. Ha un presentimento, scende in vestaglia, ma le viene impedito di avvicinarsi al corpo del marito.
«Sprofondai in un abisso senza fondo, per un po’ persi la cognizione del tempo… Poi la vita più o meno lentamente riprende, anche se una morte di questo tipo non si dimentica. Non si dimentica perché al dolore si sovrappone l’orrore, la gratuità, la volgare brutalità dell’assassinio, la violenza che colpisce pure la dignità della persona fisica».
Giovanna si costituisce parte civile nel processo intentato contro Luciano Liggio, anche se è convinta che proprio il lavoro del marito indicasse che i responsabili avrebbero dovuto essere cercati anche altrove, E accetta, lei che non aveva mai fatto attività sociale e politica di alcun genere, di far parte dell’Associazione donne siciliane per la lotta contro la mafia, di cui diventa presidente all’atto della costituzione formale (1982).
Malgrado la sua timidezza, partecipa agli incontri con gli studenti e a tutte le iniziative pubbliche dell’Associazione. Assieme alle altre socie, è accanto ad alcune donne palermitane costituitesi parte civile nei processi contro gli assassini mafiosi dei loro congiunti, donne che comprendono appieno l’importanza della loro decisione di rompere con la sudditanza alla mafia. Nell’88 riceve il premio “Donna d’Europa”.
«All’inizio l’istinto è quello di rinchiudersi nel proprio dolore, non si pensa assolutamente di mettersi in gioco. È quello che ho provato anch’io. Però poi ho avuto la sensazione di non essere la protagonista di una tragedia soltanto personale, ma di una tragedia collettiva, che il pericolo minacciava un’intera società, non solo me. È questo che spinge ad un certo punto a testimoniare, quando ci si dice che non sono fatti tuoi, ma sono fatti di tutti i cittadini. E non si deve perdere la capacità di reagire, cioè quel filo che ci lega gli uni agli altri in una società civile, che è il filo della reattività. Altrimenti si rischia di scivolare nell’indifferenza e nella rassegnazione, si rischia di dimenticare».
Il ritratto in bianco e nero di Giovanna Giaconia Terranova è di Alberto Piazza
Referenze iconografiche: Il ritratto in bianco e nero di Giovanna Giaconia Terranova è di Alberto Piazza.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023