In un certo senso, ogni vita raccontata è esemplare; si scrive per attaccare o per difendere un sistema del mondo, per definire un metodo che ci è proprio. Ma non è meno vero che le biografie in genere si squalificano per una idealizzazione o una denigrazione a qualunque costo, per particolari esagerati senza fine o prudentemente omessi; anziché comprendere un essere umano, lo si costruisce. Non perder mai di vista il grafico di una esistenza umana, che non si compone mai, checché si dica, d’una orizzontale e due perpendicolari, ma piuttosto di tre linee sinuose, prolungate all’infinito, ravvicinate e divergenti senza posa: che corrispondono a ciò che un uomo ha creduto di essere, a ciò che ha voluto essere, a ciò che è stato.
Il tempo è il protagonista principale di tutta l’opera di Marguerite Yourcenar, un tempo che si declina con le assenze, la morte, i personaggi, i libri, i luoghi, i viaggi, le figure, le metafore, i nomi e poi la scrittura che tutto unisce e fa rivivere. Nata Marguerite Antoinette Jeanne Marie Ghislaine Cleenewerck de Crayencour rimane orfana di madre dopo solo 11 giorni dalla nascita. Fernande de Chartier de Marchienne non sopravvive alla durezza del parto e muore a trentuno anni, il suo fantasma è il primo tra i molti che accompagneranno la vita della scrittrice e diventeranno poi personaggi dei suoi libri. Il labirinto del mondo, composta dai libri Care memorie, Archivi del Nord e Quoi? L’eternité, sono dedicati alla storia dei due rami della famiglia, di sua madre, di suo padre Michel Cleenewerck de Crayencour e di se stessa, in una costruzione e ricostruzione basata sugli archivi e su alcune narrazioni che, come dice la sua biografa Josyane Savigneau, esalta i sentieri minori e confonde quelli principali. Dalla mole di interviste, epistolari e volumi dove l’autobiografia è centrale, si evince che la scrittrice pensasse molto alla sua posterità, all’immagine di sé che voleva lasciare al mondo.
L’anno prima di morire bruciò nel giardino di casa una mole notevole di carte e quando inviò i propri archivi all’università di Harvard, lo fece sigillandone una parte considerevole sino al 2037, soprattutto i diari intimi e la corrispondenza amorosa con Grace Frick che fu sua compagna per quarant’anni. Prima di scrivere la ricostruzione della vita di sua madre, da quanto racconta in Ad occhi aperti. La mia vita: conversazioni con Matthieu Galey, la sua assenza non le è pesata: “Non ho mai visto una fotografia di mia madre in tutta la mia infanzia. La prima devo averla vista quando avevo forse trentacinque anni. E sono andata a visitare la sua tomba per la prima volta quando ne avevo cinquantacinque. Devo dire che mio padre era circondato da molte donne. Così, non è mai mancato chi mi facesse dei collettini di pizzo o mi regalasse dei dolci. Era tuttavia un’infanzia di bambina solitaria”. Rimasto vedovo per la seconda volta, Michel torna a vivere per qualche tempo al Mont-Noir, la casa di famiglia.
Era uno di quei francesi colti, schietti, avventurosi, straordinariamente impulsivi e indipendenti, tutto immediatezza, che si inalberava di fronte a ogni intrusione e imposizione esterna… totalmente incurante del domani (…) un letterato per amore dei libri… l’uomo più libero che io abbia conosciuto.
Sarà proprio lui a occuparsi dell’educazione della figlia, che non andrà a scuola, e a trasmetterle l’amore per i classici e per i viaggi. Condussero una vita nomade anche se Parigi era la città di riferimento, leggevano insieme ad alta voce, Shakespeare, Stendhal e Ibsen tra gli altri, analizzavano i testi e lui sapeva incoraggiarla e motivarla. Intorno ai dieci anni la bambina inizia lo studio del greco e del latino che tanta influenza avranno nel suo mondo creativo. Questo rapporto duale, insolito e fecondo è di sicuro uno degli elementi decisivi per la nascita della scrittrice. Padre e figlia saranno vicini sino alla sua morte che avviene quando lei avrà venticinque anni. Ne porterà il ricordo in sé senza particolari dolori per i trent’anni successivi quando deciderà di scrivere le memorie di famiglia. Una delle peculiarità della vita letteraria di Yourcenar è proprio questa lunga convivenza interiore, questa intimità con i personaggi che dalla sua mente prendono vita sulla carta dopo decenni. I due esempi più esemplari sono Adriano e Zenone, concepiti in gioventù e diventati libro solo quando ormai la scrittrice è nella piena maturità e vecchiaia.
Memorie di Adriano fu scritto negli anni della giovinezza e poi abbandonato in un baule che le verrà recapitato nel 1949 quando lei vive ormai stabilmente a Mount Desert nel Maine con Grace. Lì aveva iniziato una nuova vita e anche il vecchio imperatore trova una nuova voce e un nuovo slancio. Rispetto alla sua dimensione spirituale, Yourcenar nega di avere avuto turbamenti mistici, ma piuttosto
Intuizioni mistiche. (…) Forse non sono nata per le inquietudini. Per il dolore, piuttosto, per l’infinito dolore della perdita, della separazione degli esseri amati, per la sofferenza degli altri, uomini e bestie che mi sconvolge e m’indigna, per la sofferenza di sapere che tanti esseri umani sono così smarriti o così poveri.
le grandi rivelazioni che ho avuto a proposito dei miei personaggi sono nate da certi dettagli reali, certi contatti, certi eventi, certi oggetti. Per quanto riguarda Adriano, ad esempio, certe informazioni confuse, trovate in documenti poco noti, da cui risultava che Adriano, il tal giorno, alle sei del mattino, si trovava nel tal luogo in Egitto. A partire da qui, usciva fuori un’intera giornata dell’imperatore.
Il primo libro che pubblica a soli ventiquattro anni è Alexis o il trattato della lotta vana che risente delle profonde letture rilkiane; il protagonista è un giovane omossessuale che ama anche le donne, si è infatti sposato, ma che a un certo punto decide di lasciare la moglie perché non vuole più tradire se stesso e la sua vera natura. I personaggi di Yourcenar, che vivono in un passato anche remoto, diventano così specchi del presente e occasioni di riflessioni sulla natura umana e sulla sua intima eternità che il tempo declina nelle epoche ma al tempo stesso sfugge. Di se stessa scrive: “Se dovessi sentire un’età qualunque, questa sarebbe semmai l’infanzia; l’eternità e l’infanzia”. La scrittura di Alexis avvenne in circostanze difficili, ma quasi di getto “lasciando correre la penna, o meglio: alla macchina da scrivere, in qualche camera d’albergo, nei rari momenti in cui trovavo del tempo per me. Del resto, anche adesso lavoro solo quando ho tempo. Ha visto la casa in cui vivo: sembra un porto di mare”.
La vita, gli incontri, le persone, i viaggi, sono questi il nutrimento delle opere di Yourcenar, non solo le profonde letture e la capacità di contemplazione che la contraddistinguono. Questo primo libro le frutta un anticipo di cento franchi che spenderà immediatamente acquistando un vaso azzurro da Lalique, “un azzurro lattiginoso, come il colore di quella giornata d’inverno”. L’eredità materna le permetterà per qualche anno di viaggiare per l’Europa e nel Mediterraneo senza pensieri sul come mantenersi. Dopo l’uscita di Il colpo di grazia, scritto tra Capri e Sorrento, dal 1939 e sino al 1948 la scrittrice abbandona l’idea di scrivere. Faceva altre cose per vivere, insegnare soprattutto, e la sera era troppo stanca, riusciva solo a leggere. Nel 1942 si trasferisce negli Stati Uniti su invito di Grace Frick e quel soggiorno che sarebbe dovuto durare non più di sei mesi diventa di fatto definitivo, sino al punto che Yourcenar prenderà anche la cittadinanza americana.
La vita sull’isola di Mount Desert fa sì che cominci a interessarsi sempre più all’ambiente naturale, agli alberi, agli animali. Grazie al baule ritrovato ricomincerà a scrivere le Memorie di Adriano, un libro scritto in tre anni e che la consacrerà come scrittrice, con un successo totalmente inaspettato. Anche l’idea di Zenone e de L’opera al nero si manifesterà sin dai diciotto anni di Marguerite e troverà forma a partire dal 1956 sino all’anno della pubblicazione, il fatidico 1968. Quando finisce di scrivere la storia di Zenone dice di avere provato
Una sorta di ebbrezza. Era piena estate. Molto spesso, come Jean-Jacques Rousseau aveva già del resto osservato, si situano avvenimenti e personaggi nella stagione contraria a quella in cui si trova. Ho terminato Memorie di Adriano, il cui protagonista muore nella calura di un’estate italiana, in un inverno freddissimo, e l’Opera al nero in piena estate, mentre Zenone si uccide un 17 febbraio. Ricordo gli ultimi momenti di questo mio lavoro. Ero su un’amaca, in giardino – perché L’opera al nero l’ho finita qui, come anche Memorie di Adriano – e ricordo di avere fatto quasi senza saperlo, quello che è, pare, uno scongiuro magico, per lo meno a sentire Colette che ha notato cose analoghe nei “faubourgs” parigini: finito che ebbi il libro, distesa sull’amaca, ho ripetuto il nome di Zenone almeno trecento volte, o più, per avvicinare a me quella personalità, per farla vivere in quel preciso momento che era in qualche modo quello della sua fine.
Sarà poi proprio “il ritorno dalle Fiandre” con Zenone e la mole dei documenti di famiglia studiati, a dare il via alla scrittura di Care memorie e Archivi del Nord dove entrambi i genitori di Marguerite vengono resuscitati. Per Yourcenar lo scrivere non è mai uno sforzo o una sofferenza:
… è un lavoro, ma è anche quasi un gioco, e una gioia, perché l’essenziale non è la scrittura, è la visione. Ho sempre scritto i miei libri col pensiero prima di trascriverli sulla carta, e a volte li ho perfino dimenticati per dieci anni prima di dar loro una forma scritta (…) Quando mi metto alla scrivania so già esattamente quello che devo fare, perché ce l’ho tutto scritto nel pensiero. Naturalmente la scrittura dà luogo a una sorta di chiaroscuro, mette in risalto errori o dà adito a nuove scoperte, ma i fatti, le idee, sono già lì. (…) Il mestiere di scrittore è un’arte, o meglio un artigianato, e il metodo dipende un po’ dalle circostanze. A volte prendo un blocco e butto giù il mio testo con una scrittura che sfortunatamente diventa illeggibile in capo a quattro o cinque giorni, che in qualche modo appassisce come i fiori. Ma succede anche che vada dritta alla macchina da scrivere e batta una prima versione. In ambedue i casi, per ogni frase, vado di slancio; successivamente, cancello, scelgo la frase che preferisco.
Dopo la morte di Grace nel 1979, Marguerite riprende a viaggiare con l’ultimo amore-amico di una vita, Jerry Wilson. A 80 anni inizia a scrivere Quoi? L’eternitè? E nel 1980 è la prima donna a essere ammessa all’Académie Française. La felicità di quegli ultimi anni finisce con la morte di Jerry nel 1986 anche se questo non la fermerà nel continuare a progettare il suo giro della prigione. Mentre sta organizzando un nuovo viaggio in Nepal muore in seguito a un’emorragia cerebrale nell’ospedale di Bar Harbor avvolta nello stesso mistero che attribuiva alla religione e alla poesia “che devono restare oscuri. O abbaglianti, che è lo stesso” e con lo stesso sguardo amoroso per i minuti eterni di Virginia Woolf di cui fu traduttrice.
Voce pubblicata nel: 2023
Ultimo aggiornamento: 2024