“La grandezza, la nobiltà, lo stoicismo, l’anima tragica della Francese…ah la la! …Queste imbecillità grandiloquenti non ci nascondono la verità. La folla composta dalle donne di Francia è la prima vittima di tutti i soprusi ed è afflitta dai dolori più forti. Esse sopportano questi terribili fardelli con “eroismo”, si dice. Aimè! si è ben obbligati a essere eroici quando non si può fare altrimenti” 1
Marcelle Capy, pseudonimo di Marcelle Marquès, nasce il 26 marzo 1891 a Cherboug, in Bassa Normandia. La madre, Marceline (di cui deciderà di tenere il cognome Capy) proviene da una famiglia di contadini, il padre è officiale di artiglieria di marina.
In giovane età, Marcelle lascia le sue tre sorelle e i genitori e si trasferisce a Tolosa per cominciare gli studi liceali. È nella “Città Rosa” che, verso i diciotto anni, durante uno dei suoi comizi, incontra per la prima volta Jean Jaurès. La figura leggendaria del socialismo francese avrà un ruolo fondamentale nell’orientare le sue scelte politiche e di lavoro future. Capy ricorda questo incontro, infatti, come la spinta che la convincerà a recarsi a Parigi e a cominciare a lavorare come giornalista e attivista. Da allora consacrerà la sua vita alla lotta sociale, mettendo al primo posto i diritti delle donne e delle classi più deboli.
È nella capitale che incontra la seconda figura decisiva nel suo percorso: Caroline Rémy, che, con lo pseudonimo di Séverine, è una delle poche giornaliste donne dell’epoca, grand reporteur per diversi giornali nazionali. Sotto la sua guida, Capy viene iniziata al giornalismo e al reportage e comincia a collaborare con delle testate come «La Bataille Syndicaliste» e «L’Oeuvre», interessandosi in particolare di proletariato femminile e di diritti dei lavoratori.
Femminista convinta in un’epoca in cui le donne non hanno ancora diritto al voto, Capy è anche una pacifista intransigente. Allo scoppio della prima guerra mondiale, si dissocia dalla retorica dell’unione sacra e rifiuta di allinearsi con le posizioni interventiste del partito socialista francese, così come con quelle delle maggiori organizzazioni femministe dell’epoca. Come fu il caso del Consiglio Nazionale delle Donne Francesi, queste privilegiarono in maggioranza la difesa della patria, a discapito dell’internazionalismo e della lotta contro il patriarcato.
Durante la guerra, Capy lavora incessantemente per documentare ciò che accade nel fronte interno. Il frutto di questo lavoro sarà il libro Una voce di donna nella mischia (Une voix de femme dans la mêlée), che cerca di pubblicare senza successo nel 1916. Il libro, a causa della dura critica della guerra, incontra delle grandissime resistenze. L’autrice le ricorda nell’introduzione all’edizione integrale, che vedrà la luce solo nel 1932:
“C’era la guerra; e la guerra uccide la libertà di pensare, di scrivere, di parlare, di giudicare, e anche di piangere – in modo che si possano uccidere gli uomini”
Capy ricorda poi la risposta che le venne data dal capo dei servizi della censura, risposta che non potrebbe riassumere meglio il ruolo riservato alle donne nella società d’epoca:
“Se questo libro fosse stato scritto da un uomo, vi accorderei l’autorizzazione di pubblicarlo, poiché prenderebbe un’aria politica e si sa che in politica tutto è relativo... Ma questo libro è scritto da una donna. Qui si trova il pericolo. Se lasciamo parlare le donne, dove finiremo? E se lasciamo parlare il cuore, che fine farà il morale delle nostre truppe?”.
Decisa a pubblicare a tutti i costi nonostante la censura, Capy non si arrende al primo rifiuto; al contrario, ne accumula diversi. Impertinente, coraggiosa, ambiziosa, Capy non riuscì a modificare le sorti della pubblicazione, ma non si fece intimidire dai divieti che uno dopo l’altro le venivano imposti. Continuò a lavorare in silenzio, ma non con meno convinzione. Se Una voce di donna nella mischia è oggi forse un libro dimenticato, ogni sua pagina testimonia della forza e della sicurezza di una giovane donna che, come tante altre, si trova alle origini delle lotte femministe di oggi. Una voce di donna nella mischia è una testimonianza personale che ha al tempo stesso un’anima collettiva, poiché si presenta come una collezione di ritratti di donne, delle loro storie drammatiche, delle loro situazioni di miseria e di morte.
Denunciare, raccogliere, conservare e trasmettere le storie delle donne durante la guerra. Attraverso ognuna di esse prendere di mira e decostruire i mille stereotipi e le falsità su cui si fondava lo sforzo bellico, e che i giornali di propaganda inculcavano ogni giorno nella testa di milioni di francesi. Séverine dirà di questo libro: “Una voce di donna nella mischia è l’unico libro di cui io sia gelosa, perché è l’unico che avrei voluto scrivere”.
Dopo la fine della guerra, nel 1918, Marcelle Capy è fra i fondatori e membro del comitato direttivo della rivista socialista e antimilitarista «La vague», dove tiene una rubrica intitolata L’onda femminile. Per la sua critica incessante contro il conflitto che, cent’anni fa, distrusse l’Europa e intere generazioni di uomini e donne, Capy è ricordata da alcuni con il soprannome di “apostolo della pace”.
Marcelle Capy, Des hommes passèrent Paris, Editions du Tambourin, 1930
Margaret H. Darrow, French Women and the First Wolrd War: War Stories of the Home Front, Oxford, Berg, 2000
Mary Lynn Stewart, “Marcelle Capy’s Journalism and Fiction on War, Peace and Women’s Work, 1916-1936”, in Proceedings of the Western Society for French History, Volume 39, 2011, pp. 212- 223
Referenze iconografiche: Ritratto di Marcelle Capy. Fonte: http://www.quercy.net/hommes/mcapy.html. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2016
Ultimo aggiornamento: 2023