Come Murasaki Shikibu e le altre scrittrici del Giappone antico e medievale, è conosciuta comunemente con il suo soprannome, Nijō (secondo quartiere, uno dei più vicini al palazzo imperiale).
La sua vita fu segnata da uno dei motivi ricorrenti del capolavoro di Murasaki: la sostituzione della donna amata. Sua madre era stata una dama dell’imperatore Go Fukakusa quando era bambino e adolescente, e uno dei suoi doveri era stato quello di insegnargli le arti del sesso. Questo aveva fatto sì che l’imperatore se ne innamorasse perdutamente, ma non aveva potuto sposarla, e così Nijō fu destinata fin dalla nascita a prendere il suo posto.
Nacque nel 1258. La sua famiglia paterna era un ramo della famiglia Minamoto, una delle più importanti della sua epoca, e suo padre e altri parenti maschi erano stati poeti e letterati di valore. Rimase orfana di madre a due anni e fu allevata nel palazzo imperiale. Della sua vita conosciamo solo quello che racconta nella sua autobiografia, l’unico testo che ci ha lasciato: Towazugatari.
Il titolo richiede una spiegazione: letteralmente significa “racconto non richiesto” e si riferiva a un certo tipo di discorsi femminili: nel periodo Heian (794-1185) le parole pronunciate senza riflettere o fuori controllo, come quelle delle vecchiette incapaci di trattenersi o delle medium negli esorcismi; nei periodi Kamakura (1185-1333) e Muromachi (1392-1573) era usato dalle scrittrici insieme a termini che indicavano banalità o fastidio per riferirsi ai loro scritti, implicando che non si trattava di testi elaborati e pianificati. Quindi poteva essere usato come una scusa quando si parlava di verità scomode, che è appunto quel che fa Nijō.
Il suo testo inizia con la primavera dei suoi tredici anni, quando viene costretta a diventare la concubina dell’imperatore. All’epoca era frequente che le relazioni cominciassero con la violenza per le donne, ma il suo testo è il primo a parlarne apertamente e a descrivere le sue reazioni senza eufemismi. In questo momento lei è innamorata di un altro, suo cugino Saionji Sanekane, e porta avanti la relazione con lui di nascosto. Hanno anche una figlia, che Sanekane fa portare subito via e di cui si fa carico. La relazione ufficiale con l’imperatore le porta più umiliazioni (spesso lui la offre ad altri uomini) che benefici, e poiché lei non riesce a dargli un figlio (l’unico che ha con lui muore proprio quando nasce la figlia della sua relazione con Sanekane) la sua posizione a Corte rimane precaria. Ha un’altra relazione, con un fratellastro monaco dell’imperatore, che finisce per amare nonostante lui la avvicini senza molto rispetto, e quando l’imperatore la scopre la accetta. Da lui ha due figli, il secondo dei quali, nato dopo la sua morte, è l’unico che riesce a crescere di persona, almeno per un po’. Alla fine, a ventisette anni, viene cacciata dalla Corte e realizza il sogno della sua vita da quando era bambina: farsi monaca. Da questo momento si dedica ai pellegrinaggi e alla scrittura del suo testo, che si interrompe nel 1306.
Towazugatari fu ritrovato nel 1940 in una biblioteca di Kyōto, in una copia mutila del XVII secolo, e da allora ha suscitato grande interesse, anche fuori dal Giappone: è stato tradotto in varie lingue, tra cui l’italiano (la traduzione è indicata tra le fonti) e oggetto di molti studi. È un testo complesso, suscettibile di molte interpretazioni. Ne emerge l’immagine di una donna forte, capace di reagire alle avversità, di imparare dalle sue disgrazie, e anche di scandalizzare, come quando abbandona un concerto organizzato a Corte per non lasciarsi umiliare da suo nonno. Il potenziale sovversivo dell’opera, tuttavia, è ricondotto nei limiti della lealtà all’imperatore nella parte finale, quando le capita di incontrarlo di nuovo e lui torna ad esprimerle il suo affetto. Dopo la sua morte, lei si sente svuotata e trova una consolazione soltanto nella corrispondenza con l’imperatrice Yūgimon’in, figlia di lui e della sua consorte legittima. Se non fosse stato così, forse un testo che lasciava così allo scoperto le debolezze dell’imperatore e raccontava cose scandalose come la relazione con un monaco buddhista non sarebbe sopravvissuto, e sarebbe stato davvero un peccato.
Kimura Saeko, Regenerating narratives: The confessions of Lady Nijō as a story for women’s salvation, in «Revue of Japanese culture and society», 19, (2007), pp. 87-102
Kurukibara Rei, Various aspects of diary and travel literature (traduzione di Edith Sarra), in ibidem, pp. 30-56
Nijō, Towazugatari. Diario di una concubina imperiale, a cura di Lydia Origlia, Milano, SE 1993
Edith Sarra, Towazugatari. Unruly tales from a dutiful daughter, in The father-daughter plot. Japanese literary women and the Law of the Father, a cura di Rebecca Copeland ed Esperanza Ramírez-Christensen, Honolulu, University of Hawai’i Press 2001, pp. 89-114
Tonomura Hitomi, Coercive sex in the Medieval Japanese court: Lady Nijō’s memoir, in Monumenta Nipponica, 61 (3), (2006), pp. 283-338
Voce pubblicata nel: 2020
Ultimo aggiornamento: 2020