Erano gli anni Venti quando le prime italiane cominciarono a cimentarsi nello sport automobilistico. A quel tempo le donne in grado di guidare un’auto si contavano sulle dita di una mano, ma i settori nei quali esse avevano allora scarsa rappresentanza o, addirittura nulla, erano molteplici. Fu solo nel primo dopoguerra, per esempio, che sull’onda dei sommovimenti sociali scaturiti dalla tragedia bellica, in un clima politico desideroso di riforme, venne abolita, nel 1919, l’autorizzazione maritale che impediva alle donne di amministrare le proprie sostanze, senza il beneplacito del coniuge. Nello stesso anno le donne furono, per la prima volta, ammesse agli impieghi pubblici e alle attività professionali, anche se rimanevano escluse dalla magistratura e dalle carriere direttive dello Stato 1. L’emancipazione in senso lato era per le italiane ancora di là da venire, prerogativa di poche “eccentriche”, preferibilmente ricche.
La prima donna italiana a distinguersi nelle corse aveva entrambe queste caratteristiche: Maria Antonietta Avanzo, nata Bellan a Contarina Veneta, provincia di Rovigo 2. Una donna in abiti eleganti e scarpe col tacco, al volante di un’auto da corsa, in mezzo a soli uomini, faceva di per sé scalpore e di una giovane signora della buona società non era inconsueto sentir dire che fosse affascinante, ma Maria Antonietta era veramente una donna fuori dal comune: bella, volitiva, combattiva, abile nelle corse, amava suscitare scandalo 3. Aveva precocemente dimostrato questa sua indole: ella stessa raccontava di aver imparato a guidare da sola, sottraendo la vettura al padre. La lanciava a folle velocità sulle strade sterrate intorno alla villa di campagna della famiglia, facendo vittime fra “cani, gatti, galline e segretari comunali” 4. Dopo il matrimonio col barone Eustachio Avanzo, si trasferì a Roma e, per festeggiare la fine della Prima Guerra Mondiale, il marito le regalò una potente Spa 35/50 Sport. Con questa vettura disputò, nell’ottobre 1920, la sua prima gara, il Giro del Lazio. I ricordi di quella corsa si confondevano, nella memoria della baronessa, con quelli delle successive, ma ella rammentava bene il primo giorno di gara, durante il quale riuscì, grazie alla propria volontà e tenacia, ad arrivare sul traguardo allo Stadium di Roma, addirittura un’ora prima degli altri concorrenti. Tuttavia, l’exploit di una principiante doveva aver dato fastidio a qualcuno, tanto che il giorno successivo, poco dopo la partenza e in piena velocità, la baronessa perse una ruota, sapientemente allentata 5. Avanzo, però, considerò quell’incidente, i sobbalzi, la strisciata a terra e il capitombolo finale, come un “primo collaudo” del proprio coraggio e disse a se stessa, con orgoglio: “Maria Antonietta, tu sei un grand’uomo” 6.
Una ventina di giorni dopo, Avanzo era in Sicilia, dove disputò la sua prima Targa Florio al volante di una Buick. Fu costretta al ritiro per la rottura del telaio, non andando oltre il terzo giro, ma era già un’impresa arrivare a fare una sola tornata del terribile percorso delle Madonie 7. Con una piccola Ansaldo disputò, invece, il Circuito delle Cascine, presso Firenze, avvalendosi di Donna Carolina Nazzaro come copilota; “la Lina” indossava un enorme spolverino del marito, nelle cui tasche aveva sedici sassolini da gettare, uno per ogni giro di gara, come nella favola di Pollicino. Le due signore, dopo diversi giri, erano in testa, quando furono tradite dalla rottura di una bronzina.
Sempre nel 1920, Maria Antonietta ebbe per la prima volta la gioia del podio: nella Coppa d’Inverno, a Rocca di Papa, ottenne il terzo posto, ma perse in curva il copilota, il povero Nik Rodes, ruzzolato giù da una scarpata 8.
L’anno successivo, acquistò una macchina da corsa americana, una Packard dodici cilindri, con la quale disputò una corsa in Danimarca. Sulla pista di Fanø, nei pressi di Copenaghen: si comportò molto bene nella prima manche, spingendo la vettura oltre i centottanta chilometri l’ora; nella seconda, per un ritorno di fiamma, la sua auto prese fuoco. Senza esitare, la portò fuori pista e decise che l’unica soluzione, per spegnere l’incendio, fosse di gettarsi con la macchina in mare 9.
Avanzo si confrontò con tutti i grandi campioni del suo tempo; tra questi, anche con l’esordiente Tazio Nuvolari da cui fu battuta, ma con qualche difficoltà, al Circuito del Garda, nel 1921. La baronessa si schierò al via con un’Ansaldo Tipo 4 e duellò col mantovano che aveva la sua stessa vettura. Vinse Corrado Lotti, Nuvolari fu secondo e lei terza. Mario Morasso, scrittore futurista, sulla rivista «Motori Cicli e Sports», la descrisse come “ammirata da tutti”, “sorridente e fresca”, mentre, passando sotto le tribune, scandiva con “le piccole dita il numero dei giri compiuti” e lanciava “colla mano aperta in alto il classico saluto del gladiatore” 10. Quello stesso anno, al Gran Premio Gentlemen di Brescia, vinto da Giulio Masetti su Mercedes, giunse terza assoluta, su Alfa ES Sport, e prima nella speciale classifica riservata alle Dame.
Così scrisse di lei Lando Ferretti su «La Gazzetta dello Sport»:
L’eroina della virile contesa è Maria Antonietta Avanzo. Avevamo già veduto passare, nell’incanto di una meravigliosa primavera, questo aperto e candido sorriso di donna, sormontato da un vermiglio palpito di veli al vento, tra i rombi di altra battaglia. Il circuito del Garda aveva dimostrato nella gentildonna audace la “virago” nuova e vera del ventesimo secolo; ma la prova d’oggi l’ha consacrata – più ed oltre il fragile sesso – dominatrice serena e sicura di spazio e di avversari. Il pubblico, il gran pubblico, si è entusiasmato alla marcia, perfetta per regolarità e precisione della vittoriosa odierna e attorno ai nitidi orli della Coppa delle Dame ha allacciato una viva ghirlanda di travolgente entusiasmo 11.
Nella stessa occasione Giuseppe Merosi, progettista della vettura, chiese a Ramponi, il meccanico dell’Alfa che le era stato accanto durante la corsa: “Come guida?”, “Ce n’ha d’Avanzo!”, rispose quello. La battuta passò di bocca in bocca e, il giorno dopo, finì sul «Guerin Sportivo» 12.
Che una donna corresse in macchina non era, evidentemente, una cosa seria, tanto è vero che tutti gli episodi riguardanti la figura di Avanzo sono legati a qualche fatto curioso, a qualche “nota di colore”, più che ai nudi avvenimenti sportivi. In quello stesso Gran Premio, alla partenza, Maria Antonietta avrebbe addirittura perso una scarpina e uno dei giornalisti presenti, Renato Casalbore, si sarebbe precipitato ad aiutarla, con cavalleresca premura, tra gli applausi della folla 13. Ancora più gustoso l’aneddoto legato alla Targa Florio del 1922, disputata dalla baronessa indossando una tuta rossa, come il resto della squadra Alfa Romeo. La leggenda vuole che Avanzo fosse stata boicottata da uno dei compagni di scuderia, un giovane Enzo Ferrari: questi avrebbe smontato, nottetempo, dall’Alfa ES Sport della nobildonna, il carburatore, per sostituirlo con il proprio, identico ma difettoso. Furiosa, Maria Antonietta si sarebbe rivolta al capomafia locale per ottenere vendetta ed egli le avrebbe promesso di portarle, insieme al carburatore, il cuore dell’infame. Spaventata da quella brutale promessa, la baronessa cambiò idea, rinunciò al favore e Ferrari ebbe il tempo e il modo di diventare Ferrari 14. A proposito di quella gara, in un’intervista del 1969 ella raccontò una storia diversa: ignara dei costumi locali, aveva accettato la protezione che le era stata offerta da un personaggio influente. Dopo ogni suo passaggio, a un segnale convenuto, per aiutarla, grosse pietre venivano gettate sulla strada e greggi di pecore sospinti lungo il percorso, allo scopo di rallentare gli avversari. Alla fine, comunque, vinse Giulio Masetti su Mercedes 4500 e sia lei, sia Ferrari, dovettero ritirarsi 15.
In quegli anni Avanzo incontrò Gabriele d'Annunzio che la chiamava “Nerissa”, per i suoi occhi e i capelli neri. Il Vate la volle con sé, per qualche tempo, al Vittoriale. Frequentò anche il salotto degli Agnelli, che le regalarono una spilla di brillanti a forma di volante. Inculcò nel nipote Roberto Rossellini, figlio della sorella maggiore Elettra, l’amore per le auto e, ancora bambino, gli insegnò a guidare 16.
Progettava di riuscire nell’impresa di costruire una macchina tutta sua, una “piccola Avanzo”, ma non trovò finanziatori per questa nuova impresa 17. Si allontanò poi, per qualche anno, dalle corse; al termine di un rocambolesco viaggio attraverso il sud-est asiatico, giunse in Australia, dove impiantò una fattoria modello 18. Persino agli antipodi, la baronessa ebbe modo di mostrare le proprie doti di eccellente guidatrice. Su precisa richiesta del proprietario della più importante catena di giornali del continente australiano, si cimentò, alla guida di una Essex, in una gara a scopi benefici, tenutasi su una pista “polverosa e pericolosissima”. The special Queen, come la definì la stampa locale, vinse a beneficio degli orfani di Sydney 19.
Avanzo tornò in Europa nel 1926 e prese parte, con una Mercedes 180 HP Tipo K, alla Coppa della Perugina, ottenendo un buon terzo posto nella classe oltre 2000 20; nel frattempo altre signore si erano affacciate al mondo delle corse. Ad esempio Ada Chiribiri, figlia del costruttore Antonio o la romana Emma Firpo Vorzi che, proprio nel 1926 nel Premio del Turismo a Perugia al volante di una Ceirano, concluse sesta assoluta su nove arrivati, e seconda della sua classe, la 1500, a soli sette secondi dal vincitore Orsini 21.
L’atteggiamento del regime fascista verso le donne che praticavano sport (e dunque anche verso le donne pilota) era ambivalente, un miscuglio di fisiologia positivistica e pruderie cattolica, il tutto arricchito da una buona dose di opportunismo. Per le ragazze la “ricreazione fisica” doveva essere saggiamente amministrata, per assicurar loro la grazia che le rendeva attraenti per aumentare, forse, la longevità e aiutare – o, quantomeno, non danneggiare – le loro capacità riproduttive 22. Una quantità di regolamenti, ingiunzioni e abitudini differenziava lo sport maschile da quello femminile: l’automobilismo faceva, ovviamente, eccezione e, tuttavia, si cercò di promuovere campionati e competizioni separate 23, con l’istituzione di corse automobilistiche riservate esclusivamente al “gentil sesso”.
Un’altra pilota, fra le più promettenti della propria epoca, fu la veronese Giuseppina Conti, che ottenne i suoi migliori risultati nella stagione 1927. Il 19 marzo 1927 si presentò al via del Campionato Sociale dell’AC Verona, sul Circuito del Pozzo, alla guida di una OM da turismo. Partirono in otto e Giuseppina concluse terza, a dieci minuti dal vincitore, Milani su Ceirano, e davanti a una più potente Lancia Lambda.
Il 26 giugno 1927, in occasione del primo Gran Premio di Monza, Conti avrebbe avuto modo, per la prima volta, di confrontarsi direttamente con Avanzo. La gara, da disputarsi sul circuito del Parco reale, era un tentativo di introdurre anche in Italia un meeting all’inglese, con molte corse brevi, tutte di cinque giri pari a cinquanta km, con finale a handicap, fra cui anche una Coppa delle Dame. Maria Antonietta Avanzo, effettivamente iscritta alla competizione, giudicò però l’handicap assegnatole troppo gravoso per una corsa che sarebbe durata meno di mezz’ora e si rifiutò di prendere la partenza. Forse, a pesare sulla decisione, fu anche la preoccupazione di dover battagliare con la giovane e veloce Giuseppina Conti, “guidatrice sicura, abile e dotata di un’audacia cosciente” 24, e per questo fu “rimproverata” da «Auto Italiana»:
Peccato che sia venuto a mancare il duello con la baronessa d’Avanzo, che non ha creduto di prender la partenza ritenendosi troppo danneggiata dall’handicap; a parte l’opportunità e lo spirito sportivo che hanno suggerito la dolorosa decisione alla valorosa guidatrice, è certo che almeno in vista del duello con la giovanissima avversaria la signora d’Avanzo avrebbe dovuto accettare il peso dell’handicap e non deludere il pubblico che avrebbe salutato con pari entusiasmo le due protagoniste di una lotta che avrebbe assunto fasi del più vivo interesse. 25
Al volante della sua Bugatti, Conti vinse, percorrendo i cinquanta km della gara sotto la pioggia, alla media di 111.110 km/h.; con tali tempi, non avrebbe sfigurato nemmeno nelle eliminatorie del Gran Premio vero e proprio. In seguito, la Conti sparì dalle competizioni, mentre Avanzo disputò altre corse prestigiose: quattro Mille Miglia, per esempio 26, anche se in nessuna di queste occasioni riuscì a portare a termine la gara. Nel 1932, al volante di una Miller Special, prese parte anche alle prove di qualificazione per la 500 Miglia di Indianapolis: dovette ottenere una licenza speciale, perché le donne non erano ancora ammesse a quella prova. Maria Antonietta sarebbe stata la prima donna a guidare sul famoso “catino”, ma motivi familiari la costrinsero a un precipitoso rientro in Italia 27.
La baronessa concluse la carriera partecipando a una gara di regolarità, la Tobruk-Tripoli, al volante di una Fiat 1100 MM: ottenne il sesto posto, “confermandosi valorosa ed instancabile guidatrice” 28.
M. Fugazza, S. Cassamagnaghi (a cura di), Italia 1946: le donne al voto, Milano, Istituto lombardo di Storia Contemporanea 2006
L. Malin (a cura di), Indomita. La straordinaria vita di Maria Antonietta Avanzo, Rovigo, Oblivio Machia 2013
M.A. Avanzo, La mia vita a 100 km. all’ora, Roma, Istituto editoriale del Littorio 1928
Articoli della rivista «Auto italiana»
Referenze iconografiche: Maria Antonietta Avanzo a bordo della sua Alfa Romeo 20/30 ES, 1922. Fonte: Bibliothèque nationale de France. Foto di Agence Rol. Immagine in pubblico dominio.
Voce pubblicata nel: 2019
Ultimo aggiornamento: 2023