Bianca Milesi: la più giovane delle sorelle Milesi. E la più intraprendente. Era nata il 22 maggio 1790. Il padre, Giovan Battista Milesi, e la madre, Elena Marliani, avevano avuto cinque figlie: Antonietta, Francesca, Agostina, Luisa, Bianca. E un maschio, Carlo, che avrebbe sposato Elena Viscontini, sorella di Matilde Dembowski. Tutte queste donne, così come un numero forse insospettabile di altre nobili lombarde, a cominciare da Teresa Confalonieri, sarebbero state le animatrici delle cospirazioni carbonare e antiaustriache a Milano del 1821. Bianca morì l’8 giugno del 1849 dopo aver lottato e perso, con suo marito, la sua ultima sfida: quella contro il colera.
La famiglia di Bianca era di origine bergamasca: era arrivata a Milano intorno alla metà del Settecento per commerciare in ferro, legname e bestiame. Poi aveva investito nell’agricoltura della Bassa.
Bianca studiò in un convento a Firenze, poi in Santa Sofia a Milano e infine in Santo Spirito. Il padre morì già nel 1804. Il sogno della ragazza era dedicarsi allo studio e in particolare alla pittura. Poiché, a differenza di gran parte delle sue compagne, non si accontentava di essere un’artista dilettante, studiò con accanimento, viaggiò all’estero e nel resto d’Italia e trascorse molto tempo a Roma, per apprendere e formarsi alla luce dei “classici”. A Roma conobbe Antonio Canova e fu allieva di Francesco Hayez che in seguito, frequentando il suo salotto, sarebbe stato introdotto nella buona società milanese. Sempre a Roma, Bianca divenne amica di due donne fondamentali per la sua formazione: Sophia Reinhard (1775-1843), una pittrice tedesca colta, seguace di Saint Simon, di forte carattere già decisamente femminista. Di lei possediamo un malinconico autoritratto in abiti rinascimentali. E la scrittrice anglo-irlandese Mary Edgeworth (1767-1849) che non solo si dedicò alla letteratura per l’infanzia e fu una pioniera della pedagogia, ma pubblicò le fondamentali Letters for Literary Ladies (1795), che iniziano con le celebri e “trasgressive” congratulazioni a un gentiluomo suo amico per la nascita di una figlia femmina.
Saputo del definitivo crollo napoleonico, la Milesi tornò avventurosamente via mare a Milano, dove decise di dedicarsi attivamente alla vita politica cittadina.
Divenne così maestra giardiniera (come la sorella Francesca), ovvero membro dell’equivalente femminile della Carboneria, con tanto di coltello alla giarrettiera. Simile a quello degli uomini il lungo e segreto processo di affiliazione. Analoghi i rischi, se si veniva scoperte, a cominciare dalla detenzione nella fortezza dello Spielberg. L’obbligo era il silenzio. La società segreta di cui facevano parte le giardiniere era quella dei Federati, introdotta dal Piemonte a Milano nel 1820, ma sorta nel 1814. Oggi Bianca è ricordata soprattutto come l’inventrice della carta frastagliata, detta anche cartolina à jour o crittografico della grata, una griglia che si sovrapponeva alle lettere dei cospiratori in modo da lasciar leggere soltanto il messaggio segreto. Ma fece da subito molto di più: con il conte Federico Confalonieri e il conte Giuseppe Pecchio Bianca fondò le Scuole di Mutuo Insegnamento, il cui obiettivo era diffondere una comune coscienza nazionale e culturale tra gli italiani. Le scuole furono subito chiuse anche su pressione della Chiesa che deteneva all’epoca il monopolio dell’istruzione.
Con un carattere fortissimo e una personalità inedita perfino per il gruppo di coraggiose irredentiste lombarde, Bianca, amica di Cristina di Belgioioso, si fece notare anche per il suo aspetto stravagante: a un certo punto si tagliò le trecce, si vestì con abiti di lana scura e prese a girare per Milano con gli scarponi militari, un bastone e il Saggio sulla Tolleranza di Locke sempre sotto il braccio. Non nascondeva di essere femminista e anche questo, nella Milano provinciale di allora, era motivo di scandalo.
Finì che la politica soffocò l’arte. Soprattutto perché fu scoperta: il presunto carbonaro Carlo Castillia la denunciò, sia per il codice cifrato sia perché aveva dipinto il tricolore sullo stendardo degli studenti di Pavia del battaglione Minerva. Fu interrogata più volte, con durezza. Non parlò. Schedata come «rivoluzionaria, caldeggiante in casa Confalonieri il pensiero di aiutare gli insorti e votata alla causa liberale», nel 1822 fuggì all’estero. Soltanto dopo quattro anni e varie peregrinazioni tornò in Italia. Si stabilì a Genova: nel 1825 aveva sposato un medico della città, Carlo Mojon. Non smise mai di dedicarsi alle cause sociali, lavorò negli asili infantili. E continuò a cospirare. La polizia, che la teneva d’occhio, la chiamava: la “giovane energumena”. Divenne amica di Giuseppe Mazzini e la sua casa fu il punto di approdo di molti patrioti lombardi. Dal 1833 si trasferì a Parigi, perché a Genova le era stato impedito di aprire una scuola di ginnastica. Quando seppe della sconfitta della Repubblica romana, nel 1849, a opera proprio dei francesi, prese il lutto.
Pare che al momento della morte fece ancora in tempo a sussurrare: «Dite a mio figlio che ami sempre il suo dovere». E quel dovere era lottare per la libertà.
Fonti, risorse bibliografiche, siti su Bianca Milesi
Rachele Farina (a cura di ),
Dizionario biografico delle donne lombarde, Milano, Baldini Castoldi 1995
Marta Boneschi, La donna segreta, Venezia, Marsilio 2010
Donne e conoscenza storica
Bianca Milesi, la maestra giardiniera dei moti del 1821
Referenze iconografiche: Bianca Milesi Mojon. Immagine in pubblico dominio.