Clelia Lollini nacque a Roma, il I Maggio 1890, quarta figlia di Vittorio Lollini, avvocato e parlamentare socialista e di Elisa Agnini, femminista e fondatrice dell’Associazione per la Donna, la prima del genere in città.
I due giovani coniugi, giunti a Roma dalla provincia modenese per favorire la carriera di Vittorio, in breve tempo si erano inseriti negli ambienti colti e progressisti della capitale, dove entrambi si dedicarono con passione non solo al lavoro, ma anche alla politica e al sociale.
Quattro bambine in quattro anni allietarono la loro casa, compito non indifferente per Elisa, che oltre all’impegno nel movimento femminista romano, si occupava personalmente dell’educazione delle figlie, dei loro studi e della loro formazione.
Tutte le ragazze frequentarono il liceo classico e furono tra le prime studentesse ammesse in classi formate quasi esclusivamente da maschi.
Studiarono il francese e il tedesco, lingue che si parlavano spesso in casa, poiché la nonna materna, Elisabetta Kostner, era di origine austriaca. Infine s’iscrissero all’Università (tutte si laurearono brillantemente!) scegliendo facoltà che erano ancora feudi tipicamente maschili: giurisprudenza, chimica, medicina e chirurgia.
Fu Clelia a scegliere quest’ultima materia, forse tra tutte la più impegnativa, e si laureò nel 1915.
Alla scoppio della grande guerra svolgeva il suo praticantato al Policlinico di Roma, il grande ospedale da poco inaugurato, considerato il più moderno ed efficiente di tutto il paese. La partenza di tanti medici per il fronte aveva infatti in qualche modo favorito le poche dottoresse, chiamate a sostituirli in posizioni di responsabilità che difficilmente prima avrebbero raggiunto.
Nella famiglia Lollini tutti erano pacifisti e internazionalisti e si trovarono spesso in contrasto con amici e colleghi appartenenti alla maggioranza interventista. Le idee che condivideva con i suoi fin dall’inizio della guerra non avevano certo spinto Clelia a entrare nel corpo della Sanità delle forze armate. Ma la rotta di Caporetto e i tragici avvenimenti successivi cambiarono la situazione. Ormai le posizioni politiche sembravano irrilevanti; come medico si sentiva in dovere di offrire la propria opera dove c’era maggior bisogno.
Scelse quindi di arruolarsi e venne subito inviata come tenente medico al San Giovanni e Paolo, l’ospedale militare di Venezia. Fu un fatto assolutamente inusuale; c’erano infermiere, crocerossine, qualche dottoressa ma chirurghi al femminile, ufficiali medici per giunta, non si erano ancora visti.
Per Clelia i 13 mesi trascorsi a Venezia (dall’ottobre 1917 al novembre 1918) furono faticosi ma entusiasmanti sotto il profilo umano e professionale; l’esperienza accumulata fu enorme, il numero di interventi eseguiti molto superiore all’ordinaria routine ospedaliera.
Al ritorno alla vita civile dovette però ripiegare su una attività più “consona”, secondo i criteri di allora, al sesso femminile. La medicina generale non faceva per lei, decise quindi di dedicarsi alla ricerca.
Si era nel frattempo iscritta alla sezione femminile del partito socialista romano e le svariate implicazioni della medicina sociale divennero il suo nuovo argomento di studio. Aveva solo ventotto anni, era curiosa, vivace e aperta al nuovo.
Il suo lavoro nel triennio 1919-1922 fu caratterizzato dalla pubblicazione di diversi articoli sull’igiene sessuale, le malattie veneree e la prostituzione.
Contemporaneamente Clelia lavorava anche per lo sviluppo dell’associazionismo delle donne medico, ormai in sensibile crescita numerica, tenendo i contatti con le organizzazioni straniere e a questo scopo imparando l’inglese, quarta lingua per lei.
Nell’inverno del 1919 venne invitata a New York e Filadelfia per un prestigioso convegno medico, da cui sarebbe nata la Medical Women’s International Association, conclusosi con un tour di sei settimane nelle principali università degli States.
L’Università di Drexel, il Vassar College, l’Harvard Medical School aprirono i propri prestigiosi cancelli davanti al gruppo eterogeneo di giovani dottoresse straniere, l’unica indiana in sari, le due giapponesi in variopinti chimoni.
Il suo momento di gloria scoccò però il 5 ottobre a lavori della conferenza già iniziati: colpita dal suo vivace e circostanziato intervento in fluente inglese, l’inviata del New York Tribune le chiese un’intervista personale, a cui lei corrispose con entusiasmo.
«Dr. Clelia Lollini, of Rome, represents her country. She is small, vivacious and young.» Così inizia l’articolo, in cui Clelia risponde diffusamente sulla condizione femminile in Italia, facendosi forse trasportare da un eccessivo ottimismo giovanile.Rientrata in Italia però le sue condizioni di salute peggiorarono improvvisamente; era un medico e riconoscere i sintomi della tisi, così comune in quegli anni, fu questione di poco.
Il sostegno affettivo ed economico della famiglia fu, in quel difficile frangente, fondamentale per aiutarla ad accettare la malattia e il successivo ricovero nel sanatorio di Sartenna, con tutte le conseguenze del caso: la lontananza dagli amici, l’abbandono del proprio posto di lavoro, il riposo forzato.
Dopo i primi mesi di scoramento Clelia riuscì però a riprendere gli studi, anzi approfittò del periodo di ricovero per approfondire le sue conoscenze sulla tubercolosi e sui metodi di cura, il pneumotorace principalmente. Quando uscì dopo 2 anni dal sanatorio, era ormai una esperta tisiologa e questa sarebbe rimasta per tutta la vita la sua prioritaria attività.
L’esperienza americana, i rapporti con altre dottoresse, provenienti da culture e da paesi diversi, avevano influito sulla sua formazione in quegli anni. Da tempo perseguiva il progetto di organizzare anche in Italia un’Associazione di medici tutta al femminile, in questo certamente memore dell’esperienza e degli insegnamenti materni nel campo dell’associazionismo. Con la collaborazione di amiche e colleghe, nonostante la malattia, riuscì a dar vita all’Associazione Italiana Dottoresse in Medicina e chirurgia, l’odierna AIDM.
Il 14 ottobre del 1921 a Salsomaggiore, una sessantina di donne medico festeggiarono la nascita della prima associazione di categoria; il tema scelto per il congresso, l’assistenza alla madre e al bambino, era stato fortemente voluto da Clelia.
Nei decenni successivi continuò nel suo lavoro di tisiologa. Dal 1930 al 1938 diresse il Consorzio Antitubercolare di Massa, per poi trasferirsi in Libia, allora colonia italiana, dove organizzò il dispensario antitubercolare di Tripoli; l’arabo divenne così la sua quinta lingua.
Per più di un ventennio si dedicò alla cura delle popolazioni del Nord Africa, sempre continuando a produrre articoli e monografie di buon livello scientifico. A Tripoli morì, per i postumi di un intervento agli occhi, nel 1964.
Immagine: Clelia Lollini durante il congresso internazionale delle donne medico di New York.
Voce pubblicata nel: 2012
Ultimo aggiornamento: 2023