Maria Bonghi Jovino non ha scelto una “via breve alla virtù” scientifica, per così dire: l’oggetto delle sue ricerche, che coprono un arco di almeno quarant’anni, è stato il mondo arcaico, ctonio e oscuro delle civiltà italiche preromaniche e in particolare di quella etrusca. Una passione, quella per l’archeologia, nata tra i bombardamenti e gli sfollamenti della Seconda guerra mondiale. La famiglia Jovino infatti abbandona Napoli nel 1940 per trasferirsi nella penisola sorrentina. Sono anni difficili per tutti: scarseggiano i beni di prima necessità e ci si nutre di un pane grigio e gommoso e di pasta fatta con polvere di piselli. Dopo lo sbarco degli Alleati a Salerno si spostano nella tenuta di famiglia, ad Arco Felice, dove rimarranno fino al ritorno a Napoli nel 1945.
La rinascita del Paese e il fervore della ricostruzione segnano gli anni della formazione: prima il Liceo Ginnasio Umberto I, al tempo eccellenza tra le scuole del Meridione, e poi l’Università Federico II. Anni di entusiasmo e di incontri culturali (la musica classica e il jazz, la canzone napoletana di Murolo e Carosone, la letteratura e il cinema), che accompagnano un percorso concluso con la laurea in Archeologia, a cui approda dopo aver seguito con passione il corso di Amedeo Maiuri sulle Antichità pompeiane.
Sotto la guida di Massimo Pallottino, fondatore dell’Etruscologia, una autorità internazionale nel campo dell’Archeologia preromana, inizia presso la Scuola Nazionale di Archeologia di Roma i primi lavori e le prime ricerche sulla Capua preromana. Il ruolo delle origini campane, e di un territorio dove il dato archeologico non è una semplice reminiscenza scolastica ma esperienza viva e quotidiana, rimarrà sempre vivo in lei, come un’eredità preziosa che porta con sé a Milano.
Quando vi giunge, agli inizi degli anni Ottanta, ha già alle spalle esperienze importanti di scavo a Pompei e soprattutto a Tarquinia. L’incontro con Milano è destinato a segnare il suo destino professionale e intellettuale: per lunghi anni infatti ricoprirà il ruolo di professoressa ordinaria (ora Emerita) di Etruscologia e archeologia italica presso l’Università degli Studi di Milano. Il passaggio non è facile, e non soltanto per le differenze tra le atmosfere e i ricordi napoletani e l’ambiente milanese. Inserirsi in un mondo accademico dominato dall’archeologia classica non sarà semplice: gli istituti austeri e il silenzio dei chiostri, nella sede rinascimentale di via Festa del Perdono, sono lontani dalla vivacità e dal movimento dell’Istituto di Etruscologia romano. Soprattutto, appare subito problematico ritagliare una dimensione scientifica autonoma al mondo italico precedente la latinità. Un ambito, quello della ricerca accademica in campo archeologico, che in quegli anni comincia a mostrare, anche grazie a un lavoro sul campo sempre più minuzioso e metodologicamente accorto, i primi segnali di nuove direzioni di ricerca rispetto al grande alveo della classicità; in direzione di un’archeologia medievale, ad esempio, ma soprattutto, come nel caso di Maria Bonghi Jovino, di antiche tradizioni autoctone, spesso appiattite al ruolo di lontani precursori della romanità.
Il silenzio operoso dell’ateneo milanese le consente di dedicarsi a un lavoro metodico sugli strumenti della ricerca archeologica, sia teorica che pratica: schedari di foto e diapositive, autori, recensioni e bibliografie. Alla ricerca di un punto d’unione tra la teoria e l’applicazione sul campo, Maria Bonghi Jovino pratica quella che lei stessa definirà “archeologia da campo”: un’attività che nasce dalla pratica di scavo ma che si nutre dei rapporti con altre discipline e competenze tecniche. La multidisciplinarietà è l’elemento chiave, soprattutto in un ambito cruciale come la cultura materiale, vessillo dell’archeologia degli anni Settanta che lei raccoglie e in cui continuerà a riconoscersi. Sono cocci nei quali “si coglie il respiro degli uomini che ci hanno preceduto”, così come le stratigrafie verticali, a prima vista asettiche, sanno restituirci “il pulsare della vita” e il respiro della storia se ben interrogate.
L’attività di catalogazione, la riflessione teorica sul metodo e lo statuto dell’etruscologia si affiancano ben presto ad attività di scavo e di catalogazione museale rilevanti: dagli scavi alla Ca’ Morta (vasta necropoli alla periferia di Como, con reperti che risalgono sino agli albori dell’Età del Ferro, all’inizio del primo millennio a.C.) al catalogo delle terrecotte figurate italiote del Museo civico di Legnano, per arrivare alla grande attività del cantiere di Luni, frutto di una collaborazione tra Università Statale e Università Cattolica di Milano. Un’esperienza, questa, fondamentale anche sotto il profilo metodologico, per l’affinamento delle tecniche di scavo stratigrafico e soprattutto per il ricorso multidisciplinare a competenze di scienza naturale (mineralogia, chimica, fisica, botanica etc.).
Attraverso queste esperienze si viene affinando un metodo e si prepara la stagione degli scavi dell’Università Statale a Pompei (1976-79), nella Regio VI, che portano alla prima stratigrafia completa del sito d’intervento.
Poi è la volta di Tarquinia, e il ritorno all’ambito etrusco: le ricerche riescono a individuare, al di sotto delle testimonianze di età storica già note, le prove di un insediamento stabile e di un complesso monumentale al centro della città, a testimonianza di una continuità di lunga durata con gli sviluppi successivi della città etrusca. Agli anni di lavoro presso il sito di Tarquinia, Maria Bonghi Jovino dedica, al di là dei contributi specialistici, due agili volumi di ricordi, ricerche, esperienze: Tarquinia. I luoghi della città etrusca (2001) e Tarquinia. I tempi della scoperta. Realtà e immaginario di un archeologo (2011).
Le mostre (come Gli etruschi e Cerveteri, Milano, Palazzo Reale 1980, o Oltre le Colonne d'Ercole, Università degli studi di Milano 1999), i premi e riconoscimenti (particolarmente cari quelli legati al rapporto stretto e affettivo, oltre che scientifico, con i luoghi di scavo, come le cittadinanze onorarie conferitegli a Capua, Pompei e Vico Equense) e le tante pubblicazioni (tra le quali andrà ricordata Ricerche a Pompei. L'insula 5 della Regio VI dalle origini al 79 d.C., Roma 1984) scandiscono l’attività di ricerca e di scavo. Una attività che non si chiude con il termine della vita accademica, ma che prosegue con interventi e pubblicazioni. Perché lo spirito rimane quello, nutrito di cultura umanistica e di passione civile, che Maria Bonghi ha così descritto recentemente, a conclusione di un libro intervista con l’allieva e poi collega Federica Chiesa: “la classicità spalanca le sue porte e invita ad entrare nel suo giardino. È ricchezza ed equilibrio, socializzazione, compartecipazione e liberazione”.
Fonti, risorse bibliografiche, siti su Maria Bonghi Jovino
Maria Bonghi Jovino, Gli Etruschi e Cerveteri, Catalogo della mostra al Palazzo Reale di Milano, Electa, Milano 1980.
Maria Bonghi Jovino, Ricerche a Pompei. L'Insula 5 della Regio VI dalle origini al 79 d. C. Campagna di scavo 1976-1979, 2 voll., L’Erma di Bretschneider, Roma 1984.
Maria Bonghi Jovino, Tarquinia. Potere e orgoglio, L’Erma di Bretschneider, Roma 2021.
Maria Bonghi Jovino, Federica Chiesa, Le sembianze degli dei e il linguaggio degli uomini. Studi di lessico e forma degli artigiani capuani, Mimesis, Milano 2016.
Federica Chiesa, Conversazioni in controluce con Maria Bonghi Jovino. Nei laboratori dell'archeologia. Temi per il terzo millennio, Mimesis, Milano 2019.
https://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Bonghi_Jovino
https://www.ajaonline.org/author/791
https://independent.academia.edu/MariaBonghiJovino